Un figlio per l’Italia
Il Governo Meloni ha un Ministero dedicato alla natalità, ma le iniziative fin qui intraprese non sembrano riuscire nell'intento.
Il Governo Meloni ha un Ministero dedicato alla natalità, ma le iniziative fin qui intraprese non sembrano riuscire nell'intento.
Nello scenario più accreditato, la popolazione mondiale dovrebbe raggiungere il suo massimo nel 2084, con 10,3 miliardi di persone, per poi smettere di crescere e addirittura iniziare una fase di contrazione. Sembra una data lontanissima e quindi, in automatico, può apparire un problema che qualcun altro affronterà, insomma. Ma in realtà sono già molte le nazioni che hanno anticipato questa tendenza e sono previste in calo demografico già nei prossimi dieci anni.
Tra questi, anche la nostra Italia, scesa sotto quota 60 milioni e destinata a un lento declino. È imponente, in molti Paesi, il divario tra il tasso medio giornaliero di mortalità e di natalità: per l’Italia, un recente studio ONU lo calcola in circa 400 individui (1700 decessi vs 1300 nascite). Un gap che di fatto non viene colmato, come avviene in altri Paesi, dall’immigrazione, che segna una media di 150 individui al giorno. Una situazione che è il prodotto ma anche il carburante per la diffusione di ideologie razziste e nativiste, ben fuse nel concetto della sostituzione etnica.
Il problema è molto diffuso, in particolare ma non in esclusiva tra gli Stati ad economie avanzate, e le risposte della politica vanno tutte nella stessa direzione: bisogna fare più figli. Le motivazioni possono anche essere opposte ma tutti concordano su questo.
Il candidato presidenziale USA Donald Trump, ad esempio, ha dichiarato che renderà gratuita la fecondazione in vitro perché «all’America servono più bambini, per dirlo in modo carino». Dopo aver nominato tre dei giudici della Corte Suprema che hanno rimesso in discussione il diritto all’aborto, ora vende la sua amministrazione come «fantastica per le donne e i loro diritti riproduttivi».
La premier Giorgia Meloni rivendica con orgoglio l’istituzione di un Ministero dedicato (inter alia) alla natalità. Intervenuta nel maggio scorso al convegno organizzato dalla ministra Eugenia Roccella, Meloni si propone di invertire la «narrazione dominante che ha ridotto la genitorialità a una scelta non conveniente». Tema che considera «una priorità assoluta di questo governo e un impegno concreto a tutela delle future generazioni».
Resasi conto che «senza figli il nostro futuro semplicemente non esiste», ha deciso di destinare «2,5 miliardi in un anno e mezzo» e di garantire benefici netti per le famiglie italiane di «oltre 16 miliardi solo nel 2024». Gli italiani, secondo la presidente del Consiglio, sarebbero condizionati da «cattivi maestri», che da anni spacciano la de-natalità come una scelta di libertà.
Maestri che sarebbero arrivati, secondo Meloni, a dire alle donne che «un figlio avrebbe compromesso la loro carriera, i loro sogni, addirittura la loro bellezza» mentre la sua personale promessa è che carriera e maternità «non devono essere scelte incompatibili».
Frasi pesanti, che rimandano a giovani pigri, capaci solo di divertirsi e senza il coraggio per metter su famiglia. Il “Report FragilItalia” pubblicato nel maggio 2023 a cura di Area Studi Legacoop e Ipsos, va invece in direzione uguale e contraria. L’analisi, condotta su 800 giovani dai 18 anni in su, evidenzia che la denatalità è un problema noto agli italiani, che lo avvertono come urgente nel 74% degli intervistati.
Allo stesso tempo, rivela che oltre il 70% dei giovani italiani vorrebbero almeno due figli, mentre quasi un terzo anche di più. A quanto pare non si tratta di mancanza di senso di responsabilità o di spinte libertine; la volontà di un figlio si scontra con la semplice realtà, dove mancano le condizioni base per realizzarla.
Le principali cause indicate dall’indagine riguardano stipendi bassi, specie a confronto con l’aumento del costo della vita (indicato dal 70% degli intervistati) e la precarietà/instabilità del lavoro (63%), che impattano sul reddito famigliare e sulla possibilità oggettiva di avere una casa.
Altri problemi sorgono per la mancanza di aiuti pubblici per i costi legati a un bambino (59%) e la mancanza di servizi per le famiglie diffusi e accessibili a tutti (57%). Ultima ma non per importanza è la paura di perdere il posto di lavoro, indicata dal 56% dei rispondenti e dall’80% delle donne. Altro che proclami di scelte compatibili, signora presidente. Siamo ancora fermi qui.
I governi hanno sempre utilizzato l’accesso alla contraccezione e all’aborto per incidere sul tasso di aumento della popolazione, basti pensare al “liberi tutti” degli anni Sessanta in Occidente o, all’estremo opposto, alla politica “un solo figlio” imposta dalla Cina, che gravi conseguenze sta avendo tuttora. Per ironia della sorte, molti Paesi che in passato avevano promosso la libertà nel controllo delle nascite, viste come un freno allo sviluppo economico, come Corea o Iran, ora vietano l’aborto. E per lo stesso motivo.
Nel 1968, anno di massima crescita della popolazione mondiale, la conferenza internazionale sui diritti umani sancì il diritto di decidere il numero e la frequenza dei figli. Sembra chiaro che se gli esseri umani hanno un diritto, i loro governi dovrebbero proteggere tale diritto, sia con tassi di natalità bassi, sia con quelli alti. Purtroppo non tutti gli strumenti finora utilizzati si sono dimostrati efficienti. Sembra addirittura che la leva della natalità fine a se stessa sia proprio quello meno efficace.
Pensiamo alle politiche “pro-natalità” introdotte negli anni scorsi in Corea e Giappone, o a quelle del 2020 in Italia. Misure fiscali, sussidi residenziali, trattamento preferenziale alle coppie con figli in vari contesti. Tutto inutile, quel numeretto non cambia.
Va detto che un tasso di natalità alto o basso non costituisce un problema di per sé, ma entra in un meccanismo che acuisce altri problemi: se basso, porta a un rallentamento del PIL complessivo e a una popolazione “vecchia”, se alto riduce il reddito pro-capite e le possibilità di sviluppo individuale.
I movimenti pro-natalità, anche al netto delle connotazioni ideologiche, partono da un assunto sbagliato: credere che una popolazione più grande porti a maggior ricchezza e sviluppo per tutti. Invece – in assenza di correttivo statale – la maggior ricchezza generata finisce nelle mani degli investitori, già ricchi.
Viste sotto questo microscopio, le manovre pro-natalità sembrano uno schema Ponzi, la famosa piramide che si nutre dei nuovi entrati per mantenere la ricchezza dei vecchi soci.
Questa è la scusa con cui ci viene propinata la cattiva medicina del figliare a tutti i costi. Non importa il grado di razzismo e superiorità etnica che muova le azioni di un governo, alla fine per giustificare certe manovre (anche coercitive, in certi Paesi) si ricorre al mantra della crescita economica, del peso delle pensioni e del costo sociale di una popolazione anziana e bisognosa di cure.
In Italia, il sorpasso è già avvenuto: secondo la CGIA Mestre, il numero dei pensionati è maggiore di coloro che con i contributi alimentano il sistema INPS, con qualche differenza regionale ma mediamente il dado è tratto. Una notizia che si può leggere anche come: il sistema pensionistico è fallito.
Si è cercato di quantificare quale sia l’impatto della non-crescita demografica su quella economica. Il Ministro competente Giancarlo Giorgetti ebbe a dire, in occasione degli Stati Generali 2023, che «da qui al 2042 con gli attuali tassi di fecondità il nostro Paese rischia di perdere percentuali del PIL pari al 18%». Livello più o meno confermato dal governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, che nelle sue Considerazioni finali, pochi mesi fa, ha parlato di una «perdita di PIL del 13% da qui al 2040».
Altra prospettiva da cui guardare al problema viene sempre da Giorgetti, secondo cui «il debito pubblico è un problema per cui abbiamo bisogno di tanti nuovi italiani». Messaggio chiaro: siamo (di nuovo) soggetti a una procedura di infrazione per debito eccessivo da parte della UE, ma non ci sfiora l’idea di ridurre spese indecenti o superflue.
Noi vogliamo più italiani futuri che si facciano carico di pagare i nostri debiti, in pieno spirito piramidale. Chiedendo di fare più bambini, di aumentare la natalità, i governi del mondo stanno di fatto facendo un mutuo con il Futuro, per pagare i debiti del Presente e Passato.
Siamo lontani dalle hatcheries, le fabbriche di embrioni in provetta narrate dal genio di Aldous Huxley nel suo “Il mondo nuovo”, che in italiano chissà perché perde la connotazione di coraggioso.
Eppure ce ne vuole di coraggio a chiedere agli italiani di buttare lo spermatozoo oltre l’ostacolo, dimenticare tutti i blocchi sul piano lavorativo, abitativo e sociale per contribuire felici al progresso della Patria. Ops, incredibile quanto sia facile cadere in una certa litania quando si trattano questi argomenti! Ce ne scusiamo con i lettori.
Sembra piuttosto comodo, se non puerile, immaginare che una popolazione più numerosa risolva i problemi sociali di quella attuale. I governi e sì, anche il nostro Governo, possono sicuramente dare congedi retribuiti di maternità e paternità, esenzioni e deduzioni fiscali, sussidi e aiuti alle famiglie, servizi all’infanzia e leggi per il mantenimento dell’impiego. Sono tutte iniziative lodevoli e danno una grossa mano ai genitori attuali e potenziali.
Ma lo dovrebbero fare con uno scopo più alto che incidere sul tasso di natalità. Lo devono a tutti quei bimbi effettivamente nati, perché possano avere la vita migliore possibile, con reali opportunità di sviluppo personale e comune. All’interno di una società equa, una società dei diritti.
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