Dopo settimane a discutere sul format, habemus dibattito elettorale. L’ex presidente USA Donald Trump e la vice presidente in carica Kamala Harris arrivano allineati nei sondaggi e puntano tutto su questa occasione per convincere una consistente minoranza di indecisi, in vista del 5 novembre.

Senza pubblico in sala e col microfono spento a turno, lo scontro viene trasmesso in diretta dalla ABC e condotto da Linsey Davis e David Muir, giornalisti di lungo corso che si sono distinti per la tenacia nel richiamare i candidati al tema della domanda e a smentire subito le fake news. Si comincia con Harris che si avvicina al contendente e si presenta, a rivendicare chi comanda e a sottolineare come i due non si siano mai incontrati prima di persona.

Toni opposti

Il dibattito è acceso, coinvolgente, e spesso deraglia dalla domanda. Harris si concentra nel sottolineare che ha un programma, in risposta alle critiche sul suo silenzio. Delinea un’idea di amministrazione rivolta verso il futuro, in opposizione alla «America del passato» proposta da Trump.

Lui punta sulle solite retoriche ad alto volume dei convegni elettorali e appare spesso titubante nel fornire soluzioni. Preferisce lanciare accuse e disinformazione, ripetendo frasi fatte e spesso già smentite. Per esempio, si rifiuta ancora di ammettere la sconfitta del 2020 e sull’insurrezione del 6 gennaio 2021 a Capitol Hill, era lì «solo per fare un discorso» mentre erano altri (Nancy Pelosi, nda) i responsabili della sicurezza.

La forma e il contenuto

Abbiamo analizzato le parole, le bugie e le frasi vuote tipiche di ogni dibattito del genere, da entrambe le parti in gioco. Ma abbiamo anche osservato la mimica facciale e il linguaggio del corpo dei due contendenti.

Trump si presenta con il suo solito atteggiamento sfrontato e finto-annoiato, spesso allarga le braccia e piega la testona bionda a sottolineare alcune delle barbarie commesse da Joe Biden. Guarda in camera quasi sempre, ignora Harris e la sua espressione è sempre arrabbiata e accigliata, quasi a mostrare – petto in fuori e sguardo fiero – chi è l’uomo nella stanza.

Harris adotta un approccio completamente diverso, sorride molto e si lascia andare a grasse risate quando ne sente una davvero esagerata. E ce ne sono state, molte. Rolling her eyes e sorridendo amabile, Harris sceglie di evitare la facile strada dell’insulto per puntare sulla pietas. E a rendere ridicolo il suo avversario. Ne sottolinea le frasi come fossero battute comiche, togliendo loro qualsiasi valenza politica.

Defusing Trump

“Disinnescare” la violenza nelle discussioni è una caratteristica che spesso alle donne riesce meglio. Ma in questo caso, Harris fa qualcosa in più: lascia che Trump scarichi il fucile contro di lei, solo per dimostrare che le pallottole sono a salve. Un esempio calzante: Trump urla che nessun americano sano di mente può votare una che vuole «far sparire tutte le armi, vuole togliere le armi agli americani». Harris, sempre sorridente, gli ricorda che lei stessa e pure il marito possiedono armi e sanno usarle (c’era una sfida nel tono?), che il tema semmai è regolamentarne la vendita.

Tattica inusuale ma efficace, almeno a giudicare dalle reazioni scomposte di Trump che in qualche caso si rifugia in gigantesche “boiate”, tipo la cittadina dell’Ohio dove gli haitiani «rubano i cani e i gatti dei residenti e se li mangiano per pranzo!». Esternazioni che diventano subito virali, si trasformano in meme e caricature in cui Trump diventa “lo zio scemo d’America”.

Foto da Unsplash di Connor Gan

Tattica che parte da lontano

Fin dalla convention Dem si era notato. Ne abbiamo già parlato ma merita qui ricordare che Harris definì Trump «un uomo poco serio» e il candidato vice presidente Tim Walz disse che i «repubblicani sono strani» ( e weird è diventato uno slogan ufficioso della campagna).

Michelle Obama lo aveva preso in giro sui “Black jobs” chiedendo sarcastica alla folla «e ora chi glielo dice che si candida per quello che è stato un “lavoro da neri”?». Lo aveva definito «un piccolo insignificante uomo», rincarando che puntare in basso «è meschino e per niente “presidenziale”». Sminuire e ridicolizzare, per una volta fatto da donne a un uomo. Piccole soddisfazioni.

Il diritto all’aborto

In apertura del dibattito, Trump varia dall’inflazione, al «marxismo» di Harris, fino alla volontà dei Dem di «uccidere i neonati» permettendo aborti fino al nono mese. Un nonsenso assoluto e infatti viene rimesso a posto dalla conduttrice che lo richiama ai suoi continui voltafaccia sul tema.

Incalzato da Harris che lo critica per la nomina dei tre giudici di Corte Suprema che hanno revocato la Roe v Wade nel 2022, Trump si prende orgoglioso il merito di tale decisione che definisce coraggiosa. Conferma di essere contrario all’aborto tranne in alcune eccezioni e non risponde se metterebbe il veto a una legge federale che vietasse l’aborto.

Harris definisce le frasi di Trump «un insulto alle donne americane» e dichiara, serena e frontale in primo piano, che «non serve abbandonare la propria fede o i propri valori per essere d’accordo: né il governo né Donald Trump dovrebbero dire a una donna cosa fare con il suo corpo». Ben giocata.

L’economia

I conduttori riportano la discussione verso i programmi elettorali, punzecchiando Harris per i pochi dettagli della sua visione. Lei elenca i fondamenti nebulosi della sua “economia delle opportunità”, tra riduzioni fiscali per chi inizia una piccola attività, esenzioni e sussidi per i nuovi genitori o chi compra casa per la prima volta. Un’elegia al sogno americano, all’ascensore sociale, proposto da «l’unica sul palco che pensa alla classe media». E che la conosce pure da vicino.

Trump dichiara di aver presieduto alla «miglior economia» per l’America, nonostante il Covid (sogghigni in studio, e a casa, ricordando il mitico, incredibile Donald di quei tempi), mentre Biden è riuscito solo ad «alzare i prezzi di tutto, la gente non può neanche uscire a comprare i cereali o il bacon». Gli viene ricordato che l’inflazione di agosto è sotto la media ma lui rimbrotta accusando Harris di voler trasformare il Paese in un «Venezuela con gli steroidi». Meraviglioso.

L’immigrazione

Harris devia in modo sfacciato una domanda sul tema migranti, vuole cogliere l’attimo per infierire su un Trump vaneggiante. Parla dei convegni elettorali del suo oppositore, invitando gli spettatori ad andarci per credere. Racconta che in queste occasioni Trump «parla di persone che non esistono, cita Hannibal Lecter e dice che le pale eoliche causano il cancro… parla di tutto tranne che di voi. Si lamenta di tutto ma non offre soluzioni, proprio come per l’immigrazione». Una chiusa che riporta alla domanda iniziale, furba.

Foto da Unsplash di Miko Guziuk

La provocazione funziona e l’ex presidente si perde sulle folle oceaniche che lo seguono, mentre Harris «è costretta a pagare la gente perché entri». Richiamato all’ordine dai conduttori che vorrebbero sapere come conta di deportare milioni di persone, lui sproloquia ancora di immigrati che mangiano i gatti e apre il fianco alla stoccata finale di Harris, che ricorda come siano i Repubblicani a bloccare al Congresso la nuova legge sui confini e ribadisce che «(Trump) preferisce usare il tema come argomento elettorale che risolverlo davvero».

La politica estera

Harris accetta le domande sulle guerre in Ucraina e Palestina ma risponde come da copione, un colpo al cerchio e uno alla botte. Invoca però espressamente la «sicurezza, auto-determinazione e dignità che i Palestinesi decisamente si meritano». Parole già sentite, mai in questa formulazione decisa.

Trump si limita a dire che «con lui Presidente non ci sarebbe stata guerra, che Putin non avrebbe neanche pensato di entrare in Ucraina». Incalzato su chi dovrebbe uscire vincitore, Trump vuole «che finisca la guerra, che si negozi una soluzione, per il bene dell’America e delle vittime innocenti».

Harris si prende l’ultima parola suggerendo che «la ragione per cui crede che da presidente farebbe finire la guerra in 24 ore è che si arrenderebbe subito. Putin avrebbe già preso Kiev e si mangerebbe il presidente (Trump) a colazione».

Una risata lo seppellirà?

È ancora presto per capire quale impatto abbia avuto il dibattito sugli americani ma la scelta di puntare sul ridicolo anziché sulla violenza verbale sembra piaciuta agli analisti e alla rete. Subito dopo la chiusura è arrivato l’endorsement della celebrità del momento, Taylor Swift, che si allinea al tono comico firmando il suo post “a childless catlady”, con riferimento espresso alle “gattare senza figli” che insistono su sta rottura dell’aborto (parafrasando JD Vance, candidato vice di Trump).

La tattica è semplice, elegante, da vera signora. E potrebbe anche rivelarsi vincente, per Harris, abbandonare l’approccio di Biden, che dipingeva un dittatore spaventoso pronto a distruggere la democrazia. Quello dell’«Hitler d’America» (parole di Vance) è un personaggio in cui Trump si riconosce e gongola, lo fa sentire forte, invincibile.

Meglio mostrarlo come un uomo che «ancora non ammette la sconfitta del 2020, non riesce proprio a digerire il fatto di esser stato licenziato da 81 milioni di americani». E la cosa forse più divertente è che Trump può incolpare solo se stesso per la strategia del ridicolo: fu lui, in un convegno lo scorso luglio, a dire che odia quando ridono di lui. Forse pensava non lo ascoltasse nessuno.

Foto da Unsplash di Max Letek

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