Con una vittoria schiacciante sull’avversaria democratica Kamala Harris, Donald Trump torna, a distanza di soli quattro anni, alla Casa Bianca, diventando così il 47esimo Presidente degli Stati Uniti. Fondamentale, a detta di molti analisti, l’appoggio di Elon Musk al tycoon newyorkese, ma sono molte e di varia natura le ragioni di questo risultato, che ha lasciato metà del globo in uno stato di preoccupazione senza precedenti. A questo proposito, come cambierà, ora, lo scenario geopolitico internazionale? Come cambieranno i rapporti con l’Europa, le grandi potenze asiatiche e in generale gli equilibri economico-militari mondiali?

Ne parliamo con Lelio Crivellaro, già diplomatico del Ministero degli Affari Esteri, dove si è occupato di italiani all’estero, di Africa sub-sahariana e di Stati Uniti, e con una lunga carriera alle spalle, con incarichi di prestigio in una decina di sedi internazionali, tra cui Turchia, Marocco, Egitto e Arabia Saudita, oltre a Germania e India.

Crivellaro, che impatto potrebbe avere la vittoria di Trump sulle relazioni tra Stati Uniti e Unione Europea, alla luce delle posizioni divergenti su temi come difesa e commercio internazionale? Crede che vedremo un ulteriore allontanamento tra le due sponde dell’Atlantico?

Lelio Crivellaro, già diplomatico del Ministero degli Affari Esteri.

«Sì, è molto probabile un allargamento della forbice tra i due Continenti perché il perno dell’azione USA, da Obama in poi, è contro la Cina. L’Europa è pressoché inesistente.»

Nella situazione di guerra tra Russia e Ucraina, quali cambiamenti prevede nella politica di supporto degli Stati Uniti a Kiev? Trump ha spesso adottato una posizione meno interventista: quali potrebbero essere le conseguenze per l’Ucraina e per l’equilibrio in Europa orientale?

«Verosimilmente Trump metterà l’Ucraina davanti a un bivio: accettare di partecipare ad un tavolo negoziale con Usa e Russia, forse allargato a UE e Cina, o – se verranno tagliati o ridotti gli aiuti militari – arrangiarsi da sola. Grosso problema per Kiev perché molti Paesi europei, di fronte all’atteggiamento americano cercheranno di sfilarsi anch’essi, anche perché devono tenere conto degli umori delle rispettive opinioni pubbliche. Senza aiuti esterni l’Ucraina non potrà resistere a lungo. D’altra parte, se Trump parla direttamente con Putin c’è la possibilità di arrivare a un compromesso.»

Durante la sua precedente presidenza, Trump aveva mostrato un approccio più accomodante nei confronti di Putin. Pensa che questo potrebbe facilitare una sorta di negoziato tra Russia e Ucraina, o c’è il rischio che la posizione americana si indebolisca ulteriormente, dando vantaggio a Mosca?

«Prioritario è il raggiungimento di un “cessate il fuoco” in Ucraina, basato sulle attuali posizioni, con una Ucraina occidentale forte di garanzie europee – e in parte americane – contro una nuova aggressione russa e una Ucraina orientale de facto, e non de iure, sotto controllo russo. È una soluzione che si ispira al modello delle due Germanie durante la Guerra Fredda. Fino a quando durerà? Nessuno può dirlo, ma la storia è solita riservare sorprese.»

Passando al Medio Oriente, con Trump nuovamente alla Casa Bianca, crede che ci sarà una rinnovata spinta verso gli Accordi di Abramo o nuove iniziative di normalizzazione tra Israele e Paesi arabi? E in che modo questo potrebbe influire sulle tensioni con l’Iran, data l’instabilità della regione?

«Sì, Trump rilancerà gli Accordi di Abramo per offrire a Israele una via di uscita da una guerra infinita e senza scopo. Il perno dell’azione americana si baserà però sull’Arabia Saudita, con l’appoggio di altri Paesi come l’Egitto e, per quanto attiene alla ricostruzione, ad esempio di Gaza, della Turchia. Hamas e Hezbollah non accetteranno e verranno abbandonati come accaduto in passato. L’Arabia Saudita acquisterà armi e tecnologia, l’America petrolio, con l’idea che sia bene risparmiare la produzione interna, e investirà nei grandiosi progetti di sviluppo sauditi. L’Arabia, quindi, verrà elevata a secondo partner strutturale in Medio Oriente per compensare lo strapotere israeliano, cui Trump dovrà in qualche modo mettere fine.

L’Iran verrà isolato, non tanto per l’intervento diretto americano quanto per l’azione dei due “pesi massimi” regionali. È la versione mediorientale della strategia trumpiana: davanti gli alleati, dietro gli Usa. E all’Iran non resterà che abbozzare.»

Supporter cinoamericani manifestano dopo l’assalto di Capitol Hill del 6 gennaio 2021, foto di Tyler Merbler. Flickr, CC BY 2.0.

Come si prospetta, a suo avviso, il rapporto tra Trump e la Cina in questo nuovo mandato? La scorsa presidenza di Trump è stata caratterizzata da una guerra commerciale, ma in un contesto attuale di competizione tecnologica e militare tra Usa e Cina, come potrebbero evolvere le relazioni tra le due potenze sotto la sua guida?

«La Cina resterà l’unico competitore globale. La guerra commerciale si acuirà e noi europei ne andremo di mezzo. L’America vuole ri-nazionalizzare la filiera produttiva per non dipendere più dall’estero.

La Cina deve vendere perché le esportazioni sono il volano essenziale del suo sviluppo, ma gli Stati Uniti vogliono ridurre al massimo la dipendenza dalla Cina. La situazione sembra bloccata. A meno che non si immagini dei blocchi commerciali autonomi, quello americano, quello cinese e molto probabilmente quello indiano. Ognuno ha una sua zona di influenza e su quella costruisce la sua forza economica, commerciale, militare e ovviamente politica.»

Infine, quale ruolo potrebbero giocare i leader europei, e in particolare quelli dei principali Paesi UE come Francia e Germania, in uno scenario dominato dal ritorno di Trump alla Casa Bianca? Ci sarà un tentativo di rafforzare l’autonomia strategica dell’Europa, o c’è il rischio di nuove tensioni intraeuropee sulla linea da tenere nei confronti degli Stati Uniti?

«L’Europa dovrà svolgere il suo ruolo, passando finalmente dalle chiacchiere ai fatti, soprattutto in tema di autonomia strategica, finora esercitata solo a parole. Bisognerebbe, però, che i leader europei si presentassero a Trump compatti, in modo che ciascuno, nel suo pellegrinaggio a Washington, evitasse di ritagliarsi un trattamento privilegiato, vedi alla voce “esportazioni tedesche in Usa” o a quella sul “presunto ruolo egemone francese” nella difesa europea. Facile a dirsi, sia chiaro, ma difficilissimo a realizzarsi.»

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