All’ora di cena di lunedì 28 ottobre 2024 Tetiana, maestra di asilo nido, e suo figlio adolescente Marko hanno sentito un boato fortissimo. L’impatto era stato più violento e vicino di tutte le altre volte. Il palazzo ha fatto un sussulto, le tende hanno cominciato a svolazzare.

Sono corsi nel corridoio, e, seduti per terra, in attesa di nuovi colpi, hanno trovato nei canali di notizie locali la conferma di quanto avessero già intuito: la bomba avio-comandata russa sganciata dall’aereo militare è arrivata a colpire nel cuore di Kharkiv, il palazzo di Derzhprom, simbolo della indole industriosa e resistente della città. Subito hanno cominciato a fioccare i messaggi preoccupati dai parenti che vivono altrove: “State bene? Siete al sicuro?!”

Tetiana non aveva tempo di rispondere: quando è cessato l’allarme, è andata a controllare in che stato fossero le stanze affacciate sul palazzo colpito. I vetri frantumati erano piovuti sul davanzale, finendo nei vasi di fiori e spezzando le piante. Dopo aver pulito i vetri, verso mezzanotte è uscita per portare i termos con caffè e tè ai volontari accorsi sul sito del disastro.

Così ha visto con i propri occhi ciò che restava dei due piani in cui era ubicata la Corte d’appello, distrutti dalla bomba russa. Nelle finestre accanto c’era ancora la luce accesa: qualcuno era rimasto a lavorare fino tardi. I feriti, estratti dalle macerie, erano già stati portati via, e i volontari avevano offerto scorte di cibo per le squadre dei soccorritori. Dalle tubature interne spezzate usciva l’acqua, gli idraulici si davano da fare per evitare che, viste le temperature prossime allo zero, l’acqua si gelasse, gli elettricisti badavano alle strutture di loro competenza.

Una veduta di Derzhprom dopo il bombardamento, 29 ottobre 2024, foto di Marko Yuhta.

Una città senza scudo

Non è che sia una novità per la gente di Kharkiv vedere ridotto in macerie un palazzo. Dopo due anni e mezzo di invasione russa, è successo innumerevoli volte. Per abbattere gli aerei che bombardano Kharkiv, ci vogliono tanti F-16, ma sono pochi e concentrati altrove. In assenza, la città resta senza difesa anti-aerea. La vicinanza al confine con il paese aggressore espone ai colpi russi lo spazio aereo sulla seconda città più grande del paese. E loro, immancabilmente, tornano a torturare la città che non si arrende.

Variano i quartieri, gli orari, il numero di vittime, ma gli attacchi sui civili accadono continuamente. La stessa sera sono stati colpiti un ospedale e dei palazzi residenziali, causando quattro morti. Nei giorni successivi al lungo elenco di tragedie si è aggiunto un palazzo residenziale centrato dal missile: ancora, adulti e bambini uccisi. Ma il colpo su Derzhprom ha una valenza particolare, che va oltre i sette civili feriti, gli uffici crollati e bruciati, e le finestre rotte in tutto il quartiere, incluso l’ospedale vicino.

La cittadella dell’industria

Il complesso edilizio è composto da nove torri di altezza che arriva fino a tredici piani, unite da tre corpi di fabbrica, interconnessi da passerelle sospese in aria. Costruito nel 1925-28, è un unicum nel suo genere: un grattacielo modernista in cemento armato, eretto nell’epoca quando le attrezzature erano ancora obsolete, ma le idee degli architetti erano già modernissime. Questo cantiere senza precedenti è stato avviato con grande impiego di manodopera, che lavorava in tre turni armata inizialmente da pale e carriole. Fra loro c’era il nonno di Tetiana, all’epoca giovane studente in cerca di primo guadagno, impegnato a scavare a mano l’enorme buca per le fondamenta del Derzhprom.

Una immagine del 1925 ritrae gli operai al lavoro per la costruzione dell’edificio Derzhprom, Pubblico dominio.

Il palazzo, all’epoca ubicato alla periferia della città ancora tutta da sviluppare, è ora centralissimo. La sua funzione era di ospitare gli enti governativi, ministeri e la direzione della costruenda industria ucraina, da cui il nome Derzh + prom, abbreviazione di “Industria statale”.

Oltre agli uffici, questo microcosmo conteneva una mensa, una biblioteca, una centralina telefonica autonoma, un archivio, una stazione radio, un ufficio postale, una stamperia, un’infermeria, una foresteria, un salone di parrucchiere e numerose officine; nel 1949 si è aggiunto il primo studio televisivo sperimentale. Anche gli arredi interni erano definiti fino all’ultimo dettaglio: le grandi vetrate rivolte a oriente, per incanalare la luce del tramonto che rende l’edificio quasi trasparente; le maniglie in rame che all’epoca era considerato un materiale battericida; dettagli di arredo ligneo con incise le iniziale D e P; gli ascensori talmente di qualità che metà sono ancora in funzione: tutto questo per un edifico pubblico.

Era un palazzo certamente iscrivibile nell’ambito del costruttivismo sovietico, ma che osava spingersi oltre ai limiti dei canoni socialisti, affermando la specificità ucraina e la sua voglia di staccarsi dal passato. Per questo è rimasto ancora al centro dell’affetto dei kharkoviti, anche dopo l’ondata di decomunizzazione che ha spazzato dal piedistallo il monumento a Lenin, che nel periodo sovietico dava le spalle a Derzhprom.

Le leggende e la realtà

Naturalmente, questo oggetto d’orgoglio degli abitanti di Kharkiv è circondato da numerose leggende. Per esempio, si diceva che la foto di questo palazzo si trovasse nell’Enciclopedia Britannica alla voce “costruttivismo”. Nessuno di noi è andato a verificare se è vero, ma questa leggenda ci faceva sentire parte della storia dell’architettura mondiale, che elevava Kharkiv dall’anonimato e dal grigiore sovietico, accomunandola alle città aperte ai sogni e alle sperimentazioni dei futuristi, e diventando una fonte di ispirazione per gli architetti di tutto il mondo.

DerzhProm al tramonto, foto di Tetiana Yuhta.

Un’altra leggenda dell’immaginario comune, basata sui fatti veri, riguardava la Seconda guerra mondiale. Nel 1943 gli occupanti tedeschi avevano minato Derzhprom, ma non sono riusciti a farlo esplodere. Ora però Kharkiv è di nuovo sotto attacco di un paese dittatoriale, che di solito sceglie dove sparare a casaccio, ma in questo caso ha scelto una preda ad alto valore emotivo.

Derzhprom si affaccia sul giardino che adorna la piazza centrale della città, affiancato a sinistra e a destra dall’università. Dietro c’è un quartiere costituito negli anni Trenta per chi lavorava nel mondo accademico o nelle numerose fabbriche che sorgevano all’epoca. Lo stile geometrico minimale delle case, ammorbidito dai verdi giardini negli ampi cortili, faceva eco alla cifra stilistica del Palazzo dell’Industria.

Il luogo dell’anima e dell’arte

Io e Tetiana siamo cresciute letteralmente all’ombra di DerzhProm: i nostri genitori lavoravano all’università e le nonne ci portavano a giocare nel parco. Per noi, e per tanti altri amici, era insieme la culla e la fortezza, il luogo d’anima che serba il ricordo indelebile dell’infanzia, e l’espressione tangibile della forza e della resilienza dei kharkoviti.

Questo edificio è talmente amato, che ha ispirato gli artisti di Kharkiv a creare oggetti che permettono di portare Derzhprom in giro per il mondo, come ad esempio, l’anello d’argento della casa di gioielleria Oringo. Il designer Patriсk Cassanelli ha creato un logo in stile futurista che si può comodamente applicare a tutto, dalle felpe alle magliette ai patch militari.

Non poteva essere diversa la location dell’omaggio alla amata città, girato dal gruppo musicale Papa Karlo. L’hanno fatto nei primi mesi dopo l’invasione russa, documentando nel loro rap l’umore della città pronta a resistere. Sullo sfondo, alle spalle dei ballerini, si notano i panelli di compensato: le finestre erano state spaccate dall’onda d’urto che è arrivata dall’altro lato della piazza, dopo che i russi hanno colpito il palazzo del Municipio.

In attesa dell’Unesco

Grazie all’importanza di questo complesso architettonico, dall’aprile del 2017 Derzhprom è inserito nella lista delle candidature del Patrimonio dell’umanità Unesco. Questo status in teoria, oltre a sottolinearne il valore, dovrebbe rendere il sito intoccabile, visto che appartiene all’umanità intera. Per l’esercito russo questo status vale solo come incitamento a colpire, visto che hanno preso di mira più volte i siti Unesco, bombardando il centro storico di Lviv e quello di Odessa. Anche Derzhprom dal 2023 è considerato “patrimonio dell’umanità a rischio” ma poco è cambiato a livello reale.

Forse, si potrebbe obiettare, questo status non è poi così importante, non conta nel mondo d’oggi. Se guardiamo in Medio Oriente, vediamo che conta. quando gli israeliani avvertono i civili che i depositi di armi di Hezbolla della città di Baalbek verranno bombardati, i titoli dei giornali si allarmano per il sito archeologico Unesco, presente in questa città. Quando invece i russi colpiscono, senza alcun preavviso o reale utilità militare, un sito Unesco in Ucraina, meno esotico e più vicino, cancellando insieme alle strutture le vite umane, i Tg italiani non lo considerano nemmeno meritevole di una menzione. E questo silenzio amplifica il dolore.

DerzhProm la mattina del 29 ottobre 2024, foto di Tetiana Yuhta

Il giorno dopo Tetiana aveva scritto: “Derzhprom era la mia fortezza personale. Lo consideravo indistruttibile, eppure i mostri venuti dall’altra parte della frontiera l’hanno ferito. Loro, quei mostri, non sanno creare nulla con le loro mani, sanno solo rovinare. Rovinare qualsiasi cosa. Vite, destini, palazzi… Noi ricostruiremo Derzhprom, a loro invece aspetta un pentolone bollente esclusivo all’inferno!”

Accanto al coraggio della resilienza, arriva dal cuore di Kharkiv ferita l’amarezza di ciò che non si potrà ricostruire: le vite umane, e la fiducia nelle istituzioni mondiali, che dovrebbero agire in modo deciso, invece di permanere nel limbo della loro ignavia.

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