Sfida Trump-Harris al rush finale
A poco più di una settimana dalle elezioni presidenziali americane proviamo ad analizzare proposte, idee, dichiarazioni e comportamenti dei due candidati alla Casa Bianca.

A poco più di una settimana dalle elezioni presidenziali americane proviamo ad analizzare proposte, idee, dichiarazioni e comportamenti dei due candidati alla Casa Bianca.
Manca poco ormai all’elezione che tutti aspettano, che qualcuno arriva a dire potrebbe cambiare il mondo. Per provare a capire qualcosa sulle posizioni dei due contendenti, l’ex Presidente Donald Trump e la Vicepresidente uscente Kamala Harris, proviamo ad effettuare un’analisi che combina le dichiarazioni elettorali e i comportamenti tenuti durante i rispettivi mandati. Se ne ricava un contesto mai tanto polarizzato, con visioni estreme e opposte sui principali temi di interesse generale, sia sul fronte domestico sia su quello internazionale. Partendo proprio dalle basi.
Inutile cercare parafrasi, Harris vede Trump come una minaccia diretta alla democrazia, seguita a ruota da una pletora di star che si sono schierate, ultimo il Boss Springsteen che ha definito l’ex Presidente un “potenziale tiranno”. Mentre Harris si pone come la paladina della giustizia e richiama i suoi successi giudiziari, Trump conta i processi che lo coinvolgono.
Harris si appella ai Repubblicani ricordando il ruolo del loro leader nelle insurrezioni a Capitol Hill e, nello stesso momento, Trump insiste a definire le elezioni del 2020 una truffa e non ha risposto alla domanda se accetterà il risultato 2024.
I Democratici professano e sostengono l’indipendenza della magistratura nell’applicazione delle leggi federali. Trump, invece, ha detto che si circonderà di lealisti, promesso vendetta contro gli oppositori e contro giudici e avvocati Dem. Insomma, nessun punto di contatto.
Sull’economia, la ricetta ricorda quelle della nonna: prendi quattro patate, cinque se sono piccole, le fai bollire in tanta acqua così con un po’ di sale, quel che serve e quando sono pronte le mangi.
Dichiarazioni fuffose, senza direzione propria, soprattutto senza soluzioni pratiche o indicazione di strumenti da attivare o eliminare. Viene considerato tema minore, visto il buon miglioramento del quadro macroeconomico negli ultimi mesi, e i candidati si limitano a frasi di circostanza.
Harris nota che i prezzi sono ancora alti, che vuole creare una economia delle opportunità basata sulla classe media, che intende combattere la bolla dei prezzi immobiliari e favorire l’acquisto della prima casa e aiutare le famiglie con bambini. Propone tagli alle tasse per i ceti meno abbienti e si dichiara favorevole a esenzioni a favore delle piccole imprese.
Trump fa girare la sua strategia anti-inflazione sulla riduzione dei costi dell’energia e non lesina critiche ai rialzi dei tassi. Dichiara che il Presidente dovrebbe essere consultato dalla Federal Reserve, altro distacco forte dal principio democratico dell’indipendenza della banca centrale. Sulle tasse, anche Trump millanta tagli ulteriori (dopo quelli del 2017) ma a favore delle imprese, le “sue” corporation, che producono negli USA.
Per quanto riguarda il commercio internazionale, Harris intende mantenere la linea Biden, con dazi ragionevoli e mirati a migliorare la competitività statunitense e ambiziosi investimenti in infrastrutture e rinnovabili. Trump si autodefinisce “uomo dei dazi” e considera l’autarchia la soluzione a tutti i problemi. Parla di dazi tra il 10-20% su tutte le importazioni, addirittura al 60% per i beni in entrata dalla Cina.
Harris tenta di recuperare su quello che è visto come un suo punto debole. Racconta di un piano per introdurre pene severe per chi tenta di chiedere asilo al di fuori dei canali legali e accusa i Repubblicani di aver bloccato un disegno di legge bipartisan per rafforzare la sicurezza ai confini e riformare il tema dell’immigrazione. Da Vicepresidente ha visto il maggior numero di arresti al confine del Messico nella storia e ha sostenuto la necessità di creare processi legali per la regolarizzazione dei clandestini, specie quelli portati negli USA da bambini.
Per Trump questo è invece un cavallo di battaglia, a cui dedica aggettivi forti e definizioni radicali. Per cominciare, promette di “andare oltre” nel suo programma “Remain in Mexico” e di reintrodurre il rifiuto del visto a chi arriva da paesi musulmani. Promette di eliminare lo schema temporaneo di protezione agli illegali, anche minori, e di imporre uno “screening ideologico” ai potenziali richiedenti asilo. Senza contare l’uscita sugli haitiani che “mangiano i cani e i gatti domestici” o quella, terrificante per il richiamo a Hitler, per cui gli immigrati “avvelenano il sangue della nostra nazione”. Eppure, a qualcuno piace.
Harris considera le attività umane come parte dell’equazione che porta alla crisi climatica e durante la sua carica è intervenuta per approvare la legge più significativa del Paese in tema di crisi climatica, con investimenti nelle rinnovabili. Allo stesso tempo, l’amministrazione Biden ha visto produzioni record di petrolio e gas e Harris fa ora un passo indietro sul Green New Deal, che avrebbe interrotto il fracking. Si dice a favore delle auto elettriche e di crediti fiscali per l’energia pulita, ma senza imposizioni.
Dove Harris lascia fumo, Trump invece porta tempesta. Definisce la crisi climatica un “mito” e una “balla costosa”, ripetendo spesso in campagna elettorale lo slogan “drill, baby drill”. Dice che lavorerà per aria e acqua pulita ma allo stesso tempo propone di eliminare tutta la burocrazia ambientale alle imprese. Odia in particolare le pale eoliche che “uccidono gli uccelli, causano il cancro e fanno impazzire le balene”.
Tanto divisive e opposte sono le opinioni e le dichiarazioni dei candidati, tanto appare inquieto e indeciso il popolo americano, con i sondaggisti costretti ad aggiornare i numeretti di continuo. In questo momento, mentre scriviamo, Harris sembra in vantaggio minimo (47% vs 46%) ma il balletto non è ancora finito.
Molti voti sono già arrivati: le urne aprono in fasi progressive nei vari Stati dell’unione ed è molto usato il voto per corrispondenza. Molti altri saranno noti soltanto dopo la fatidica data del 5 novembre, quando il mondo intero si fermerà un momento, per capire quale corso decideranno gli americani per se stessi e per il pianeta su cui hanno ancora una enorme influenza.
Chissà se per un solo giorno potranno fermarsi anche i bombardamenti, le guerre. Il genocidio.
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