L’anno appena concluso ha segnato la ricorrenza dei cento anni dalla nascita di Alberto Manzi, personaggio importante della cultura e società italiana del dopoguerra. Un saggio di Patrizia D’Antonio, pedagogista e ricercatrice, intitolato Ogni altro sono io. Alberto Manzi: maestro e scrittore umanista (Castelvecchi Editore, 2024), affronta l’ampiezza e varietà dei lavori del “Maestro d’Italia” che non pubblicò mai un vero e proprio manifesto teorico del suo pensiero pedagogico, nonostante i suoi lavori abbiano raggiunto vette molto alte.

Il saggio di D’Antonio delinea lo spessore di maestro e studioso, rivelatosi fondamentale nel dopoguerra italiano nella sua capacità di tramandare alle generazioni successive un patrimonio letterario e un macrocosmo di conoscenze ancora attuale.

Manzi era estremamente impegnato e dedito a trasformare la scuola italiana, molto selettiva e nozionistica, ancorata ai dettami della riforma Gentile, frutto del ventennio fascista. La scuola per Manzi doveva insegnare a ragionare autonomamente con la propria testa, potenziando le capacità di ricerca e puntando a un’educazione alla tolleranza, vera leva di un umanesimo moderno.

L’influenza di Alberto Manzi nella pedagogia italiana

L’umanesimo costituisce, nella ricerca di Manzi, una chiave di lettura privilegiata tanto a livello etico quanto sul piano politico. Apprezzato dal celebre intellettuale francese Marc Augè, Manzi è riuscito a portare in Italia autori importanti legati a scuole psicologiche ancora poco conosciute in Italia, come Jean Piaget, pioniere nello studio dei processi cognitivi legati allo sviluppo della conoscenza in età evolutiva, Jerome Bruner, studioso di psicologia dell’educazione, infine Lev Vygotskij, profondo indagatore dell’influenza culturale e sociale sull’attività della mente umana.

Manzi nutriva grande rispetto e considerazione nei confronti di adulti e bambini perché era pienamente consapevole delle doti e della dignità specifica di ogni singola persona. Grazie alla sua empatia, divenne un personaggio adatto alla comunicazione e divulgazione televisiva con il programma “Non è mai troppo tardi”, andato in onda per ben otto stagioni, dal 1960 al 1968, impegnato nella scolarizzazione delle persone adulte, lottando così contro la piaga dell’analfabetismo. Questa trasmissione pionieristica ha messo a disposizione bravura e dedizione all’insegnamento di un maestro, sempre al servizio delle persone più svantaggiate.

Una foto tratta dal programma televisivo “Non è mai troppo tardi”, Pubblico dominio.

La tv di “Non è mai troppo tardi”

Con il suo programma il “maestro più famoso d’Italia” cercò di unificare un Paese ancora linguisticamente diviso e privo di una lingua omogenea comune. Nonostante la sua popolarità mediatica, Manzi mise sempre in primo piano la sua attività lavorativa quotidiana nonostante l’esperienza televisiva gli avesse aperto le porte della divulgazione. La televisione italiana degli anni Sessanta del secolo scorso, d’altronde, offriva trasmissioni di alto livello culturale, proponendo serate di prosa e teatro. Il poeta Giuseppe Ungaretti, nel 1959, tenne una rubrica in cui leggeva a voce alta alcuni suoi componimenti più famosi, da San Martino al Carso a I Fiumi.

Inoltre i conduttori avevano una certa compostezza formale e lessicale: per questo personaggi come Walter Chiari, Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello sono entrati nel cuore e nei ricordi d’infanzia di molti italiani.

Grazie alla sua esperienza ed ai suoi viaggi condotti in America Latina, dove ebbe modo di insegnare non solo ai migranti italiani ma anche ai contadini più poveri, sostenendo le loro lotte per diventare autonomi, Manzi trasse ispirazione per una trilogia sudamericana di romanzi tra cui La luna nelle baracche (1974) e Gugù (terminato nel 1997), nei quali fa emergere le sfaccettature del continente latinoamericano con i suoi problemi di sfruttamento ed oppressione, la necessità di scolarizzazione e il desiderio di emancipazione femminile.

La sua attività di scrittore di romanzi e di saggistica fu molto prolifica; collaborò anche con Gianni Rodari e e Jacovitti alla rivista Il Vittorioso, e tra i libri per ragazzi di cui fu autore, il più famoso fu Orzowei del 1955, dal quale in seguito fu tratta una seguitissima serie tv per La Tv dei ragazzi.

Un patrimonio senza eredi?

Il saggio di Patrizia D’Antonio su Alberto Manzi è uscito con l’editore Castelvecchi nel 2024.

I programmi televisivi del Dopoguerra che ebbero come protagonisti la passione e l’ingegno del maestro Manzi ci interrogano sul ruolo che hanno tv e del digitale oggi. Il linguaggio social, che potrebbe sviluppare un approccio innovativo, è in realtà molto ripetitivo.

I giovani non guardano più la televisione, che non mira più a creare un linguaggio più alto, così si nutrono di contenuti multimediali, inoltre come società leggiamo sempre meno.

Le scuole faticano a far entrare i ragazzi nelle biblioteche e quelle scolastiche contengono sempre meno i classici della letteratura. Leggiamo contenuti sempre più frammentati e granulari come possono essere messaggi ed email, ma ci confrontiamo sempre meno con un libro intero o un saggio che possono aprirci a mondi diversi e fornirci significati inediti, complessi e profondi della realtà in cui viviamo.

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