La comunità dei Maliani in Italia e decine di movimenti, associazioni, ma anche singoli cittadini e cittadine veronesi e non solo, hanno organizzato per sabato pomeriggio una manifestazione per chiedere giustizia e verità per Moussa Diarra.

Un corteo che intende porre delle domande, instillare dubbi a chi non sembra volersene porre. Chi sta organizzando la manifestazione conosceva Moussa da anni: i suoi amici maliani che con lui frequentavano la moschea, gli attivisti e le attiviste del Laboratorio Autogestito Paratod@s che lo hanno ospitato a lungo al Ghibellin Fuggiasco, dove ha vissuto fino al giorno della sua morte, i volontari della Ronda della Carità o di One Bridge to, che lo hanno supportato nelle varie fasi di permanenza a Verona, e molti altri.

Tutti e tutte chiedono che venga fatta assoluta chiarezza su quanto avvenuto domenica mattina e che tutti gli elementi vengano a galla. Dall’autopsia effettuata ieri non sono emersi lividi, né escoriazioni di una possibile colluttazione con il poliziotto, né bruciature dovute a uno sparo avvenuto a una distanza ravvicinata, da corpo a corpo. Saranno poi le immagini delle numerose telecamere, presenti in uno spazio come quelle di una stazione, a chiarire la reale dinamica dei fatti.

Alcune domande

Perché un ragazzo che, come si racconta, fosse in stato di agitazione da due ore in giro per la città, non è stato monitorato con il supporto di telecamere e con un intervento specifico volto a gestire al meglio una situazione del genere? Perché più poliziotti, addestrati, in divisa e forniti di dotazioni non sono riusciti a gestire un ragazzo da solo con un coltello?

Perché non hanno usato le altre dotazioni in loro possesso, invece di usare quella più micidiale, una pistola, e nel modo più tragico, un colpo dritto al cuore? Fra l’altro un altro colpo è stato sparato ad altezza uomo ed è finito contro una vetrata, distante molti metri, e avrebbe potuto colpire qualche passante. E se non vi fossero state alternative, perché non si è sparato alle gambe o in altro punto non vitale? Possibile che non vi fosse proprio un altro modo per affrontare la situazione senza giungere a questa tragica conclusione?

È necessario, quindi, porsi dei dubbi e delle domande su questa vicenda, ma anche su chi fosse Moussa Diarra, come arriva in una domenica mattina qualsiasi a essere, come si racconta, in uno stato di alterazione. Sempre nel corso dell’autopsia sono emersi segni di vecchie cicatrici, segni di un passaggio nei lager libici dove ha subito numerose torture e violenze che lui stesso ha raccontato, luoghi in cui ha perso uno dei suoi fratelli con cui aveva intrapreso il viaggio dal Mali verso l’Europa.

Era allegro Moussa, nonostante questo tragico trascorso, nonostante le sue difficoltà a trovare un lavoro stabile, nonostante lavori mal pagati (e anche su questo si cerca di capire di più rispetto al suo lavoro attuale), nonostante le sue enormi difficoltà a trovare una stanza in affitto, affitto sempre negato (nonostante il lavoro) che lo ha costretto a vivere al Ghibellin Fuggiasco, la struttura destinata a chiudere nel giro di poco dato le sue condizioni precarie e che rendeva il suo futuro ancora più incerto.

Pochi mesi fa Moussa aveva perso il papà e il suo essere distante dalla famiglia, non poter essere vicino alla madre per supportarla lo faceva soffrire molto. Tutto questo ha portato o riportato Moussa in uno stato di depressione, per molti latente, che gli faceva assumere dei medicinali come cura. Una cura che forse sarebbe dovuta arrivare negli affetti, in un’assistenza sociale più stabile e meno frammentata, in una società più umana, in una casa meno fatiscente, in un lavoro meno precario e meglio retribuito, in una vita più giusta, una vita che nel proprio percorso non ti porta alla disperazione in una domenica mattina disumana.

Il corteo

Sarà un corteo pacifico che toccherà nel suo passaggio alcuni punti simbolo della città come il tribunale, il comando dei vigili urbani, ma soprattutto la questura. Un percorso simbolico, in attesa di approvazione da parte delle autorità, che vuole mettere chiaro una cosa: Moussa in questa morte non è solo, è accompagnato e non saranno ammesse facili conclusioni da chi è tenuto a indagare con estrema attenzione, senza condizionamenti.

A confermare che Moussa non è solo, che i movimenti, le associazioni e un folto gruppo di cittadini e cittadine si siano unite attorno a lui come fossero la sua famiglia e i suoi affetti, oltre alla manifestazione è stata organizzata anche una raccolta fondi per sostenere le spese legali e per dare sostegno ai familiari di Moussa.

Per chi intende partecipare l’appuntamento è fissato per sabato alle ore 14 in Piazza Bra a Verona. Questo il percorso: partenza da Piazza Bra – via ponte Cittadella – via Carlo Montanari – via santissima Trinità – via dello Zappatore (tribunale) – via del Pontiere (Polizia locale) – via Pallone – ponte Aleardi – via Galtarossa (Questura) – ponte San Francesco – circonvallazione raggio di sole – circonvallazione Oriani – via città di Nimes con arrivo nel Piazzale della Stazione.

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