La scorsa settimana si è tenuto a Verona il convegno “Governare, non punire. Città, consumi e marginalità”, organizzato dal collettivo Substantia, nato nel 2023 per colmare una lacuna sul nostro territorio. A differenza di quanto avviene in altre città, infatti, Verona finora non ha ritenuto di approfondire le tematiche di riduzione del danno nell’ambito della gestione anche politica del consumo di sostanze psicoattive.

Substantia promuove un approccio del fenomeno che mette al centro la persona per darle voce e dignità, una visione che pone in rilievo tutti gli aspetti sociali e legali, coinvolgendo la comunità, i servizi di cura e le forze dell’ordine. Presente al convegno, per l’amministrazione veronese, l’assessore alle Politiche Giovanili Jacopo Buffolo.

Che cos’è la “riduzione del danno”

Da oltre vent’anni, la strategia europea per la gestione del fenomeno delle droghe si fonda su quattro pilastri: repressione, intesa come contrasto al narcotraffico e allo spaccio; prevenzione, ovvero campagne mediatiche; cura, cioè terapie e percorsi di recupero medico. Il quarto pilastro, che in Italia è piuttosto trascurato, identifica la riduzione del danno, cioè le politiche volte a contenere gli effetti negativi dell’uso di sostanze, sia per chi ha una dipendenza, sia per la collettività.

In Italia, sotto il profilo della prevenzione, l’ultima campagna seria risale ai primi anni del Duemila e in seguito ci sono stati episodi sporadici. In generale, si è preferito l’approccio punitivo verso chi consuma. Uno spot “anti-droga” che passa in TV dà la misura di quanto poco gli adulti conoscano i ragazzi, che usano altri apparecchi. Anche le scuole hanno smesso di proporre il tema delle dipendenze, così come dell’educazione sessuale, col risultato di aumenti tra i consumatori e ritorno delle malattie veneree.

L’esperienza di Mestre

Pino di Pino è il presidente di ITARD, movimento italiano per la riduzione del danno, e parte attiva della Rete Elide, che raccoglie enti locali, terzo settore e società civile, con l’obiettivo di trovare una mediazione tra le politiche nazionali contro gli stupefacenti e le ricadute sul contesto urbano.

Rassegnate alla consapevolezza che la guerra ai trafficanti è perduta, le città promuovono politiche globali più giuste e rispettose dei diritti. Pensano un accesso migliore alla salute e ai servizi sociali per le persone che usano droga, slegato dalla decisione di interromperne l’uso, nella certezza che tutti vadano aiutati, anche coloro che non vogliono o riescono a smettere.

Governare, non punire

«Spesso ci si nasconde dietro alla “sicurezza” – dice il presidente di Pino, – ma c’è un equivoco strumentale intorno alla parola. Molti intendono la sicurezza urbana come la possibilità che uno passeggi davanti a una stazione senza incontrare le coperte della persona senza dimora, oppure non avere sotto casa il traffico di sostanze. Questo è securitarismo e ne nascono decreti impulsivi, zone rosse e DASPO urbani. Si mettono limiti nella città, allontanando le persona da una zona a causa di un comportamento che però non cambia per via della punizione. Non si risolve il problema, si sposta in un altro luogo, per poche ore».

La sicurezza sociale è tutt’altra cosa: si tratta del welfare, dei diritti sociali, di scelte politiche pubbliche che creino le condizioni perché una persona di stia bene e sia inserita nella società civile. Sono politiche urbane che favoriscono la salute pubblica, soluzioni pragmatiche al problema. Di Pino porta l’esempio di una città in cui si poteva essere multati se in possesso di una siringa. Provvedimento mirato a ridurre le persone che iniettano in strada, ma che ha avuto unico effetto più siringhe buttate nei parchi e maggior pericolo per la collettività. «Se esiste un servizio attivo per la raccolta di siringhe usate – continua di Pino, – se diamo una casa senza chiedere nulla in cambio, allora si fanno politiche efficaci. In Italia diamo la casa dopo anni di dormitorio, solo se sei pulito e la persona viene di fatto commissariata dallo Stato».

I servizi attivi a Padova

Margherita Colonnello è assessora alle politiche sociali di Padova, una città che ha sviluppato il quarto pilastro della strategia sulle droghe, con un investimento cospicuo, riportato in 90mila euro l’anno. Gli operatori del servizio di riduzione del danno escono ogni sera nelle zone più delicate della città, per incontrare e conoscere le persone che vivono e iniettano in strada. Forniscono materiali sterili e le informano sui servizi e i diritti, che siano pronte o meno a cambiare la loro situazione.

Colonnello racconta un caso positivo, di una donna incinta, che faceva uso pesante e viveva per strada, in una situazione di grande promiscuità e pericolo, per sé e il nascituro. «È stato possibile avviarla ai servizi sociali – dice l’assessora – e collocarla in una struttura protetta mamma-bambino. Ma non è possibile salvare la vita a tutti, specie con pochi mezzi. Ci chiedono di aprire un drop-in, cioè un servizio sempre aperto, ma per noi è fuori scala».

Hanno chiesto alla Regione, con poco ottimismo. Pare difficile far capire gli incredibili vantaggi di questo approccio a un’amministrazione. Colonnello cita un esempio relativo alle campagne di disinformazione dell’opposizione sulla “crescita esponenziale dei drogati” o il solito refrain della “sicurezza”. «Avere il numero esatto, conoscerli per nome, ci dà la possibilità di ribattere con la verità. Cinquantuno persone, in una città come Padova. Un numero che ridimensiona il fenomeno».

Limitazione del rischio

L’altro servizio attivo a Padova cerca di entrare in contatto con gli adolescenti, nella loro fase di fuga, rivolta e sperimentazione. Fumo e alcol di solito compaiono a quest’età e aprono la strada ad altri comportamenti a rischio. Lo psichiatra Edoardo Polidoro, già direttore del Serd di Forlì e Rimini, interviene a ricordare come sia proprio «l’alcol, una sostanza psicoattiva legale e socialmente accettata, a fare da sliding door verso altre sostanze».

Ragazzi tentati da nuove esperienze non sanno con chi parlarne: i genitori sono esclusi, il medico di base o i professori sono in contatto con la famiglia. A dare risposte prova il servizio, con uscite una volta a settimana nei contesti di ritrovo dei giovani, con operatori che danno consulenze e rispondono alle domande dei ragazzi. Colonnello ritiene che funzioni perché «si approcciano in modo non giudicante e semplice. Chiedono di sostanze, di dipendenza, ma anche di metodi anticoncezionali e sesso protetto. Diamo loro consapevolezza verso i rischi che tanto sembrano attrattivi in quell’età».

Un modello in cui vincono tutti

Le realtà di Padova costituiscono una base organizzativa solida tra l’amministrazione comunale e il terzo settore. Promuovono incontri con la cittadinanza per dare strumenti di comprensione. «Se sai come si comporta un tossicodipendente – riporta l’assessora, – sai cosa aspettarti. Capire che la violenza legata alle droghe non viene quasi mai da chi le usa ma da chi si approfitta delle fragilità, diminuisce la paura. Li facciamo incontrare di persona, con nome e cognome. E qualcosa cambia».

Non esiste un futuro senza droga. Le sostanze cambiano e si va verso una società che non cerca più lo sballo ma la performance, con droghe dagli effetti precisi, di breve durata e controllabili. Dobbiamo interrogarci sugli strumenti per gestire un fenomeno che non si può reprimere. «Pensiamo al mito del momento – suggerisce il prof. Polidoro. – Elon Musk dichiara di utilizzare cannabis, ketamina, allucinogeni e metamfetamine. Ora, se sei una persona ricca e affermata, puoi essere il peggior tossico ma al massimo te la cavi con la rehab. Se appartieni a un contesto sociale più basso o hai alle spalle una famiglia fragile, lo stesso tipo di uso implica che finirai su una strada e nessuno ti darà una mano».

Il cambiamento inizia a scuola

«La legalizzazione – sostiene lo psichiatra, – consiste nel chiedere regole chiare per poter acquistare e assumere legalmente una sostanza, in un contesto di consapevolezza e senza preconcetti. Le persone non sempre chiedono aiuto per smettere, nella maggior pare dei casi vogliono riprendere il controllo su una sostanza che gli sta rovinando la vita. La riduzione del danno raggiunge questi individui, fa in modo che diminuisca la pericolosità delle sostanze e dei comportamenti che ci ruotano intorno. Per chi usa quelle sostanze, per le persone loro vicine».

Polidoro ritiene che la sfida culturale andrebbe raccolta dalla scuola, dove si dovrebbe trattare il tema delle droghe in tutte le materie, tanto è trasversale il suo impatto nella Storia dell’uomo. «Raccontare di come le anfetamine fossero diffuse durante le guerre, come lo siano ancora tra i terroristi. Parlare di droga in modo non giudicante è fare storia, geopolitica, filosofia, perfino religione. È capire la nostra epoca e la nostra storia».

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