Il volto di “Report” ha presentato il suo ultimo libro, edito da Bompiani, lo scorso 4 ottobre al Teatro Alle Stimate di Verona, presentazione curata dalla libreria indipendente “Libre” di Verona e coordinata da Valentina Cristanini. Lo ha intervistato il giornalista veronese Matteo Scolari. Tra le collaborazioni nell’organizzazione della serata anche la cooperativa sociale “La Faedina” di Sant’Anna d’Alfaedo, che ha donato ai partecipanti un segnalibro creato dai ragazzi.

L’autore e il libro

Sigfrido Ranucci sale sul palco con la sua consueta mitezza e il volto sorridente, come lo si vede quando presta il suo volto alla trasmissione di giornalismo d’inchiesta in Rai. Apre il dialogo motivando la sua presenza. Avrebbe potuto promuovere il suo libro come ospite in molte trasmissioni televisive, parlando ad una telecamera, ma ha preferito essere tra la gente, poter vedere il pubblico e dialogare con le persone. E il sold out anche a Verona è la prova che è stata una giusta decisione.

“La Scelta” è un titolo sintesi dei due aspetti principali della sua vita: la famiglia e la professione. Nel libro, infatti, ci sono i racconti in prima persona delle inchieste più famose di Report, dal “Tosi gate” al Covid. Ma c’è anche un intimo racconto del suo rapporto con il padre, finanziere e sportivo, di quello con la madre, insegnante metodica, e dell’influenza che hanno avuto nella gestione di alcuni casi.

Il significato del titolo “La Scelta”

Si parte dal titolo, proposto dalla casa editrice ma ben accettato anche dall’autore. «La scelta riguarda sia la professione che la vita privata. Questo libro è stato prima di tutto un atto d’amore nei confronti della libertà di stampa, della resilienza che si impiega quotidianamente per mantenere alta l’asticella della libertà di stampa. La democrazia in questo periodo è in difficoltà, non solo in Italia, come si legge ogni giorno dalle notizie della stampa mondiale. Noi diciamo sempre di vivere nella culla della cultura, in Europa. Ma ci si dimentica che proprio in Europa, negli ultimi anni, sono stati uccisi ben cinque giornalisti. Sono stati uccisi per le loro indagini sui rapporti tra criminalità organizzata e politica e per i loro omicidi non ci sono ancora colpevoli. Solo in Italia ci sono quasi 300 giornalisti sotto protezione o scorta per il lavoro di indagine che svolgono. L’Italia detiene il record mondiale di denunce e querele di politici nei confronti dei giornalisti».

Continua poi spiegando delle nuove leggi liberticide in via di approvazione: dal prossimo gennaio i giornalisti che pubblicheranno notizie illecitamente raccolte rischiano addirittura il carcere. Questa norma si ritorce soprattutto contro i giornalisti che operano in contesti internazionali, che magari operano sotto copertura e che solo grazie a lunghe indagini riescono a recuperare documenti di pubblico interesse. Pensiamo ai Panama papers, ai milioni sottratti al fisco italiano e riversati nei paradisi fiscali. O a denunce di assenza o violazione dei diritti dell’uomo nelle carceri o in alcuni stati. Ma anche a descrizioni di situazioni gravissime nelle zone di guerra. Tutte queste indagini, non preventivamente autorizzate, potrebbero costare la libertà ai professionisti delle notizie. In America a simili giornalisti e giornaliste si darebbe un premio, in Italia si propone il carcere.

Foto: Giulia Dal Bosco

Le difficoltà e le soddisfazioni

Nel libro, Ranucci racconta che il giornalismo così fatto lo ha aiutato a scegliere. E mentre descrive le indagini sull’ex sindaco di Verona, Flavio Tosi, e le infiltrazioni mafiose nel territorio veronese, si capisce perché. Una trama di dossieraggi falsi, di richieste di denaro in cambio di informazioni, di minacce personali per arrivare all’apice con la pubblicazione di notizie contro di lui e della trasmissione, create ad hoc per screditarlo prima che “Report” uscisse con il servizio. Una narrazione falsa e parallela che, messa sulla pubblica piazza da testate famose, ha portato il giornalista a pensare addirittura di porre fine alla sua vita.

Il tempo in questo caso è stato galantuomo. Sono passati gli anni e si sono ultimate le indagini con condanne e conferme della presenza della ‘ndrangheta in Veneto e delle collusioni con alcuni politici veronesi. Ma la memoria (sempre troppo corta) della collettività rimane macchiata e “Report” è ancora visto da molti veronesi come una trasmissione che voleva e vuole solamente infangare la città.

I ragazzi della cooperativa sociale La Faedina Cooperativa sociale di Sant’Anna d’Alfredo. Fondata nel 1989 per seguire le attività legate al servizio civile all’interno del territorio comunale, dal 2011 accoglie giovani diversamente abili e li inserisce in percorsi di crescita professionale in enti pubblici e privati. Foto: Giulia Dal Bosco

I preziosi collaboratori che costruiscono Report

A tal proposito, nel libro si evidenzia l’importanza della squadra ma anche la solitudine di alcuni momenti. Ci si prepara a ciò? Come si affronta la solitudine? Alle domande del moderatore Scolari, Ranucci racconta: «Ero in parte preparato perché Milena Gabanelli mi aveva messo in allerta. Quando mi ha consegnato la conduzione della sua trasmissione, che era come un figlio per lei, mi aveva un avvisato. La scelta di svolgere un’indagine, di approfondire un argomento, di affrontare un determinato percorso è individuale. Quello è il momento in cui si è soli: la decisione. Quando però si decide di portare avanti la scelta, arriva la squadra. Che rimane sempre al tuo fianco, altrimenti non si va da nessuna parte. La squadra è poi sempre lì, pronta a fare sacrifici e mettere a repentaglio la propria sicurezza pur di difendere la libertà di stampa e mantenere il pubblico informato nel modo più completo possibile».

Foto: Giulia Dal Bosco

A chi accusa “Report” di essere contro la destra, di fare solo indagini su una certa classe politica, risponde smentendo con i numeri: l’ex ministro della Salute, Roberto Speranza, è il detentore del maggior numero di indagini. Così come a chi sostiene che la trasmissione si occupi principalmente di temi “comodi”, risponde che si sono occupati dei vaccini e del caso AstraZeneca, pur sostenendo la necessità di una campagna vaccinale. Ovviamente se un governo rimane in carica per molto tempo, sarà più facilmente sottoposto a indagini, trattandosi di verifiche di interesse collettivo.

Come si fa il giornalismo d’inchiesta

Foto: Giulia Dal Bosco

Ranucci precisa, però, che questo tipo di trasmissione, nonostante le contraddizioni dell’amministrazione e i tentativi di ingerenza della dirigenza, la si può produrre solo nel servizio pubblico. Alcuni interessi economici sarebbero infatti impossibili da toccare nelle reti private perché verrebbe meno l’ingaggio pubblicitario di alcune industrie o farebbero fatica a far fronte a centinaia di cause.

A chiudere l’incontro le domande del pubblico, tra cui il quesito su come si diventa un giornalista d’inchiesta. Ranucci risponde con sincerità, ricordando la sua timidezza da bambino, vinta dalla curiosità. «Il dubbio e la curiosità sono la base di questa professione. Il pubblico è il tuo interlocutore e per non tradire il mandato che ti è stato affidato occorre andare sempre a fondo di ogni indizio, notizia, soffiata. Non ci si deve mai fermare a ciò che ti è stato riportato da altri, ma verificare e approfondire ogni dettaglio. In ambito politico soprattutto».

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