Seguire un festival cinematografico è utile a capire in che direzione sta andando il cinema come industria e come arte. Comprendere, dunque, quali siano le istanze che preoccupano di più la contemporaneità.

Il cinema statunitense, come di consueto, rappresenta una parte rilevante della Mostra del Cinema di Venezia, dato che molti film selezionati in questa vetrina arrivano poi fino ai Premi Oscar. The Brutalist di Brady Corbet, Queer di Luca Guadagnino e Joker: Folie à deux di Todd Phillips sono, a loro modo, un chiaro esempio della piega che ha preso il cinema negli Stati Uniti.

Il primo film – il migliore – è un’opera cinematografica imponente ma che rifiuta le convenzioni hollywoodiane che appartengono sia a Queer sia al seguito di Joker. Ciò significa che da un punto di vista produttivo The Brutalist è figlio di un mondo d’altri tempi, fuori dalle mode e per questo sfuggente, di difficile classificazione. Dalla durata monster di 3 ore e 35 minuti, il film di Brady Corbet è la parabola discendente di un immigrato ungherese negli Stati Uniti degli anni ‘50, un Paese che tutto arraffa finché gli è utile. Non è un caso che l’ouverture iniziale – chiamata proprio così per segnalare la natura dell’operazione – si concluda con l’immagine della Statua della libertà ribaltata.

Adrien Brody punta dritto al Premio Oscar

Il protagonista è un architetto, una persona che lavora con le forme modellandole secondo la sua visione. Dall’altra parte, invece, c’è il mecenate che gli commissiona il progetto per una città ideale. Da questo rapporto nasce uno scontro ideologico e politico con il film di Brady Corbet pronto a intercettare l’andamento dell’ascesa capitalistica sulla cultura. A volte poetico e a volte rabbiosamente aggressivo nella messa in scena, The Brutalist è la dichiarazione di un autore a favore della libertà: artistica e politica, ma soprattutto individuale.

Compromessi d’autore

Presentato come il film scandalo di questa Mostra del Cinema di Venezia – abbiamo visto di molto peggio – Queer di Luca Guadagnino si rivela il progetto più personale del regista italiano, ormai emigrato produttivamente negli Stati Uniti. Adattando l’omonimo romanzo di William S. Burroughs, Guadagnino – come scrive Giulio Sangiorgio su FilmTv – è ormai un brand. L’operazione alla base di Queer è, perciò, perfettamente in linea con gli ultimi film del regista che mescolano il pop con una cinefilia esibita ma mai invadente. Senza farsi schiacciare dalla natura frammentata della scrittura di Burroughs, Queer si addentra lentamente nelle dinamiche del desiderio che un uomo nutre per un altro uomo.

Daniel Craig non è mai stato così intenso come in Queer

Un desiderio prima di tutto mentale che fisico. Ciò che ne consegue è una discesa negli inferi della tragedia per un sentimento sfuggente come quello dell’amore, dove il protagonista William Lee presta anima e corpo per catturare e controllare questo sentimento. Se la prima parte del film è leggera come un musical del cinema classico americano, la seconda e la terza mostrano, invece, lo stato allucinatorio a cui può tendere l’ossessione. Attingendo, dunque, alla storia del cinema, Guadagnino realizza un’opera che si fa beffe del buon gusto – c’è perfino una sequenza che richiama il body-horror – ribadendo che non è tanto il “cosa” si dice ma il “come”. Queer è un cinema libero, figlio però di dinamiche produttive e commerciali precise: un perfetto compromesso d’autore.

Prendersi gioco delle aspettative

Arriviamo, infine, a Joker: Folie à deux, il film che ha deluso i fan del primo capitolo. Dal mio punto di vista questo seguito rappresenta un’operazione coraggiosa in quanto disattende completamente le aspettative per un cinecomic. Partiamo dai paratesti: la campagna promozionale di Joker: Folie à deux ruota attorno alla presunta storia d’amore tra Joker e Harley Queen e su come il genere d’appartenenza fosse il musical. Il film visto a Venezia, invece, non è per nulla realizzato per il pubblico, anzi, va contro di esso prendendo di mira proprio i fan del primo capitolo che avevano innalzato Joker a simbolo (quando in realtà era una rappresentazione del populismo).

Lady Gaga interpreta Harley Queen

Joker: Folie à deux è a conti fatti un lungo dramma processuale dove il musical rappresenta la parte di finzione, quella che i fan desideravano. Non è un caso che la figura del Joker sia presente solo in queste parti, così come la storia d’amore tra lui e Harley Queen. Poi, però, c’è la realtà e in questo frangente Joker non è più in grado di raccontare barzellette e Harley è solo una mitomane.

Se, in conclusione, The Brutalist è un film fuori scala, Queer un compromesso perfettamente bilanciato dentro le dinamiche hollywoodiane, Joker: Folie à deux cerca di portare le masse (il primo capitolo aveva incassati oltre un miliardo) al di là delle proprie aspettative, distante dalla zona di comfort: per questo motivo sarà massacrato e schernito come il suo protagonista.

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