La relazione che Mario Draghi ha tenuto a Parigi al CEPR (Centre for Economic Policy Research) lo scorso 15 dicembre é stata in parte sottovalutata e travisata dai principali media italiani. Il CEPR per contro ha efficacemente titolato l’eventoEurope: Back To Domestic Growth” (Europa: ritorno alla crescita interna) perché, in definitiva, é proprio la crescita del mercato interno che é mancata alla Unione Europea negli ultimi trent’anni.

Una crescita debole dovuta a scarsi investimenti che ora devono essere recuperati, e che Mario Draghi ha ricordato valere almeno 750-800 mliardi di euro, non una tantum, ma ogni anno, «che determineranno se l’Europa vorrà rimanere inclusiva, sicura, indipendente e sostenibile».

Il rallentamento economico dell’Europa

Sono due le ragioni della “frenata” dello sviluppo economico dell’Europa a partire dalla metà degli anni novanta. La prima é lo shock tecnologico provocato da internet negli anni novanta, che ha portato negli USA un rapido aumento della produttività che l’Europa invece non ha saputo cogliere. La seconda è legata alla grave crisi finanziaria seguita al fallimento della Lehman Brothers del 2008.

Gli USA sono usciti molto più velocemente dell’Europa da tale crisi. Il governo statunitense infatti aveva immesso nell’economia tra il 2009 e il 2019 somme 14 volte superiori a quelle immesse dalla UE. Così negli USA il credito bancario alle imprese era tornato a crescere a tassi del 5% già dal 2012, mentre in Europa era rimasto fermo fino al 2016.

La carenza di investimenti ha provocato in Europa la stagnazione della produttività, il calo della domanda interna, bassi salari, mancata crescita del PIL e conseguente aumento del rapporto debito/PIL. Per contro l’Europa, proprio per effetto dei bassi salari, é diventata un esportatore strutturale con un avanzo delle partite correnti del 3% del PIL dopo il 2012.

Esportazioni UE grazie a bassi salari anzichè innovazione

Draghi nella sua relazione afferma che l’Europa avrebbe potuto contrastare il calo di investimenti e della domanda interna, utilizzando lo spazio fiscale esistente, ma ciò deliberatamente non é stato fatto. E continua affermando che in Europa «I decisori politici hanno rivelato una preferenza per una particolare costellazione economica basata sullo sfruttamento della domanda estera e sull’esportazione di capitali con bassi livelli salariali. Ma questa costellazione non appare più sostenibile».

Forse Mario Draghi avrebbe potuto aggiungere che quella politica economica non solo “non appare più sostenibile”, ma che si é rivelata palesemente fallimentare per l’Europa.

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Mario Draghi. Foto di @uAlrdyKnoWaItIz da Pixabay

Vero é che l’Unione Europea è un mosaico composito di economie diversissime per dimensioni e strutture economico finanziarie. Di conseguenza lo spazio fiscale per fare politiche espansive non l’avevano allo stesso modo tutti i Peasi europei. Nel 2011 la Germania aveva una bilancia dei pagamenti molto in attivo, tassi di interessi reali bassi, nonché un rapporto debito/PIL particolarmente favorevole. La Germania aveva quindi un ampio spazio fiscale per finanziare nel suo Paese spesa pubblica ed investimenti, e diventare veramente la “locomotiva” d’Europa. Ma non lo fece.

L’Italia al contrario all’epoca, a causa di una bilancia dei pagamenti negativa, spazio fiscale non ne aveva. L’Italia inoltre a causa di un rapporto debito/PIL superiore al 100% non avrebbe dovuto tagliare spesa pubblica e investimenti. Ed invece ciò fu quanto esattamente avvenne, imposto dalla UE attraverso il governo Monti, ed il cui risultato fu una pesante recessione economica ed il peggioramento dei conti pubblici. La Bilancia dei Pagamenti italiana é tornata positiva e macina record, ma per effetto dei bassi salari, non dell’innovazione tecnologica.

L’Europa paga ora le conseguenze di una trentennale politica mercantilistica di corto respiro, rimanendo intrappolata in un circolo vizioso di scarsi investimenti, bassi salari, crescita esigua, dal quale è complicato uscire.

Una collaborativa integrazione europea ed investimenti pubblici

La UE potrà faticosamente risalire da questo vortice regressivo, come suggerito da Mario Draghi, solo con imponenti investimenti pubblici, che dovranno essere necessariamente comuni, non essendo altrimenti sostenibili dai bilanci fiscali nazionali.

Inoltre bisognerà avere fiducia che i tassi di crescita. conseguenti agli investimenti realizzati, siano più alti dei tassi di interesse reali. Affinché ciò si realizzi Draghi ha indicato anche la necessità di riforme strutturali tese a facilitare il mercato interno, eliminando le barriere che ancora ne limitano lo sviluppo, e una riforma del settore del credito per una maggiore integrazione del mercato dei capitali.

Draghi di fatto chiede sia maggiore collaborazione europea che grandi investimenti pubblici. Due obiettivi che, a guardar bene, non sono allineati con i Trattati europei, ispirati essenzialmente ad una competizione fra i vari Paesi, e ad un liberismo economico che disdegna gli interventi pubblici.

Difficilmente la UE potrà uscire dalla stagnazione in cui si trova senza riscrivere daccapo le regole di Maastricht. Ma per far questo serve una nuova classe dirigente europea della quale al momento non si vede traccia.

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