Lo scorso giovedì 17 ottobre sedici persone sono state portate in Albania per gli accertamenti dovuti all’immigrazione irregolare. Durante il viaggio sulla nave militare questi 16 uomini, già selezionati sulla base del sesso e del paese di provenienza, sono stati interrogati per valutare la loro idoneità a rimanere nel nuovo centro per richiedenti asilo albanese. Secondo le analisi dei giornalisti di Report del 21 aprile tra l’altro, anche se fossero risultati idonei avrebbero comunque subito un ennesimo spostamento in Italia.

Nei Cpr italiani infatti meno del 50% delle persone trattenute vengono poi rimpatriate: i Centri vengono solo usati come detenzione amministrativa. “Secondo il protocollo” spiega bene Report “una volta ricevuto l’esito della loro domanda d’asilo, i migranti faranno ingresso in Italia sia se la risposta è negativa sia se è positiva”. Ma visti i dati del Report annuale 2024 sull’economia dell’Immigrazione dai quali risulta che i lavoratori immigrati contribuiscono all’8,8% del PIL italiano, viene da chiedersi: è davvero necessario espellerli dal Paese?

Immigrati: il loro lavoro genera il 9% del Pil

La Fondazione Leone Moressa, che analizza i dati con il sostegno di Cgia Mestre e il patrocinio di Oim, Maeci e Ilo, sostiene che negli ultimi decenni si è passati “dalla bomba demografica all’inverno demografico” e che tale recessione colpisce duramente continenti come Europa e Cina. L’immigrazione invece contribuisce positivamente, tanto che in Italia “gli immigrati rappresentano circa un decimo degli occupati e generano circa il 9% del Pil. Hanno un basso impatto sulla spesa pubblica e, al contrario, versano tasse e contributi e inviano denaro alle famiglie rimaste in patria”.

Per “inverno demografico” si intende la quarta fase della recessione, nella quale vi è bassa natalità e bassa mortalità, da cui derivano un invecchiamento progressivo della popolazione e un aumento relativo della componente più anziana. Dato che l’Italia si è già aggiudicata il titolo di paese più anziano d’Europa nel 2024 secondo Eurostat, con l’età media nazionale di 48 anni e il tasso di nascite più basso di tutto il continente, e che il numero di giovani espatriati tra il 2011 e il 2021 è aumentato del 281%, viene da chiedersi chi abiterà l’Italia nei prossimi decenni.

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Servono nuovi lavoratori

I lavoratori immigrati sono il 10% e contribuiscono al Pil italiano soprattutto nell’ambito dell’agricoltura e nelle costruzioni, producendo 164,2 miliardi di valore aggiunto. Nei prossimi cinque anni si calcola che le imprese italiane avranno un bisogno di manodopera pari a tre milioni di persone, questo grazie al ricalcolo delle pensioni (80%) e solo in parte alla ripresa economica (20%). Tale bisogno dovrà essere colmato con nuovi lavoratori che, secondo le previsioni Unioncamere – Excelsior, dovranno essere giovani, donne e immigrati.

I giovani expat saranno facilitati a rientrare in Italia con il decreto legislativo per il rientro dei cervelli attivo dal 1 gennaio 2024, mentre secondo il report di Unioncamere sarà necessario attuare delle politiche per attrarre lavoratori immigrati nel territorio. Seppure relegati a lavori di manodopera, i migranti sono spesso formati e lo dimostra il fatto che mentre gli imprenditori italiani sono diminuiti soprattutto al Centro-Nord del -6,4%, nel 2023 gli imprenditori immigrati sono aumentati del 27%.

Imprese di persone immigrate in costante crescita

In tutto le imprese migranti sono quasi 660mila e in costante crescita dal 2019, al contrario di quelle italiane che nello stesso periodo sono diminuite di numero. Secondo il Report di Futurae. Programma imprese migranti, progetto creato dal Ministero del Lavoro e alle Politiche Sociali con Unioncamere, questa tendenza è ascrivibile all’aumento delle società di capitale e il 79% di queste imprese straniere sono Extra-Ue. Marocchini, rumeni e cinesi sono gli imprenditori immigrati più longevi in Italia: i primi al Sud con servizi commerciali, i secondi al Nord nelle costruzioni e i terzi in Centro Italia nel manifatturiero e nell’intrattenimento.

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Parlando di tasse, le persone immigrate che contribuiscono al fisco italiano sono 4,6 milioni e nel 2023 hanno versato 10,1 miliardi di Irpef. Nonostante ciò, non essendo cittadini italiani spesso non beneficiano dei servizi come sanità e pensioni alle quali contribuiscono. Al contrario mantengono genitori e familiari dei paesi d’origine, arrivando a 12 miliardi di rimesse (tra formali e a mano) nel 2023.

Sebbene il lavoro in nero non sia incluso nelle valutazioni, ha certamente una grande importanza economica per l’Italia, pur non fornendo ai suoi lavoratori le giuste retribuzioni e certezze. Secondo le analisi quindi, in un Paese in cui il 70% dei giovani dichiara di aver bisogno di stabilità per poter creare una famiglia e in cui i pensionati aumenteranno nel quinquennio 2024-2028, le risorse primarie da valorizzare potrebbero essere le stesse che ad oggi vengono marginalizzate.

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