Con la candidatura agli Oscar 2025 del film “Vermiglio” la Biennale Cinema di Venezia ha confermato un trend ormai assodato, ovvero che i film vincitori del Leone d’argento concorrono poi agli Academy Awards. La pellicola di Maura Delpero al momento è in lizza per la shortlist che include i quindici migliori film internazionali selezionati dall’Academy e che sarà resa nota il 17 dicembre 2024.

Si può dire però che la direzione della rassegna lagunare da parte di Alberto Barbera pare esser vincente: dal 2012 fino ad oggi ha portato Venezia sempre più verso Hollywood, dando molto spazio al cinema occidentale americano.

La conseguenza è la presenza sempre più determinante delle star americane alla Mostra veneziana: i dati delle presenze al Lido e della vendita dei biglietti hanno confermato il successo di questa edizione.

Diversa per vari aspetti la direzione di Marco Müller che dal 2004 al 2011 ha guidato la Biennale Cinema con un taglio più determinato verso le pellicole orientali e russe, non trascurando quello occidentale e l’animazione, dando quindi al Festival un approccio a realtà a noi culturalmente lontane.

Il successo di “Vermiglio”

Tra i cinque i film italiani in concorso – “Campo di battaglia” di Gianni Amelio, “Iddu-l’ultimo padrino” di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, “Diva Futura” di Giulia Steigerwalt, “Queer” di Luca Guadagnino e “Vermiglio” di Maura Delpero -, quest’ultimo, seconda opera della regista bolzanina dopo “Maternal”, ha sbaragliato ricevendo il Leone d’argento – Gran premio della giuria.

Un film nato dopo la morte del padre della regista nel 2019, un film di restituzione e descrizione di un mondo ancestrale dove i valori si mescolavano ai desideri, dove “si è individui ma soprattutto collettività”. Ambientato a Vermiglio in Val di Sole, paese natale della famiglia, sulle montagne del Trentino, alla fine del secondo conflitto mondiale nel ’44, è un film corale, un racconto d’amore, di intimità ma anche di morte e di vita che si ricrea.

Un inno alla dimensione popolare

Al centro della famiglia c’è Cesare, padre e maestro di scuola (Tommaso Ragno) colto e austero, severo ma non violento, un padre che regge la scena in una sorta di sottomissione femminile. La regista riesce con una rara finezza a farci cogliere le dinamiche psicologiche e sociali, contornate da valori e ideali ora perduti, una sorta di sacralità della vita nonostante la dinamica guidata e controllata della vita stessa, soprattutto per le donne.

Delpero riesce a farci sentire la guerra lontana eppur presente, in una sorta di distacco che sfiora l’astrazione ma salva la collettività, la dimensione intima a tratti diventa costringente eppure salvifica. Un film da presepe natalizio, hanno detto, quanto di più legato alla nostra tradizione e al nostro vissuto, con un accenno a una spiritualità vera e popolare.

Lo stile della regia, i colori dal verde delle montagne all’azzurro intenso del cielo, la semplicità della vita di tutti i giorni, il dialetto trentino come porta dell’anima, avvicinano “Vermiglio” per alcuni tratti ai film di Ermanno Olmi e, forse per altri, a quelli di Giorgio Diritti.

Due storie tra guerra e anti-Stato

Tra gli altri candidati e che ora stanno arrivando nelle sale cinematografiche si segnala ”Campo di battaglia”, di Gianni Amelio. Siamo nel 1918, anno decisivo per la prima guerra mondiale, vista nelle corsie di un ospedale. La forza del racconto sta proprio nelle storie dei corpi e delle vite dei soldati, alcuni martoriati dalle bombe, altri mutilati volontariamente per evitare una guerra terribile e suicida. In mezzo a loro due medici, due logiche diverse, due comportamenti diversi: Giulio (Alessandro Borghi) che cerca di salvare i giovani dal tornare al fronte, Stefano (Gabriel Montesi) che considera la guerra come un dovere. Liberamente ispirato al romanzo La sfida di Carlo Patriarca, a Monicelli e girato tra Friuli e Trentino, “Campo di battaglia” stimola la riflessione sulla “guerra frutto dell’ingordigia umana” ma, a tratti, rivela qualche cedimento nello svolgersi della storia.

Toni Servillo e Elio Germano nel film “Iddu – L’ultimo padrino” di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza.

Iddu” di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza va in un’altra direzione. Sicilia, primi anni Duemila, Matteo Messina Denaro è latitante e non si riesce a trovare. Catello Palumbo, politico di lungo corso, dopo anni di prigionia, viene spinto dai Servizi segreti a cercare un rapporto con il suo figlioccio Matteo. Girato prima della cattura del boss Messina Denaro, il film mette a fuoco il carteggio avvenuto tra Catello e Matteo allo scopo di identificarlo e catturarlo. Il film gioca molto sulle grandi interpretazioni dei due attori, Elio Germano e Toni Servillo, per la prima volta sullo schermo insieme, che rappresentano una serie di caratteristiche archetipiche del politico siciliano omaggiando, nello stesso tempo, le classiche figure della commedia all’italiana.

Comencini e Costabile raccontano due padri radicalmente diversi

Presentato fuori concorso “Il tempo che ci vuole” di Francesca Comencini, un racconto struggente, forte e tenero del rapporto tra figlia e padre, tra Francesca giovane adolescente piena di problemi (un’intensa Romana Maggiora Vergano) e il papà Luigi (Fabrizio Gifuni), grande regista italiano che con coraggio dedica alla figlia tempo, affetto e forza. Mentre in Italia avveniva il sequestro di Aldo Moro e i fatti di Piazza Fontana, Luigi Comencini girava la Storia di Pinocchio. Francesca ripercorre quel momento con grande lucidità e allo stesso tempo con grande emozione. Un film che colpisce e che resta nella memoria.

“Familia” di Francesco Costabile è un film molto duro tratto dal libro autobiografico “Non sarà sempre così” di Luigi Celeste. Al centro, un rapporto familiare malato a partire dalla figura del padre. Un film sulla trasmissione della violenza nella cerchia ristretta della relazione tra marito e moglie, tra padri e figli, una sorta di melodramma nero che rivela una contaminazione di generi. Francesco Gheghi, che interpreta il figlio maggiore, ha vinto il riconoscimento come miglior protagonista maschile nella sezione Orizzonti.

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