“Ti penti di aver dormito cento anni per poter vedere le meraviglie del Duemila?” chiede lo scienziato Toby Holker al suo giovane e malinconico amico Brandok, afflitto dalla malinconia e proiezione letteraria di Emilio Salgari. Dopo aver accettato nel 1903 la proposta di Holker di farsi ibernare con lui per un secolo, Brandok si risveglia nell’anno 2003 e di fronte alle “meraviglie del Duemila” ritrova la serenità da tempo perduta.

Così inizia il primo esempio di protofantascienza italiana, Le meraviglie del Duemila. L’autore non poteva che essere il Capitano dell’immaginazione Emilio Salgari, creatore di Sandokan e del Corsaro Nero; il tormentato e prolifico autore veronese è conosciuto per i suoi romanzi d’avventura e per l’esotismo di cui non fece mai esperienza diretta, essendo rimasto sempre in Italia e formandosi su una grande quantità di materiale di cui conservava i preziosi appunti in una “cassetta segreta”. Un esotismo per certi aspetti ideologico, contrario al colonialismo, vittima poi di un astuto tentativo di appropriazione culturale da parte del regime fascista, conclusosi in una fatale accettazione della politica che gli riconobbe il peccato di non essere mai stato un fascista, ma anzi di aver incitato alla disobbedienza attraverso i suoi personaggi anticolonialisti e ostili alle autorità statali.

Ibernazione e Futurismo

Forse per il desiderio di superare l’esplorazione geografica, o forse per l’amore verso Jules Verne, pioniere della fantascienza europea e di cui Salgari era un appassionato lettore, nel 1907 viene pubblicato Le meraviglie del Duemila. Attraverso il dispositivo narrativo dell’ibernazione, l’autore veronese ci trasporta in un mondo molto vicino ai valori che avrebbero ispirato, due anni dopo, il primo manifesto futurista. In questo futuro immaginato e visionario, si trovano le avveniristiche aspirazioni di una scienza che mira a salvare il mondo.

Numerose sono le occasioni per il giovane protagonista, Brandok, di liberarsi dal suo stato di malinconia e sofferenza grazie alle meraviglie del Duemila. Alcune scene sembrano anticipare la nostra realtà odierna, come l’abbonamento al giornale World e le notizie che arrivano in tempo reale senza supporto cartaceo, la grande evoluzione della chimica, i mezzi di trasporto avanzati e l’automatizzazione del servizio nei ristoranti. C’è spazio anche per il tema ecologico, fondamentale nel nostro secolo, ma con prospettive diverse: mentre oggi assistiamo alla riduzione della calotta polare antartica, nel 2003 immaginato da Salgari i ghiacciai si sono espansi raggiungendo “l’incredibile altezza di trentasette chilometri”.

Un viaggio politico

Una copertina del libro di Salgari

Al pari dei romanzi d’avventura in cui l’elemento anticoloniale si staglia contro gli scenari mozzafiato dell’Asia e dell’Africa, Le meraviglie del Duemila è un viaggio tanto esotico quanto politico. Così, di pari passo con un ritrovato positivismo, Salgari traccia, tra la burla e il timore, il profilo degli anarchici del futuro.

Sono trascorsi appena dieci anni dagli assassinii di Elisabetta di Baviera (Sissi) e del Presidente della Repubblica di Francia, Carnot, compiuti da due anarchici individualisti italiani, e solo otto anni passeranno prima dell’attentato di Sarajevo ad opera di Gavrilo Princip. L’orrore del nazismo è ancora lontano, così come l’ombra scura della minaccia atomica dettata dal bipolarismo della Guerra Fredda. Al tempo di Salgari, lo spauracchio del potere in Europa sono gli anarchici, e l’autore li “rinchiude” in una colonia polare, nutriti a spese di europei e americani, a patto di non lasciare la colonia.

Mancano quattro anni al fatale compiersi del destino di Salgari. Egli continuerà a dedicarsi ai suoi romanzi d’avventura fino al 1911, anno in cui la sua vita, già segnata dalle difficoltà economiche e dalla depressione, prende una piega tragica con l’aggravarsi della malattia mentale della moglie Ida, che viene poi ricoverata a Collegno. Salgari sceglie di togliersi la vita, rendendo l’ultimo omaggio a una cultura esotica, quella giapponese, non attraverso un romanzo, ma con l’atto finale di un harakiri in un bosco sulle colline torinesi. Il luogo scelto rappresenta forse l’ultima ricerca di quella natura così vicina alle ambientazioni dei suoi romanzi e, forse, a quelle colline di Negrar dove era cresciuto e che spesso visitava durante le vacanze estive.

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[1] Stato d’animo caratterizzato da malinconia, insoddisfazione e noia. Nel 1857 Baudelaire incide lo spleen in una omonima poesia: «[…] vinta, la Speranza piange; e l’atroce Angoscia, dispotica /pianta sul mio cranio chinato il suo vessillo nero» (traduzione di Giovanni Raboni).

[2] C. Gallo, G. Bonomi, Emilio Salgari, La macchina dei sogni, Rizzoli, 2012