Il Verona si è chiuso in ritiro dopo l’umiliante sconfitta subita in casa contro l’Inter. Se in un primo momento la scelta del ritiro poteva sembrare una punizione da parte del club, alla luce delle parole di Zanetti in conferenza stampa il ritiro si rivela essere l’ultimo disperato tentativo di forgiare quel gruppo che, tra disfatte sul campo e confronti accesi a porte chiuse, dimostra di non avere ancora solidità.

Se volessimo riassumere il campionato del Verona fino ad oggi ci troveremmo a parlare di imprese roboanti e disfatte rovinose. La squadra di Zanetti non ha ancora raccolto un punto con un pareggio, e ha incassato la bellezza – si fa per dire – di 32 gol in tredici partite: un’enormità. Sono numeri che parlano di un’assenza totale di equilibrio, non solo tattico o tecnico, ma soprattutto mentale.

Conferenza stampa rivelatrice

La conferenza stampa “pre Cagliari” di Zanetti è stata rivelatrice forse oltre le intenzioni del tecnico: un allenatore arrabbiato, intenso come sempre e con la voglia matta di tornare in campo per togliere dalla sua squadra le scorie della “manita” rimediata in un tempo dai nerazzurri. Zanetti ha parlato di confronti accesi, e soprattutto di mentalità: quella che – secondo il mister – può essere l’ago della bilancia anche in Sardegna.

«Giocherà chi ha a cuore il bene del Verona», ha sottolineato il coach, lasciando necessariamente intendere che non si tratta di una cosa scontata per tutti i giocatori e rivelando, con uno sfogo, un aspetto ancor più preoccupante: «Ho bisogno della squadra. Ho bisogno che questo pensiero (di sacrificio e priorità alla squadra, ndr) sia nella mente di tutti i miei giocatori, ed è questo che ci sta mancando veramente.»

Esternazioni che certificano quello che i tifosi infreddoliti hanno capito nel giro di mezz’ora sabato pomeriggio, quando il Verona è riuscito nell’impresa di farsi infilare centralmente per tre volte a difesa schierata, con errori – soprattutto dei difensori centrali – che oggettivamente non si possono vedere sui campi di Serie A. È chiaro che la difesa del Verona – azzoppata da anni a questa parte in ogni singola sessione di mercato – non abbia particolare qualità negli interpreti, ma Dawidowicz e Magnani sono giocatori dell’Hellas da anni, e un livello così basso non l’avevamo mai visto. Evidentemente c’è dell’altro.

Leader cercasi disperatamente

La sensazione è che a questa squadra manchi un leader. Dopo l’addio di Miguel Veloso e del suo carisma, la fascia da capitano dell’Hellas non ha trovato spalle abbastanza larghe. Faraoni, dopo l’impresa di Reggio Emilia, ha abbandonato la nave per poi tornare alla chetichella cambiandosi il colore dei capelli nella speranza di non essere scoperto, e da allora sembra marginale sia in campo che fuori. Lazovic, almeno in campo, non sembra avere la stoffa del leader in grado di suonare la carica e togliere insicurezze dalla testa dei compagni. Il mister ci prova. Vorrebbe (e dovrebbe) essere lui il condottiero in grado di raccogliere le truppe e lanciarsi all’attacco, ma al momento sta ancora cercando di farsi capire dai suoi soldati.

Il risultato è una squadra che vive di fiammate, che si esalta di fronte alle imprese e alle opportunità, ma che si abbatte e non è in grado di rimanere attaccata alle partite. La salvezza, però, non si conquista con le imprese, ma con la continuità tecnica e la capacità di raggranellare punti in ogni situazione, soprattutto con le dirette concorrenti.

Il mondo che gira intorno alla squadra dovrebbe probabilmente aiutare in questo senso, senza esaltare le vittorie estemporanee come fossero segni di risoluzione del problema e senza caricare di valore “tecnico” sconfitte rovinose, come quelle contro l’Atalanta e l’Inter, trasformandole in un giudizio definitivo sullo scarso valore della rosa. Almeno i commentatori cerchino di mantenere l’equilibrio che manca alla squadra.

Una partita che vale doppio

A Cagliari sarà partita fondamentale, una di quelle in cui i punti valgono doppio, e il Verona ci arriva male dal punto di vista psicologico, con le voci di cessione che si aggiungono ai malumori post-Inter.

Non resta che sperare che il ritiro abbia dato lo shock necessario per una reazione di nervi, ma non illudiamoci: il lavoro per creare una squadra vera nello spogliatoio gialloblù dovrà durare ben più di una settimana in hotel. Per forgiare un gruppo solido ci vorranno tempo e consapevolezza, ma con la Serie A che corre entrambi gli ingredienti diventano ogni giorno più preziosi, e l’impressione è che il mister l’abbia capito.

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