Terra Santa, detta anche “terra di nessuno”, non è solo Israele: nel paese sono presenti etnie, fedi e culture differenti che nel corso della storia si sono intrecciate, costituendo un tessuto complesso di sotto-culture e fedi non esente da violenza, conquiste e lotte. La sua storia è infatti caratterizzata da popolazioni che si sono insediate in un territorio già abitato precedentemente da altre.

Oggi è fondamentalmente costituita da due etnie e da tre religioni monoteiste che si intrecciano tra loro e nella quale sono presenti il mondo ebraico, musulmano, beduino e in piccola parte il mondo cristiano. Se nascere in Italia significa crescere segnati inevitabilmente sotto il profilo culturale e religioso, ciò vale nella stessa misura anche per coloro che nascono nelle terre bibliche. La convivenza di tante culture, con radici storiche e religioni diverse è resa estremamente difficile dall’assenza di una guida politica e amministrativa nel paese, che sappia dar voce ad ogni estrazione della popolazione e che pianifichi modalità di convivenza e di crescita organiche.

L’occupazione

Fin dall’antichità Terra Santa è stata contesa, con l’impero egiziano, persiano, romano e bizantino. Con i romani e il regno di Costantino, Gerusalemme e i luoghi biblici circostanti vedono la nascita storico-geografica di quella che oggi è l’archeologia del cristianesimo.

Terra Santa ha assistito al cambiamento culturale globale del tempo e alla scissione tra occidente e oriente durante le crociate, delineando la propria peculiarità, la sua storia e le Scritture: le fonti della nostra stessa cultura. Nel periodo contemporaneo, Terra Santa è stata occupata dall’impero ottomano, britannico e giordano, fino a giungere all’attuale istituzione dello Stato di Israele.

Le tappe del Sionismo, la Nakba palestinese e il nazionalismo, hanno delineato lo scenario di una società che non sa convivere. I segni di odio e rivendicazione della terra, propri della storia di Israele, non lasciano spazio al dialogo.

La terra è una, i popoli sono due e sono diversi per cultura, religione, stili di vita, mentalità e storia. Gli accordi di Pace siglati negli ultimi decenni si sono rivelati fallimentari. L’occupazione si è fatta costantemente più serrata e le reazioni per liberarsi dall’oppressione si sono susseguite in azioni violente e inutili, sia per la ritorsione efferata dello stato occupante, sia per l’indifferenza internazionale.

Nel 1993 sono stati stabiliti gli Accordi di Oslo, che prevedevano la creazione di un’autorità governativa palestinese e la nascita di Palestina come Stato indipendente e riconosciuto. Tuttavia, gli Accordi non hanno avuto seguito e la situazione politico-geografica, oggi, è molto diversa. La Palestina è divisa in due zone: Striscia di Gaza e West Bank (Cisgiordania), quest’ultima ulteriormente suddivisa in tre aree: Area A, sotto il controllo dell’autorità palestinese, Area B, sotto il controllo civile-amministrativo dell’autorità palestinese e israeliano sotto quello militare e Area C, controllata completamente da Israele. In questa zona è significativa la presenza del muro di separazione, di campi profughi e degli insediamenti.

La fattoria della famiglia Nassar

Siamo nel West Bank in Area C, su una collina tra Betlemme ed Hebron. Attorniata da insediamenti israeliani e dal muro di separazione, a contatto con illegalità e interreligiosità, si trova la fattoria della famiglia Nassar, agricoltori cristiani. In essa si instaurano relazioni con i vicini palestinesi e israeliani, musulmani ed ebrei, trasformando la propria abitazione in un luogo di incontro e di dialogo. Nel 1916 la famiglia Nassar acquista la terra, sottoscrivendo un atto che ne attesta ufficialmente il possesso.

Daoud Nassar

Le successive generazioni, pur nel susseguirsi delle diverse occupazioni, continuano a coltivare e a convivere pacificamente mantenendo aggiornata la validità dei documenti di proprietà. Negli anni ’90 il governo israeliano dichiara che il terreno della famiglia Nassar e quello limitrofo sono di proprietà dello Stato d’Israele.

La famiglia Nassar, in possesso dei contratti attestanti la proprietà della terra, chiede aiuto al tribunale aprendo una diatriba che tra mille vicissitudini si trascina negli anni e che purtroppo ad oggi è ancora in corso. Nel frattempo gli insediamenti israeliani attorno si moltiplicano, vengono aperte strade accessibili ad essi chiudendo nel contempo la viabilità locale ai palestinesi. Implicito incentivo a trasferirsi altrove.

Aggrappata alle vie della legalità, la famiglia Nassar fino ad oggi è riuscita a fermare i progetti dello Stato di Israele. A nulla sono servite le molteplici iniziative intimidatorie da parte di quest’ultimo: divieto di costruire nella fattoria, di fabbricare sistemi di canalizzazione dell’acqua e di portare energia elettrica. Anche la strada di accesso alla fattoria è stata bloccata da grandi massi, nonché istituito un divieto di rimozione degli stessi. Il lavoro in fattoria, seppur tra mille difficoltà, è però continuato: per la coltivazione delle piante si raccoglie l’acqua piovana in cisterne, mentre per l’uso domestico viene acquistata. L’elettricità viene ottenuta tramite l’installazione di alcuni pannelli solari, effettuata grazie alle preziose donazioni di volontari stranieri.

La sopravvivenza della fattoria è legata al lavoro che viene realizzato nella collina e questo Daoud Nassar lo sa bene. Per questo motivo permette a volontari, gruppi o singoli individui di vivere un’esperienza diretta nella sua fattoria “Tent of Nations”. In questo contesto anche il più piccolo degli aiuti è importante, sia per il sostentamento dei progetti di “Tent of Nations”, sia per l’esperienza profonda e di crescita vissuta da ogni individuo che entra in contatto con la fattoria. Quest’ultima in passato ha spesso subito la devastazione delle piantagioni, ma da quando il progetto ha preso vita nel 2002 e con l’arrivo dei volontari stranieri, le incursioni dei coloni israeliani sono sensibilmente diminuite.

Per questa ragione, la collina può essere preservata solo grazie alla presenza continuativa in loco di volontari stranieri e alla divulgazione della testimonianza di Tent of Nations in tutte le forme di comunicazione. La fattoria è strutturata per offrire in tutto l’arco dell’anno vitto, alloggio e servizi, grazie alle tende e agli appartamenti ricavati dalle grotte presenti sulla collina.

Durante il periodo invernale, a causa delle temperature più rigide, i volontari vengono ospitati nella casa principale. Il contributo in fattoria da parte dei volontari stranieri, si può concretizzare tramite le seguenti attività: testimonianze e conferenze, lavoro in fattoria, campi estivi nel mese di luglio e incontri per le donne locali.

“We refuse to be enemies”

Da sempre esiste lo stereotipo che un palestinese debba essere nemico di un israeliano e viceversa. La famiglia Nassar vive accerchiata da insediamenti di coloni israeliani e subisce soprusi illegali da decenni, ma non la pensa così. Il motto di Tent of Nations è: “ci rifiutiamo di essere nemici”. La famiglia Nassar si rifiuta di rientrare nel circolo vizioso della categoria di odio culturale, religioso ed etnico. Si rifiuta di essere definita nemico e considerata come un riflesso stereotipato di una società faziosa, di un popolo che rivendica con la forza e con la violenza il diritto alla terra che gli è stato tolto.

Non ha in animo un sentimento di inimicizia, nemmeno nei confronti di chi sradica le piantagioni, avvelena gli animali o impedisce illegalmente lo sviluppo della fattoria con nuove costruzioni. In questo contesto la famiglia Nassar promuove l’educazione al dialogo tra persone di diverse culture, nazioni e religioni, prepara vie di pace e ponti tra la terra e le persone. È in questo contesto che emerge la speranza energica e viva di Daoud Nassar, che tocca profondamente chiunque ha la possibilità di conoscerlo. Coerentemente con questa visione, da tempo attorno a Tent of Nations si è costituita un’estesa rete internazionale di persone che cercano assieme di costruire ponti di relazione in Palestina.

Daoud Nassar con la moglie e la figlia, che prosegue nel solco della tradizione familiare

Gli obiettivi di Tent of Nations

Dietro ad un grande progetto ci sono sempre obiettivi ambiziosi come affrontare i conflitti e le contraddizioni culturali, aprendo Tent of Nations alla visita di persone provenienti da ogni parte del mondo; realizzare una fattoria a gestione completamente indipendente, sviluppando tecniche agrarie ecosostenibili e realizzando, proprio in fattoria, un centro educativo e di formazione professionale, aperto a persone locali e internazionali; divulgare e sensibilizzare la collettività sul progetto Tent of Nations, attraverso incontri, conferenze e workshop, come segno e testimonianza di un’altra forma per la salvaguardia dei principali diritti umani, pacifica e resiliente.

«Aprirsi alle persone di qualsiasi provenienza, religione e stato sociale», spiega Daoud Nassar, «che vogliono incontrarsi, perché solo attraverso la relazione si capisce, si impara, ci si affeziona, si amplia la propria mentalità, superando le difficoltà e le contraddizioni. La volontà è quella di costruire ponti di comprensione e di pace e di giustizia umana, risvegliando la consapevolezza di sé e delle proprie capacità attraverso il dialogo con il diverso, perché, con questo atteggiamento, l’altro/il diverso non fa più paura ma diventa amico.»

Raccontare la storia della famiglia Nassar di Betlemme nelle proprie comunità di appartenenza, associazioni, parrocchie, comuni e città, creando così un circolo virtuoso internazionale di vicinanza e supporto. Per questo oggi pomeriggio alle 16.30 all’Istituto San Zeno la famiglia Nassar incontrerà il pubblico veronese raccontare la propria esperienza. Un’occasione unica per conoscere un progetto che promuove pace e dialogo fra i popoli.

© RIPRODUZIONE RISERVATA