Il Museo archeologico al Teatro Romano è stato inaugurato il 10 marzo 1924, perciò è un compleanno molto speciale quello che si è celebrato ieri al Palazzo della Gran Guardia e che ha dato occasione di comunicare il nome della nuova curatrice, l’archeologa Francesca Morandini, che prende le redini di Margherita Bolla, da poco andata in pensione.

La data di cento anni fa segna il momento in cui viene ufficializzato il distacco delle collezioni archeologiche del Museo Civico che le conteneva ed esponeva a palazzo Pompei a partire dal 1854.

Alla fine dell’Ottocento in questa sede erano ospitati dipinti, sculture, raccolte naturalistiche, reperti archeologici oltre a una grande quantità di oggetti recuperati tra il 1890-1892 nel corso degli scavi effettuati sulle rive dell’Adige. La sede naturale individuata per ospitare le collezioni archeologiche fu il convento, risalente al XV secolo, di San Gerolamo dei Gesuati, ordine religioso fondato a Siena dal beato Giovanni Colombini nel 1360.

Questo religioso era un mercante che scelse di dedicarsi a poveri ed ammalati e fu proprio per le frequenti invocazioni a Dio che i suoi seguaci furono chiamati dal popolo “ingesuati” o “Gesuati”, denominazione attribuita ufficialmente da Papa Urbano V che stabilì il colore del loro abito, bianco e coperto da un mantello bruno.

L’arrivo dei Gesuati

Dalla Toscana, i Gesuati si diffusero in Italia settentrionale e a Verona, dove edificarono due monasteri, quello di San Girolamo, attuale sede del Museo archeologico, e quello di San Bartolomeo in Monte, lungo la scalinata che sul fianco occidentale del teatro conduce a Castel San Pietro, oggi trasformato in residenze private. I confratelli raccoglievano fondi per le loro attività benefiche attraverso l’elemosina ed il lavoro.

In città, grazie all’abbondanza di acqua, poterono dedicarsi alla fabbricazione di medicine per curare gli infermi e alla produzione di profumi e liquori, procurando al monastero una certa agiatezza. Negli orti adiacenti al complesso, collocato in una posizione dal microclima favorevole, luogo di refrigerio durante la calura estiva, venivano coltivate piante e messi a dimora fiori. L’edificio insisteva sul teatro sorto alla fine del I secolo a.C. sul fianco di Colle San Pietro, la cui esistenza era nota, così come la sua ricostruzione, attraverso i disegni di artisti rinascimentali.

La sede del museo archeologico al Teatro Romano, foto dal sito del museo.

Tra reperti romani e vita quotidiana dei monaci

Cittadini, antichisti e viaggiatori possono apprezzare reperti della vita quotidiana cittadina in età romana, dalle ricche dimore ai riti di inumazione e sepoltura come le tombe del Medico e di Corrubbio, senza trascurare le collezioni di mosaici romani nella chiesetta dei Gesuati. L’allestimento si sofferma su particolarità costruttive come le antefisse in terracotta che chiudevano i coppi terminali nei tetti di edifici pubblici e privati, ma vengono messi altresì in risalto i diversi materiali utilizzati nelle case gentilizi, tra cui il bronzo ed il marmo pregiato.

Verona è rinomata come città d’arte per gli edifici pubblici di età romana ed il museo mostra il plastico dell’Arco dei Gavi, che ispirò numerosi artisti ed architetti dal Rinascimento in poi, e del Teatro Romano, costruito sotto il governo di Augusto, raffigurato in due grandi dipinti settecenteschi ispirate alle illustrazioni del pittore Giovanni Caroto (1488-1566).

L’ultima parte del museo, che ospita statue greche e romane, conduce in un’immersione a ritroso nel tempo nella vita quotidiana dei monaci che dimoravano nelle celle e godevano di un panorama ameno sulla città. Un sentiero nel chiostro del monastero conduce alla grande terrazza panoramica, un immenso spazio aperto che ospita lapidi ed iscrizioni che guardano verso la città. Questo luogo è amato ed apprezzato da secoli da turisti e scrittori per il paesaggio unico.

L’edificio ritornò ad essere visibile solo nel 1815 quando emersero casualmente alcuni gradini della cavea; il resto del teatro era in parte interrato, in parte coperto dalle costruzioni civili ed ecclesiastiche sorte nei secoli. L’impegno e la determinazione di Andrea Monga, esponente della borghesia veronese, permisero di riportare alla luce buona parte dell’edificio nell’arco di circa dieci anni a partire dal 1834.

Il museo-giardino di Antonio Avena

Agli inizi del Novecento maturò a Verona la coscienza collettiva di appropriazione pubblica di un luogo importante del suo antico passato. Lo scavo archeologico proseguì fino al 1939, ma già nel 1923 l’allora direttore del Museo Civico, Antonio Avena, trasferì nel convento dei Gesuati i reperti archeologici. L’allestimento era coerente con la sua inclinazione alla scenografia, per questo puntava alla realizzazione di un museo-giardino.

L’area della terrazza esprime subito l’idea del museo-giardino. Foto dal sito del Museo archeologico al Teatro romano.

Il suo progetto fu perseguito reimpiegando materiali da altri siti, distribuendo fra piante e vigneti colonne ricostruite e capitelli. Si attribuisce ad Antonio Avena l’idea di utilizzare il teatro per gli spettacoli moderni e nel 1948, in effetti, iniziò l’Estate Teatrale Veronese, appuntamento fisso per veronesi e turisti.

Nel lungo periodo fra la sua riapertura dopo la guerra e il riallestimento inaugurato nel 2016, nel teatro e nel museo sono stati necessari numerosi interventi di tipo conservativo, dovuti anche alla specificità della loro collocazione. I lavori recenti hanno voluto ampliare lo spazio espositivo e rinnovare integralmente l’allestimento, tenendo conto della sfida che comporta l’accessibilità.

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