La via di Damasco non è mai stata così corta. Solo una settimana fa una possibile caduta del regime di Bashar al-Assad non era prevedibile, o almeno non in questi termini e con questa velocità. Prendendo il controllo della capitale siriana, il gruppo di ribelli di Hayat Tahrir al-Sham (HTS) ha costretto il dittatore ad abdicare e a cercare rifugio presso l’amico di sempre, Vladimir Putin.

Difficile fare previsioni su cosa succederà adesso. Quando l’utopia di decenni, all’improvviso, si materializza, anche ogni altro scenario diventa possibile, perfino probabile. La Siria ha un’occasione per ridisegnare il suo ruolo nello scacchiere mediorientale, strattonata da un lato e dall’altro (e dall’altro ancora!) da una pletora di pretendenti per possibili alleanze.

Cambiamento epocale

Ora al comando ci sono gruppi di ribelli che hanno un passato jihadista ma si sono accreditati come governanti illuminati agli occhi della popolazione e vengono ora portati in trionfo per aver posto fine a un regime che durava da oltre cinquant’anni.

La dinastia Assad ha inizio negli anni Settanta, con Hafez, il padre padrone che governa con il pugno di ferro. Alla sua morte, nel 2000, gli succede il figliolo Bashar che in principio lascia sperare in un avvicinamento ai principi democratici, a una forma di governo meno autoritaria e repressiva. La speranza dei siriani ha vita molto breve: Assad si dimostra presto molto simile al padre e sarà per sempre ricordato per la violenta repressione delle proteste pacifiche sulla scia della Primavera Araba, nel 2011.

Ne nasce, come si ricorderà, una guerra civile con oltre mezzo milione di morti, decine di migliaia di persone scomparse e almeno sei milioni di profughi. Sostenuto da Russia e Iran, grazie all’intervento di Hezbollah, Bashar al-Assad massacra i ribelli e sopravvive. Dal 2020 un cessate il fuoco mantiene una calma apparente sul Paese, con HTS in attesa di una combinazione di eventi interconnessi che offra lo spiraglio per un nuovo attacco, con il supporto – peraltro ufficialmente negato – della Turchia che deve risolvere la questione rifugiati siriani e se possibile anche sistemare i conti con i Curdi.

La via di Damasco

Stavolta, però, gli amici sono impegnati su altri fronti e lo abbandonano. Stessa decisione presa da molti soldati dell’esercito regolare, almeno a giudicare dalle foto in cui si vede l’autostrada costellata di divise militari abbandonate dai disertori che si uniscono alla ribellione. Per prima, gli insorti conquistano Aleppo, la seconda città del Paese, incontrando pochissima resistenza; pochi giorni dopo sono nella città storica (per altre guerre) di Hama e poi ancora a Homs. Tutto facile.

Arrivano a sud ed entrano a Damasco, che si arrende in poche ore. La popolazione scende in piazza a festeggiare, cadono le effigi del potere passato, sventolano bandiere diverse e viene saccheggiato il palazzo presidenziale, da dove arrivano immagini di enormi ricchezze, mostrate a un popolo che per il 90% vive sotto la soglia di povertà.

Un portavoce di HTS annuncia, attraverso l’emittente pubblica, la «vittoria della grande rivoluzione siriana, dopo 13 anni di pazienza e sacrificio». Poco più tardi, ultimo ad arrivare, il leader di HTS al-Jawlani appare in pubblico, dalla moschea della città vecchia, sorridente e calmo.

Foto da Pexels di Samer Daboul

Le prigioni di Assad

Durante la guerra civile e il regime di Assad, vengono documentate oltre centomila “sparizioni” di persone che in qualche modo vi si sono opposte. Giovani studenti in protesta e vecchi combattenti, maschi e femmine vengono caricati nei famigerati “camion frigo” e portati in luoghi di detenzione, dove vengono torturati e spesso uccisi.

Per anni, le associazioni umanitarie riportano di condizioni carcerarie disumane, con i prigionieri privati della luce per mesi e ammassati in piccole celle, picchiati sistematicamente fino alla morte. Nel 2017 uscirono le immagini del nuovo impianto crematorio installato nel luogo di tutti gli orrori, il carcere di Sednaya, costruito in modo da portare il suono in ogni sua parte. Così che quando un prigioniero viene picchiato, tutto il carcere viene torturato. Storie raccontate dai superstiti sfuggiti, storie immaginate che vengono smontate dalla realtà, molto più dura di qualsiasi ipotesi.

Libertà in cammino

I ribelli stanno liberando i prigionieri e sembra siano arrivati anche alle temibili sotterranee, da cui forse non sapremo mai cosa possa uscire. Nel frattempo si vedono video in cui famigliari che avevano perso la speranza si ricongiungono con i prigionieri, che stentano a sopportare la luce del giorno. Donne con piccoli bimbi, nati nonostante tutto, in prigionia. Ci vorranno anni perché tutte le storie vengano raccontate, per capire davvero la portata della repressione del regime.

Ragazzi catturati ventenni escono ormai uomini dopo oltre un decennio, uomini probabilmente spezzati e da ricostruire. Famiglie informate di non meglio specificate “morti sul campo” ad aspettare fuori dalle prigioni, nella speranza, in qualche caso premiata, di rivedere un figlio scomparso da 14 anni.

Terribili le immagini degli autobus di prigionieri liberati e riportati nei villaggio di origine, con tutte le famiglie a scrutare i volti per riconoscere un fratello o un figlio tra quegli esseri emaciati e sperduti.

Non tutto oro

Le prime dichiarazioni distensive dei ribelli, il mantenimento del primo ministro in carica in attesa di un nuovo governo, lasciano pensare a una transizione pacifica, anche se nessuno ci crede fino in fondo. Tra i prigionieri liberati, ci sono anche figure meno mediatiche, diciamo. Personaggi a forte matrice islamista e che potrebbero spingere verso un rientro di HTS nel mondo della Grande Jihad.

Ci sono ancora molte questioni aperte e molti accordi da negoziare, per un futuro della Siria che non è mai parso tanto incerto. Gli “stakeholder” sono molti e alcuni si stanno già muovendo: pensiamo alle truppe israeliane entrate in massa sul Golan o agli attacchi aerei turchi contro le postazioni curde, o ancora ai bombardamenti americani alle postazioni IS nel cuore del Paese e ai depositi di armi nel sud.

Foto da Pexels di Ahmed Akacha

La comunità internazionale

Antonio Guterres, Segretario generale dell’ONU – che si riunirà in conclave di emergenza su richiesta della Russia – ha elogiato «la fine di un regime dittatoriale e di una guerra brutale» invitando la popolazione a cogliere l’opportunità di ricostruire una stabilità e pace durature. Ha invitato alla calma, a rinunciare alla violenze e a proteggere i diritti dei siriani tutti, senza distinzioni.

Il presidente USA Joe Biden parla di «fondamentale atto di giustizia, in un momento di rischio e incertezza», offrendo – che sorpresa – l’aiuto americano per la ricostruzione e la transizione di potere. Il Ministro degli Esteri turco ha dichiarato che ora «tutti i profughi che abbiamo accolto possono sentirsi al sicuro e tornare alle proprie case», seguito dagli Stati del Golfo che hanno espresso solidarietà al popolo siriano e chiesto che «nessuno, di qualsiasi parte o credo religioso, abbia a sentirsi in pericolo».

Speriamo solo non sia un film già visto.

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