Nella serata di sabato 23 novembre, presso la Dogana Veneta di Lazise, il giornalista Stefano Nazzi, voce ed autore di uno dei più popolari podcast italiani – Indagini – ha presentato il suo ultimo libro “Canti di guerra“, edito da Mondadori. Tanti i presenti e soprattutto tanti giovani – come sottolineato dall’assessora Elena Buio in apertura – per questo quarto appuntamento della rassegna “Lazise tra le pagine” organizzata da Fondazione Aida.

Nazzi, intervistato dal giornalista Federico Bonati, ha raccontato gli episodi principali narrati nel libro, che tratteggia le storie di tre famosi criminali della mala milanese degli anni Settanta ed Ottanta: Renato Vallanzasca, Francis Turatello ed Angelo Epaminonda.

Tre figure, quelle di Vallanzasca, Turatello ed Epaminonda, che hanno segnato la Milano di quei decenni, nella quale viveva un giovane Nazzi (classe 1961). «Era una Milano molto diversa da quella di oggi. Più cupa e più grigia, con una violenza criminale estrema e potentissima», ricorda Nazzi, che cita dei numeri che danno la dimensione della violenza di quegli anni.

Nel 1975 a Milano si contavano infatti 150 omicidi l’anno mentre nel 2023 questo numero è sceso a 19. Un’unica costante ha attraversato i decenni, ossia quella del numero di omicidi commessi all’interno di nuclei familiari. Tra il 1970 ed il 2024 non c’è differenza: la metà delle persone assassinate in Italia muore per mano di familiari o di persone con cui hanno relazioni sentimentali.

«Milano era una città in cui la gente non usciva di casa la sera perché aveva paura. I locali erano le bische, di cui era piena Milano, e i night club. Si mitizza molto il Derby Club che ha lanciato i comici come Rossi e Jannacci. Ma era anche il principale centro di spaccio del Nord Italia», prosegue Nazzi, che dopo aver descritto l’ambientazione del suo racconto passa ad alcuni aneddoti – contenuti nel libro – sui protagonisti.

Inizia così il racconto di alcuni episodi chiave nella storia della mala milanese come la prima rocambolesca rapina della banda di Vallanzasca nel giorno di San Valentino del 1972 e la sparatoria in piazza Vetra del 17 novembre 1976, innescata a seguito di un maldestro sopralluogo per una rapina all’Esattoria Civica, che portò all’uccisione del brigadiere Giovanni Ripani.

«A Vallanzasca del potere è sempre fregato poco. Era insofferente a qualsiasi tipo di autorità. Gli piacevano le rapine, fare tanti soldi e finire sui giornali, dipinto come un eroe maledetto», spiega Nazzi che cita il suo matrimonio nel carcere di Rebibbia del 1979 come esempio della vanità di colui che veniva soprannominato “Il bel René”:

Turatello disse a Vallanzasca: «Ti devi sposare. Facciamo una cosa pazzesca, invitiamo 500 persone e facciamo officiare al Papa. Questo nuovo, Giovanni Paolo II, è uno sportivo, vedrai che accetta. Lo devi fare così finiremo sulla copertina di Novella 2000.» L’idea piacque così tanto a Vallanzasca che accettò di buon grado.

Tanto pubblico presente in Dogana Veneta.

Stefano Nazzi ripercorre anche la guerra che vide inizialmente contrapposte le bande di Francis Turatello e Renato Vallanzasca, che strinsero un accordo di pace solo una volta ritrovatisi in carcere. Per arrivare infine ad Angelo Epaminonda, “il Tebano” come veniva soprannominato, che entrato come paninaro nelle bische di Turatello finì per spargere sangue senza guardare in faccia a nessuno pur di assumere il potere.

Epaminonda è il criminale fatto a forma di criminale. Cocaina, auto lussuose e fidanzate diverse ogni sera. Una vita da Scarface, fino a quando non decide di diventare il capo di tutti. Quando iniziò a fare la guerra al suo capo, Turatello, fece fuori tutti i suoi uomini. Uno ad uno. Anche l’avvocato, una cosa che non si usa tra criminali.

Angelo Epaminonda è anche il personaggio che ha ispirato Stefano Nazzi nella scelta del titolo del libro. “Canti di guerra” infatti riprende una macabra usanza della banda del criminale di origini catanesi: «Epaminonda aveva una banda chiamata “gli indiani” o “gli apache” perché dopo aver ammazzato una persona cantavano e ballavano intorno al suo cadavere.»

Stefano Nazzi spiega infine di aver incontrato alcuni dei protagonisti delle vicende narrate nel libro, ma che queste in occasioni non sono state determinanti per ricostruire i fatti:

È stato strano perché comunque in carcere incontri persone che sono in una condizione di detenzione, quindi di minorità. Sei tu ad essere in una posizione di forza. Moltissimi criminiali sono accomunati dalla loro capacità manipolatoria, alcuni veramente hanno la capacità di manipolare la realtà e le persone che hanno davanti, cercando di presentarsi come tu ti immaginavi di vederli. Quindi si tratta sempre di un incontro falsato.

Sono tante le vicende narrate in “Canti di guerra” e durante la riproposizione di alcune di esse in Dogana Veneta, in particolare quello del rapimento di Emanuela Trapani tra il dicembre 1976 e il gennaio 1977, è emerso anche il lato grottesco di quest’epopea criminale milanese, portando il pubblico presente a chiedere perché queste storie ci affascinano così tanto.

Stefano Nazzi in chiusura invita quindi a riflettere su chi sono i criminali, che spesso è più comodo considerare come esseri al di fuori della società: “Io sono contrario all’uso della parola mostro, queste persone esistono e non sono altro da noi. Vogliamo quindi capire cosa li ha spinti ad agire così, anche per sentirci migliori.»

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