Il mercato troppo lontano per fare rivoluzioni, l’allenatore disconosciuto dai giocatori, una cessione imminente e un budget risicato. Il Verona ha sprecato tutto il suo margine e ad oggi non c’è una strada indolore

Sette sconfitte in otto partite, trentasette gol subiti in quindici incontri, un gruppo che è imploso ancora prima di formarsi e un allenatore che è riuscito a conquistare la piazza ma che evidentemente non conta granché nel suo spogliatoio. Gli ingredienti per un cambio di panchina ci sono tutti, e già nell’intervallo della penosa partita contro l’Empoli la maggior parte dei commentatori erano già proiettati sul toto-allenatore. E invece il club ha preso tempo. 

Sogliano si presenta in sala stampa e non si nasconde. La panchina di Zanetti sembra di fatto già saltata, ma il direttore non vuole prendere decisioni a caldo, dopo la mazzata più inattesa, dopo che la sua squadra costruita ancora una volta a costo zero ha dimostrato per l’ennesima volta di non essere fatta di uomini del suo stesso stampo.

La delusione è cocente per tutti, ma non si creda che il respiro profondo preso da Sogliano prima dell’esonero sia un semplice “contare fino a dieci”. La situazione è più ingarbugliata di una semplice crisi di risultati: organico lacunoso, spogliatoio frantumato, allenatore senza timone, budget basso o inesistente, mercato lontano e yankees dietro l’angolo. Una tempesta perfetta.

Il Verona è andato a sbattere. Ha sprecato tutto il tesoretto di punti e il margine di tempo che quei punti garantivano per creare una squadra unita, per trovare una quadra tattica, per cambiare allenatore prima del disastro. Per fare qualsiasi cosa. 

Zanetti ci ha provato con le buone e le cattive: ha protetto la squadra e poi l’ha messa di fronte alle sue responsabilità, ha puntato tutto sulle emozioni e l’orgoglio, pensando che la dignità fosse un linguaggio universale, e ovviamente sbagliandosi. Nelle ultime uscite il mister voleva passare come un condottiero incazzato, ma è riuscito solo a sembrare disperato mentre lasciava scappare una verità dopo l’altra sul suo disastrato gruppo. La verità è che i buoi erano già scappati prima di Cagliari.

Ora Sogliano si trova di fronte a scelte complicatissime. Un incrocio in cui forse la strada giusta non c’è. Tornare da Bocchetti (ancora senza patentino) e far valere quell’incredibile contratto a termine 2027? Cercare un altro traghettatore? Promuovere Sammarco che così bene sta facendo con la primavera? Andare sul mercato senza un soldo? O magari tenere il poster di Zanetti in panchina fino a quando si sentirà all’orizzonte il tuono di zoccoli e le trombe squillante della cavalleria americana, lasciare la patata bollente ai texani e nel frattempo limitare lo spopolamento del Bentegodi regalando hotdog e Budweiser? 

Nessuna di queste opzioni è francamente leggibile senza farsi una risata amara, eppure, tragicamente, una di loro sarà il prossimo capitolo di una stagione che prima o poi doveva arrivare. La stagione in cui nessuno dei giocatori trovati nel fango si rivela una pepita e in cui i miracoli trovano casa al Bentegodi, in cui gli astri non si allineano e in cui le scommesse azzardate non portano da nessuna parte.

Siamo solo a dicembre, il tempo per cambiare rotta c’è tutto, il calcio senza fede sarebbe solo uno sport, e malgrado la maglia – per quanto indossata da persone senza orgoglio né professionalità – sarà sempre onorata dalla città: unico vero asset di questo club. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA