Fedrigo: “Resistenza percettiva per salvare la Valpolicella”
Valpolicella sotto assedio tra speculazione edilizia e narrazioni schizofreniche di sostenibilità. Un grido di resistenza percettiva contro l'omologazione del degrado.
Valpolicella sotto assedio tra speculazione edilizia e narrazioni schizofreniche di sostenibilità. Un grido di resistenza percettiva contro l'omologazione del degrado.
Nel cuore del quartiere Veronetta, a pochi passi da Porta Vescovo a Verona, sorge La Sobilla, uno spazio culturale autogestito che si conferma un crocevia di pensiero critico e cultura indipendente, libero da condizionamenti commerciali e istituzionali. In questo luogo di confronto il 4 dicembre scorso è stato presentato “Terra delle mie brame. Il caso Valpolicella”, l’ultimo libro di Gabriele Fedrigo, autore e intellettuale residente a Negrar di Valpolicella. Fedrigo, già noto per i suoi saggi su Paul Valéry, Michel Foucault e Roland Barthes, affronta in questa opera il drammatico stravolgimento del paesaggio della Valpolicella.
Il libro, pubblicato a Firenze da Libreria Editrice Fiorentina a causa di difficoltà nel trovare editori locali, è una denuncia puntuale e accorata contro i devastanti cambiamenti paesaggistici che hanno colpito la Valpolicella, un territorio simbolo della tradizione vitivinicola italiana, oggi al centro di una profonda trasformazione industriale. Fedrigo, il quale già in passato aveva affrontato il tema del paesaggio con opere come “Negrarizzazione. Speculazione edilizia, agonia delle colline e fuga della bellezza” del 2010, torna a puntare il dito contro l’urbanizzazione selvaggia e le storture di un’economia che privilegia il profitto a scapito della comunità locale e dell’identità territoriale.
«Ogni libro nasce da una domanda», ha spiegato Fedrigo. «In questo caso, la mia domanda è: cosa possiamo fare di fronte al degrado paesaggistico? Non è solo una questione estetica, ma anche umana e culturale.»
Il testo si configura come un atto di denuncia contro l’urbanizzazione selvaggia, la speculazione edilizia e l’industrializzazione del territorio ma, come osserva nella prefazione Tomaso Montanari (storico dell’arte, saggista e Rettore dell’Università per stranieri di Siena), “Libri così potrebbero e dovrebbero essere scritti per il Chianti, per Firenze, per Venezia o per la costa del Salento. Cosa abbiamo fatto, in una o due generazioni, al giardino del mondo?”
Durante la presentazione del libro, Fedrigo invita a una “resistenza percettiva” contro la normalizzazione del degrado ambientale e culturale. «Dobbiamo avere il coraggio di nominare gli autori di disastri ambientali e paesaggistici», afferma l’autore. Un esempio emblematico che l’autore cita è Monteleone21, un progetto di Masi Spa descritto dall’azienda come un “complesso polifunzionale integrato con il territorio”, ma che, secondo Fedrigo, rappresenta un evidente caso di violenza architettonica sul paesaggio.
L’autore denuncia anche l’assenza di reazioni significative da parte della comunità artistica e culturale locale, evidenziando come il silenzio favorisca lo status quo. «La resistenza è diventare dei disadattati», ha affermato, sottolineando come sia necessario opporsi all’assuefazione e alla narcosi indotta da una bellezza consumata come merce, prodotto.
Fedrigo introduce appunto il concetto di “resistenza percettiva”, un tentativo di rompere con la visione frammentata e parcellizzata del paesaggio moderno. Le sue riflessioni trovano eco nello strumento fotografico, che definisce vitale e utile per ricostruire l’immagine della Valpolicella prima della sua involuzione degradante: “Proviamo a creare un museo della memoria perduta della Valpolicella, perché chi (come i giovani) è cresciuto in una situazione già degradata, non si rende conto del processo che l’ha generata.»
La Valpolicella, secondo Fedrigo, è ormai vittima di una “negrarizzazione” (dal nome del Comune di Negrar, il più popoloso dei cinque che compongono la zona Classica della Valpolicella), ossia un’urbanizzazione caotica e invasiva che ha divorato i suoi spazi verdi. Le cantine industriali, con le loro monocolture, i loro vigneti estesi e le strutture mastodontiche, rappresentano secondo Fedrigo il trionfo di una logica che sovverte la storia e la tradizione del territorio. I numeri parlano chiaro, secondo i dati del 2024 del Consorzio per la tutela dei vini Valpolicella, sono 2400 le aziende presenti nella denominazione tra viticoltori, vinificatori e imbottigliatori, per un territorio di produzione che si estende in 19 comuni della provincia di Verona. Si tratta del vigneto urbano più grande d’Italia: 8600 ettari vitati.
Fedrigo non si limita a denunciare, il suo è un appello a sviluppare uno sguardo dissidente, capace di rifiutare la violenza che l’uomo esercita sulla terra. «La Valpolicella ha ancora dei coriandoli di bellezza, il libro parla anche di questo. Ma si tratta di tessere di bellezza all’interno di un contesto di degrado. Noi siamo abituati a recepire la bellezza come una passeggiata bucolica della domenica, è un tipico topos giornalistico. Quella bellezza è da mettere in discussione perché deve farsi portatrice della devastazione che la circonda. Dopo aver trascorso la bella domenica nelle colline della Valpolicella, non sapendo quanto costa quella bellezza per l’ambiente, ci ritiriamo nella nostra narcosi di benessere. Questa narcosi non ci porta, ad esempio, ad indignarci e protestare per il progetto di un capannone dell’Isap Packaging di Parona, grande come dieci campi da calcio, che sorgerà vicino a Villa Fumanelli a San Pietro In Cariano.»
Nonostante la forza del messaggio, nelle parole e nell’analisi di Fedrigo durante la presentazione, si notano delle criticità, in particolare la mancanza di una visione propositiva. L’autore non segnala esempi virtuosi di interventi paesaggistici o architettonici in grado di coniugare tradizione, reale sostenibilità e rispetto per l’ambiente e il paesaggio circostante. In un panorama così complesso, raccontare soluzioni positive, valide e percorribili potrebbe offrire un terreno fertile per immaginare una Valpolicella diversa, ma probabilmente questa non è la chiave di lettura di Fedrigo.
Fedrigo invita i presenti a interrogarsi sulle proprie responsabilità e sul ruolo della collettività nella difesa del territorio. «La resistenza è diventare dei disadattati, non un disadattamento psichiatrico, ma un rifiuto attivo di accettare il degrado. È importante non arrendersi e non cedere all’omologazione percettiva.»
La sfida, ora, è trasformare questa resistenza in proposte concrete, capaci di invertire la rotta e restituire alla Valpolicella la dignità di un paesaggio che non sia solo “una grande industria del vino a cielo aperto” ma anche un modello di equilibrio tra uomo e natura.
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