Mancano ormai poche ore all’appuntamento elettorale forse più importante dell’anno, le Presidenziali USA 2024. Il testa a testa fra la vicepresidente in carica Kamala Harris e l’ex presidente Donald Trump rende l’esito del voto più che mai incerto e saranno decisivi, come al solito, gli “swing states” dove si è concentrata la campagna elettorale dei due candidati. Ne parliamo con l’americanista Mattia Magrassi, avvocato, collaboratore di Atlantico Quotidiano e Presidente di Limes Club Verona.

Magrassi, manca pochissimo all’Election Day. Facciamo un breve recap su quali sono i principali temi di politica interna che hanno dominato questa campagna elettorale?

«I principali temi di politica interna che hanno segnato questa campagna elettorale sono stati: l’economia, con inflazione e costo della vita in cima alle preoccupazioni degli elettori; l’immigrazione illegale, specialmente al confine sud degli Stati Uniti; i diritti civili e sociali, come l’accesso all’aborto e i diritti LGBTQ+; e, infine, la sicurezza interna, con focus sulle sparatorie di massa e il controllo delle armi. Questi temi hanno catalizzato il dibattito sia per la forte polarizzazione politica, sia per il diverso approccio di Harris e Trump, che propongono soluzioni spesso opposte e rappresentano una visione diametralmente differente su presente e futuro della società americana.»

Come sta incidendo il passato mandato di Donald Trump su questa elezione? Lo avvantaggia o lo svantaggia nella corsa elettorale?

«Il passato mandato di Trump ha un effetto ambivalente. Da un lato, ha mantenuto una solida base di elettori che hanno apprezzato le sue politiche anti-establishment e conservatrici; dall’altro, la sua presidenza ha lasciato un’eredità controversa, specialmente dopo i fatti del 6 gennaio 2021. Tuttavia, il fatto che sia il candidato ufficiale del Partito Repubblicano e che queste elezioni siano un testa a testa dimostra che una larga fetta dell’elettorato non è stata convinta dal tentativo mediatico e politico di ostracizzarlo come un pericolo per la democrazia. Questo polarizza ulteriormente l’elettorato, avvantaggiando Trump nelle aree fortemente repubblicane, ma creandogli incertezze in quelle dove il voto moderato è essenziale per vincere.»

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Quanti voti sta spostando a suo parere l’appoggio di Elon Musk?

«L’influenza di Elon Musk, figura di spicco nel mondo tecnologico, dei media, e degli affari, può attrarre l’attenzione di un certo elettorato, soprattutto tra gli indipendenti e i giovani elettori attivi su piattaforme social come X (precedentemente Twitter). L’importanza di Musk per Trump è cruciale dal punto di vista indiretto, poiché ha dato spazio su X a voci conservatrici, anche controverse, che rafforzano la base elettorale del candidato repubblicano. Inoltre, non va sottovalutato il sostegno finanziario di Musk alla campagna di Trump, che si traduce in risorse e visibilità aggiuntive.»

Kamala Harris sarebbe la prima donna e, contemporaneamente, la prima persona di origine asiatica e afroamericana a diventare presidente. In che modo la sua candidatura ha influenzato il voto delle diverse comunità etniche e il panorama politico americano?

«Kamala Harris era stata scelta come vice da Biden proprio per dare rappresentanza all’elettorato femminile, afroamericano e asiatico. Tuttavia, secondo i sondaggi, Harris ha registrato difficoltà di consenso in alcuni gruppi demografici tradizionalmente dominati dai Democratici, come gli ispanici e i maschi afroamericani. Su queste fasce dell’elettorato, con lei come candidata, e rispetto a Biden, la cosiddetta identity politics sembra avere meno presa rispetto ad altri temi, quali economia e immigrazione illegale. La sua candidatura ha quindi suscitato reazioni differenziate, rafforzando il sostegno di alcune fasce dell’elettorato (ad esempio, quello femminile) mentre trova difficoltà nel mobilitarne altre.»

Il tema della sicurezza nazionale e della politica estera è sempre un argomento cruciale nelle elezioni USA. Come si differenziano le visioni di Harris e Trump su Cina, Russia e Medioriente e come potrebbero influire queste posizioni sugli elettori?

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«I due candidati hanno approcci diversi alle questioni internazionali. Harris promuove una linea più tradizionale e multilaterale, in base alla quale Washington esercita la propria leadership innanzitutto tramite il forte coordinamento degli alleati regionali nei vari quadranti (Europa, Indopacifico, Africa) per contenere Cina e Russia. Trump, invece, privilegia rapporti bilaterali in cui gli Stati Uniti possano sfruttare il proprio peso rispetto all’interlocutore di turno per ottenere vantaggi, l’utilizzo di dazi commerciali come arma di trattativa e una maggiore indipendenza dagli impegni globali.

Sul Medio Oriente, Harris si trova a dover fare un difficile esercizio di equilibrismo tra le posizioni filoisraeliane e filopalestinesi presenti nel Partito Democratico, mentre per Trump sarebbe più facile mantenere il sostegno a Netanyahu, con l’obiettivo di riannodare le fila degli “Accordi di Abramo” messi in crisi dall’attacco a Israele da parte di Hamas del 7 ottobre 2023. La guerra in Ucraina cattura meno l’attenzione dell’opinione pubblica Usa, e ciò spiega le discussioni sempre più complesse che si svolgono al Congresso sui pacchetti di aiuti militari proposti dall’Amministrazione Biden-Harris; Trump, invece, promette di costringere Kyiv e Mosca al tavolo della trattativa, ma sembra chiaro che una soluzione rapida del conflitto richiederebbe necessariamente l’accettazione di sacrifici territoriali da parte ucraina.»

Quali sono i fattori chiave che possono fare la differenza nei cosiddetti “swing states” quest’anno?

«Secondo le rilevazioni demoscopiche, nei cosiddetti “swing states” come Pennsylvania, Michigan e altri (ma sono in tutto almeno sette), i temi che l’elettorato considera più importanti sono l’economia e l’immigrazione illegale (intimamente connessi, per l’impatto che la seconda ha sull’occupazione). E l’aborto, che, per effetto di una recente sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti, è tornato ad essere regolamentato in maniera molto diversa da Stato a Stato. Pesano, poi, le peculiarità locali, che rendono determinanti alcuni aspetti di politica estera. Un solo esempio tra tutti: il Michigan ospita la più numerosa comunità arabo-americana, per cui la crisi di Gaza è un tema sensibile. Ma lo è anche la politica commerciale con Europa e Cina: lì, infatti, si trova Detroit, la capitale del settore automobilistico, colpito dalla transizione tecnologica e dalla concorrenza dei produttori stranieri.»

Rispetto al passato la partecipazione giovanile appare in crescita e le nuove generazioni mostrano priorità diverse (cambiamenti climatici e i diritti sociali) rispetto ai loro genitori o nonni, tendenzialmente più conservatori. Harris, in questo senso, sembra avere maggior presa su questo segmento demografico, ma è proprio così? E come potrebbero i giovani influenzare il risultato elettorale finale?

«Harris gode di una maggiore presa sui giovani grazie alle sue posizioni su cambiamento climatico e diritti civili. Tuttavia, la campagna di Trump ha investito molto su iniziative per coinvolgere l’elettorato giovane, come interviste su podcast influenti per questa fascia demografica. Per la quale anche il supporto di Elon Musk, come si diceva prima, è risultato un fattore importante. Inoltre, parte dell’elettorato giovanile disapprova il modo in cui l’Amministrazione Biden-Harris ha risposto alla guerra di Gaza, e ciò potrebbe influenzare il suo tasso di partecipazione al voto.»

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Le recenti polemiche su possibili interferenze esterne e la sicurezza del voto per posta (sono girati video anche con cumuli di voti al rogo) sono un argomento caldo, che sta tenendo banco in questi ultimi giorni. Quanto incidono queste questioni sulla fiducia degli elettori e sull’immagine dei due candidati?

«Il dibattito è polarizzato tra due visioni opposte e semplificate: da una parte, chi sostiene che il sistema elettorale statunitense sia totalmente sicuro e che eventuali distorsioni possono essere causate solo da influenze della propaganda straniera; dall’altra, chi ritiene il sistema troppo vulnerabile a irregolarità. Trump ha contestato le elezioni del 2020 per brogli, che sinora però non hanno trovato conferma in sede giudiziaria, e per la coordinata soppressione, da parte della maggior parte dei media, di uno scandalo riguardante il figlio di Biden. Per questo Trump è stato dichiarato “nemico pubblico,” ma è riuscito a sopravvivere politicamente fino alla ricandidatura.

Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che anche Hillary Clinton prima ha riconosciuto la sconfitta, ma poi ha messo in discussione la legittimità della vittoria di Trump nel 2016, attribuendola a interferenze russe. In questo clima, le due parti tendono a delegittimarsi reciprocamente. Un indicatore utile sulla fiducia degli elettori sarà l’affluenza: chi si azzarda a fare previsioni, prevede che sarà più elevata rispetto a quella delle elezioni del 2008, 2012 e 2016, e in leggero calo solo rispetto alle elezioni del 2020, che sono state caratterizzate però dalla diffusione della modalità di voto a distanza, in un momento in cui gli elettori, a causa delle restrizioni per la pandemia, non avevano molto altro da fare.»

In una parola, cosa cambierà per l’Europa in caso di vittoria dell’uno o dell’altro candidato?

«Non dobbiamo attenderci sconvolgimenti, l’Europa è pur sempre parte cruciale della sfera di influenza americana, a cui Washington non intende rinunciare. Potrebbero, semmai, cambiare toni e modi nei rapporti. Per l’Europa, una vittoria di Harris rappresenterebbe la continuità nelle relazioni transatlantiche e nei temi della difesa e della sicurezza. In caso di vittoria di Trump, invece, è possibile prevedere un approccio più basato sulla condizionalità, con singoli Stati europei che potrebbero trovarsi a dover negoziare direttamente con Washington su alcuni dossier importanti. Questo potrebbe accentuare le tensioni e minare ulteriormente la solidarietà interna all’Unione Europea.»

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