Ci sono gli anni, ventiquattro, e c’è l’asfalto che ti scorre sotto i piedi. Con quella curva che sta per arrivare. C’è anche lo scontro, tremendo, lo sai perfettamente che non lascerà scampo ma continui a rivedere le stesse immagini nella speranza di scoprire finalmente un finale diverso.

James e Marco, due corpi, diversi e distanti, la stessa voglia di sentire la velocità che ti scompiglia i pensieri e fa scivolare via i fantasmi. Sfrecciare per sentirsi più liberi. Certe volte la vita ci regala dei fratelli che mai avremmo pensato.

Marco Simoncelli faceva a sportellate con tutti e con la vita, ma sempre con un sorriso da riviera e lo sguardo sbarazzino di chi non vuole lasciar scappare via l’infanzia e la casa di Coriano, gli amici di una vita. Sei abituato a vederlo cadere e rialzarsi con quella faccia scanzonata alla Rino Gaetano, scrollarsi la polvere dalla tuta pronto a rimontare in sella.

Capita invece che una mattina d’ottobre di tredici anni fa la moto ti trascini in una traiettoria impazzita, proprio sotto le ruote dei fratelli con cui condividi la passione più grande. Il cielo è grigio a Sepang, il casco rotola sull’erba e l’Italia ammutolisce.

Jimmy Dean è sceso dalla vita in un tramonto di settembre sulla strada per Salinas, la Porsche 550 spider fila in un paesaggio che sembra uscito dalle pagine di Kerouac. Certe macchine sono donne esigenti, devi sempre correre al massimo.

L’incrocio tra la 41 e la 46 ti sorprende dopo un lungo rettilineo, non hai il sole negli occhi eppure non vedi arrivare l’altra vettura. La Ford 1890 è più pesante, l’urto gli rompe l’osso del collo e le lamiere infilzano la t-shirt bianca. È il 30 settembre 1955 e l’aria profuma ancora in California.

A vederli Marco e Jimmy sono distanti anni luce, eppure chi si ribella ha sempre qualcosa in comune. C’è chi lotta per conservare divertimento e spensieratezza in uno sport dove l’elettronica è sempre più decisiva, per avere amici e non colleghi. E pazienza se per questo ti sei giocato qualche podio e qualcuno si è pure arrabbiato, vuoi mettere quanto ti gasa un sorpasso tirato al limite?

James è l’urlo di una generazione. La malinconia di chi tra ciak e feste non riesce a trovare se stesso e sente una solitudine umida entrargli nelle ossa ogni mattina. Era a suo agio in pista, ma un contratto gli impediva di correre, troppo rischioso, ma tu sei Dean, te ne freghi e disobbedisci. Puoi far sognare, e non essere mai consolato.

Sbattuti fuori pista troppo presto. Marco sulla strada per diventare un campione, allievo di Rossi, che in lui riconosceva il suo stesso talento e la stessa voglia di scherzare. Il compagno con cui concedersi una giornata in sella alle enduro, lontano dal paddock e dal rumore dei microfoni. La faccia di Valentino dopo l’incidente atterrisce, lo sguardo nel vuoto, e i lineamenti che forse per la prima volta riportano sulla terra l’eterno Peter Pan delle due ruote.

James era un giovane attore promettente, un solo film da protagonista nelle sale da pochi mesi, Gioventù Bruciata e Il Gigante sarebbero arrivati dopo, assieme alle nomination agli Oscar. C’è tempo per costruire un mito. Quello che non avete avuto. Elvis ha vissuto la sua grandezza prima di esserne stritolato, ed anche Senna ha portato milioni di brasiliani con sé sul trono del mondo, prima di Imola, la curva del Tamburello. Curve, sempre loro.

Certi ribelli attraversano, ma non arrivano.

C’è chi osserva la vita al sicuro, dall’altra parte della finestra, e chi invece la prende come il vento sulla faccia, a mille all’ora. Perché quella curva lì davanti pare fatta apposta, troppo bella. E allora dai gas al tuo destino, ancora una volta.

Marco, Jimmy, bye bye.

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