Nel 2023 l’Italia ha esportato merci e servizi per un valore di 626 miliardi di euro piazzandosi al 6° posto nel mondo. Un ottimo risultato, soprattutto se si considera che nel 2018 l’Italia si attestava al 10° posto.

I dati del 1° semestre 2024 stanno mostrando un trend ancora più positivo per l’anno in corso. Se confermati anche nella seconda parte dell’anno, l’Italia si collocherà addirittura al 4° posto, alle spalle solo di Cina, Usa e Germania.

Sono risultati che mostrano una economia italiana vivace, presente sui mercati internazionali e fortemente competitiva. Peraltro l”Italia non ha molte alternative. Non avendo materie prime importanti e dovendo importare oltre il 70% del proprio fabbisogno energetico, se vuole crescere, deve esportare beni e merci valorizzando la propria manifattura.

L’energia e le materie prime importate si pagano in valuta con i ricavi delle esportazioni e un Paese come l’Italia necessariamente deve dar fondo a tutto l’ingegno e capacità creativa per non soccombere in un mercato che non fa sconti a nessuno.

Italia, import export dal 1991 al 2023

Il grafico del valore delle esportazioni e importazioni italiane dal 1991 al 2023 racconta con il suo andamento sinuoso la storia macroeconomica dell’Italia, per non dire del mondo intero. Sono chiaramente evidenti i due picchi negativi degli scambi commerciali: quello del 2009, conseguente alla crisi finanziaria Lehman Brothers, e il successivo del 2020, relativo al lockdown di cui alla pandemia del COVID19.

Esportazioni e Bilancia Commerciale raccontano la storia economica dell’Italia

Ma se i valori assoluti delle esportazioni sono importanti, ancora di più è il saldo della Bilancia Commerciale, ovvero la differenza fra il valore dei beni esportati e quelli importati. Tale saldo è un importante indicatore economico e della stabilità anche finanziaria di un Paese. Le esportazioni entrano nel PIL con il segno +, mentre le importazioni con il segno -, quindi una Bilancia Commerciale positiva contribuisce alla crescita di un Paese.

Se nel 2023 l’export ha fatturato 626 miliardi di euro, l’import è stato di 592 miliardi, con saldo netto di 34 miliardi della Bilancia Commerciale. Tenuto conto che il PIL italiano del 2023 è stato pari a 2.035 miliardi, l’export ha inciso per il 30,7% mentre il saldo della bilancia commerciale del 1,7%.

A questi livelli percentuali di import ed export rispetto al PIL, basta poco per far virare verso il rosso la Bilancia Commerciale. Nel 2022, ad esempio, l’improvvisa e straordinaria lievitazione dei prezzi energetici, in particolare del gas metano, aveva portato in deficit la Bilancia Commerciale dell’Italia per 34,2 miliardi di euro.

Anche il grafico del saldo della Bilancia Commerciale evidenzia interessanti aspetti macroeconomici. Ad esempio dal 1993 al 1995 la Bilancia Commerciale da negativa era tornata postiva grazie al riallineamento (svalutazione) del valore della lira del 1992 rispetto alle altre monete del cosiddetto Serpente Monetario Europeo. Poi dal 1996 al 2011 un lungo periodo in cui il saldo della Bilancia commerciale è gradualmente peggiorato fino a diventare pesantemente negativo nel 2010 e nel 2011.

Questo periodo, che ha visto anche l’avvio della moneta unica europea (1999), è stato caratterizzato da una inflazione in Italia significativamente più alta rispetto ai partner europei, in primis la Germania, sostenuta da un costo del denaro particolarmente basso per la situazione economica dell’Italia. Tale maggiore inflazione ha fatto perdere competitività alle esportazioni italiane che non potevano più contare sulla svalutazione della moneta. Non ultimo anche il valore del cambio euro/dollaro molto alto tra il 2004 ed il 2010 che ha sfavorito le esportazioni italiane e di tutta l’Area Euro.

Con il crollo della domanda interna il saldo della Bilancia Commerciale torna positivo

Dal 2012 la Bilancia commerciale ha cominciato a migliorare, ma non tanto per l’aumento delle esportazioni, quanto per la contrazione delle importazioni. È stato l’effetto della nota e storica “austerità” del governo Monti, che tagliando spese correnti e investimenti ha determinato il crollo della domanda interna. E ha anche aumentato il debito pubblico dal 120% al 130% del PIL.

Da oltre un decennio l’Italia è tornata competitiva nel mercato internazionale. Bassi salari, non adeguati al costo della vita, uniti a precariato e disoccupazione, hanno limitato le importanzioni e reso più convenienti all’estero i prodotti italiani.

Non sta scritto in modo così esplicito sui manuali di economia, ma è un assioma, che se la moneta non può svalutarsi, per reggere la concorrenza internazionale devono essere svalutati i salari.

Oggi, però, l’Italia ha uno spazio economico per un positivo adeguamento di salari e stipendi, che consenta di far crescere il mercato interno senza compromettere il saldo della Bilancia Commerciale. Redditi più alti dei lavoratori vuol dire anche maggiore incasso dell’erario e maggiori versamenti contributivi. Ovvero miglioramento dei conti pubblici dello Stato e più incassi dell’INPS per il pagamento delle pensioni.

Queste sono le politiche economiche che ci piacerebbe vedere, se l’Unione Europea ce le permetterà, e se l’attuale Governo in carica vorrà provarci.

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