Nei giorni scorsi è stato recapitato nella cassetta di posta del Paratodos un foglio su cui era stampata una mail. Si tratta di una mail inviata da Trenitalia, probabilmente ai propri dipendenti e collaboratori esterni, in cui si richiede di “non rilasciare dichiarazioni o fornire informazioni o nominativi” in merito “ai fatti avvenuti domenica 20 ottobre”, ovvero in merito all’uccisione di Moussa Diarra presso il piazzale della stazione di Porta Nuova per mano di un poliziotto della Polfer.

In pratica, ciò che chiede Trenitalia ai propri dipendenti è di non rilasciare alcuna dichiarazione, di non proporsi come testimoni e di non fornire appunto la lista dei dipendenti in servizio quella domenica mattina.

Questo, a seguito di una richiesta formale effettuata dalle due avvocate ingaggiate dalla famiglia di Moussa, Paola Malavolta e Francesca Campostrini, in cui chiedono a tutte le aziende operative presso la stazione di Verona, di fornire la lista dei propri dipendenti in servizio nell’orario in cui è avvenuta la tragedia. Tutti possibili testimoni dell’accaduto.

Questo è stato dichiarato questa mattina, durante la conferenza stampa organizzato dal “Comitato giustizia e verità per Moussa Diarra”, che si è tenuta nel piazzale della stazione Porta Nuova di Verona.

Questo aggiunge un ulteriore grave elemento di ostacolo verso la ricerca di verità e giustizia, dopo la sparizione delle immagini riprese dalle telecamere interne ed esterne della stazione di Verona. Immagini, ritenute in un primo momento elemento chiaro e di prova inequivocabile dell’aggressione di Moussa ai danni del poliziotto, come affermato nel comunicato congiunto tra Questura e Prefettura, emanato il giorno stesso della morte di Moussa. Immagini appunto sparite.

Dopo oltre 20 giorni dall’accaduto, il Procuratore di Verona, Raffaele Tito, ha dichiarato che la telecamera più vicino all’accaduto è risultata spenta e che le immagini riprese dalle altre telecamere risultavano essere troppo distanti o sgranate. Si precisa che gli spari sono avvenuti sul marciapiede all’ingresso della stazione e non in una zona defilata. Quindi in un punto nevralgico della stazione, pieno di persone in entrata e in uscita e ripreso da telecamere sia dall’esterno che dall’interno.

Alle immagini dichiarate distanti e sgranate stanno lavorando, da oltre un mese e mezzo, i tecnici della Polizia scientifica di Padova che sta cercando di renderle più chiare.

Ovviamente, dato tutto questo tempo trascorso per questa lavorazione, il fatto che a queste immagini non siano mai state messe a disposizione delle avvocate di Moussa, lascia tutti molto perplessi. Le tecnologie odierne possono permettere alterazioni e modifiche significative alle immagini, proprio come avvenne nel 2005 dopo il pesante pestaggio del tifoso del Brescia, Paolo Scaroni, proprio nella stazione di Porta Nuova di Verona.  La sentenza di quel caso dichiarò la polizia colpevole dei danni ricevuti da Scaroni e che le immagini erano state manomesse per nascondere i reali fatti accaduti. Scaroni dopo quel pestaggio ha trascorso due mesi in coma ed è stato poi dichiarato invalido al 100%.

Un’analogia molto preoccupante, inquietante come è preoccupante la mail che Trenitalia avrebbe inviato ai propri dipendenti chiedendo di non intromettersi, anche nel lasciare la propria testimonianza su quanto è accaduti lo scorso 20 ottobre 2024.  

Il codice etico di Trenitalia

Una richiesta che va completamente contro il codice etico dell’azienda, come riportato nel proprio sito: “I nostri valori fondamentali: “Integrità e Onestà: se hai dei dubbi chiediti: questo comportamento è legale? È etico? Cosa penserebbero gli altri di questa azione?”

“Le nostre comuni responsabilità: Sì sincero e collabora al massimo in caso di eventuali indagini interne o esterne nelle quali dovessi essere coinvolto”. Inoltre, Trenitalia dichiara di operare nel quadro di riferimento della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite.

Tutto questo sembra essere in completa contrapposizione su quanto riportato nella mail inviata ai proprio dipendenti e collaboratori esterni e sembra che si voglia solo ostacolare la già affannosa ricerca della verità su quanto è accaduto il 20 ottobre scorso.

Questa contrapposizione forse può rappresentare il timore di una società nell’esporsi e prendere posizione quando nel mezzo ci sono autorità, in questo caso la polizia, avvertendo una sorta di minaccia velata, di un rischio per le conseguenze. Timori che rallentano e ostacolano il percorso verso ogni possibile verità. Una verità che non interessa sole le persone coinvolte ma tutta la società, e nel caso specifico, una città intera. Una città che deve pretendere che la verità venga fuori.

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