Jannik Sinner positivo, ma già assolto. Questa è la notizia che ha sconvolto il mondo del tennis e dello sport in generale nell’immediato dopo Ferragosto. La notizia della positività al Clostebol del tennista italiano registrata a marzo durante il torneo di Indian Wells, è stata una vera bomba, perché riporta alla ribalta la parola doping e per giunta associata a un atleta di fama planetaria.

E se da una parte il tennista italiano è già stato scagionato prima ancora che uscisse la notizia, il caso rappresenta una nuova occasione per riflettere sulle incongruenze della lotta al doping. Rimangono, infatti, molte perplessità sul sistema antidoping e sulle falle della giustizia sportiva.

Il caso Sinner, i fatti

Jannik Sinner viene “beccato” all’antidoping il 10 marzo al termine di un match vinto durante il torneo di Indian Wells. Di categoria Atp1000, è considerato quasi un Major per tradizione e montepremi. Nelle urine di Sinner viene riscontrata una quantità di steroide anabolizzante chiamato Clostebol pari a 0,1 milionesimo di grammo per litro. La conferma della positività avviene anche in occasione di successive analisi datate 18 marzo.
Sinner viene sospeso come da regolamento. Così come permettono le norme, il tennista richiede però la sospensiva. Tale azione non solo garantirà poi all’atleta di conquistarsi sul campo nei mesi a venire la vetta del ranking Atp potendo continuare a giocare, ma lo tutela in termini di riservatezza durante l’esecuzione delle indagini.

Il 20 agosto Sinner viene assolto, sia per assenza di dolo, sia per assenza di negligenza. Viene infatti dimostrato che il Clostebol ha contaminato l’atleta a causa di un massaggio prolungato effettuato dal fisioterapista Giacomo Naldi che, a sua volta, si era curato una ferita con uno spray (trofodermin) a base di Clostebol. La conferma che il Clostebol possa contaminare con questa facilità ed essere rintracciabile dalle analisi viene da tutta la comunità scientifica senza eccezioni rilevanti, a supporto della tesi difensiva dell’atleta altoatesino. I tifosi, e soprattutto Sinner stesso, possono tirare un sospiro di sollievo.

Foto da Unsplash di Guzman Barquin

La legge e le opinioni

Il sistema antidoping punisce il dolo e anche la negligenza. Nel caso di Sinner l’assoluzione pronunciata dalla International Tennis Integrity Agency è totale ed è conseguenza di molteplici valutazioni.
In primo luogo nel caso Sinner manca il dolo. Una quantità infinitesimale di Clostebol, così come riscontrato dalle analisi, non ha effetti dopanti. Tutto porta, per l’appunto, a ritenere Sinner non colpevole di volontà di alterazione delle proprie prestazioni. Inoltre, se vogliamo dirla tutta, è opinione ricorrente in ambito sportivo e medico di ritenere il Clostebol una sostanza dopante di vecchia generazione. Ipotizzare che il team di Sinner utilizzi ancora certe sostanze avendo capacità di investimento illimitata, pare poco credibile.

In secondo luogo l’atleta altoatesino è stato anche assolto dall’accusa di negligenza, aspetto questo non trascurabile e che ha portato spesso a condanne anche pesanti. Semmai, la negligenza è stata commessa da chi ha trattato Sinner (Naldi, poi allontanato dal team). Oppure si sposta su chi ha comprato il farmaco (il preparatore Umberto Ferrara, anch’esso messo alla porta) senza premurarsi delle possibili conseguenze.
Sul punto della negligenza si sono schierati contro Sinner molti dei suoi detrattori, tra cui i tennisti Nyck Kyrgios e Denis Shapovalov. L’accusa è che Sinner debba essere giudicato colpevole di negligenza, essendo responsabile del suo team. In effetti, altri casi del passato, non del tutto assimilabili a questo, finirono ben diversamente e a danno dell’atleta.
Quel che va detto, però, a difesa dell’altoatesino, è che la ricostruzione dei fatti regge in ogni suo elemento, al contrario di altre sentenze le cui circostanze erano risultate ben più intricate e non del tutto provabili.

Sinner innocente, ma con un danno di immagine

Sinner ne esce dunque assolto con formula piena. A meno di improbabili appelli della Wada, dovrebbe essersi lasciato alle spalle il primo vero momento difficile della sua carriera.
Resta la mancata partecipazione alle Olimpiadi. A questo punto appare plausibile, infatti, che Sinner abbia saltato Parigi 2024 volontariamente. La tonsillite, forse, sarebbe stata curabile, ma per motivi di opportunità in attesa della sentenza c’è stata la rinuncia. Resta, ed è altrettanto grave, il danno di immagine, reso ancor più evidente dal personaggio che si era creato il tennista italiano numero uno del mondo. Potrebbe essere venuta meno, infatti, nonostante sia stato a tutti gli effetti scagionato, l’idea del bravo ragazzo, dell’atleta corretto in ogni momento, del professionista perfezionista.
Il motivo di ciò attiene alla cultura del sospetto che l’antidoping sia sempre un passo indietro al doping e che la giustizia sportiva sia sempre indulgente, specie con gli atleti di vertice. E come dare torto a questo approccio se guardiamo alla storia del doping e alla leggerezza con cui in primis il tennis ha affrontato il problema? impossibile non cadere nell’errore del dubbio, dell’ipotesi del complotto (intesa in senso inverso a quella del caso di Alex Schwazer), anche quando, come nel caso di Sinner, davvero a pensare male si pensa proprio male.

I problemi della lotta al doping: maglie larghe.

Le questioni che tornano alla ribalta con il caso Sinner sono molte. In primo luogo, facendo un bilancio storico dell’antidoping, emerge con tutta evidenza che nessuno ha mai contrastato davvero il fenomeno dell’abuso di sostanze vietate nel tennis. Questo anche quando prestazioni fuori ordinanza e ipertrofia muscolare alimentavano più di un sospetto, vedasi anni Novanta in primis.

Mai nessun pesce grosso, infatti, è finito nella rete. Si ricorda un Andrè Agassi, condannato poi parzialmente riabilitato, ma parliamo di 27 anni fa. Sono pochissime le altre squalifiche, per lo più comminate per reati minori. Il tutto nonostante il tennis sia uno sport in cui si combinano un grande uso della forza e un grande impegno in termini di resistenza allo sforzo e nel recupero. Sono elementi che creano terreno fertile per chi vuole barare, appare strano che il tennis sia stato negli anni, numero di squalifiche alla mano, molto più virtuoso rispetto, per esempio, al ciclismo. Ecco allora che, alla luce di certe considerazioni, possiamo cadere nell’errore di affermare che forse anche con Sinner l’ITIA abbia adottato la massima indulgenza.

I problemi della lotta al doping: l’iniquità

In secondo luogo occorre rilevare che Jannik abbia potuto tenere riservata l’indagine e abbia potuto usufruire della sospensiva grazie a risorse finanziarie che altri suoi avversari non avrebbero potuto permettersi. Che poi i suoi avvocati abbiano fatto davvero un ottimo lavoro è una conseguenza non scontata del punto precedente.
L’iniquità, in ogni caso, emerge con evidenza e non depone a favore del sistema: chi ha più soldi, meglio può difendersi. Se Sinner fosse il numero 130 del mondo, probabilmente sarebbe stato sospeso cautelativamente e sarebbe stato esposto a gogna mediatica fino a sentenza.

I problemi della lotta al doping: le falle della giustizia sportiva

In ultimo, bisogna rilevare come la giustizia sportiva sia atavicamente avviluppata al potere politico e che questo, oltre ad una oggettiva complessità della materia, spesso produca incongruenze, mancanze di trasparenza, verdetti illogici, a volte eccessivamente sanzionatori, altre volte indulgenti in eccesso. In generale la giustizia sportiva e i tribunali che si occupano di illeciti sportivi tendono a muoversi con il fine di ostentare che tutto funzioni, quando, in realtà, funziona ben poco. Come? agendo in modo ferreo per casi minori e chiudendo diversi occhi per casi che potrebbero pregiudicare la credibilità di una disciplina, creare un fuggi fuggi tra gli sponsor, rovinare l’immagine degli atleti più idolatrati. Ecco, ribadiamolo, non è questo il caso di Sinner.

New York. Foto da Unsplash di Michael Discenza

Il futuro non è roseo

In sintesi: l’antidoping continua a non essere credibile e la giustizia sportiva forse lo è ancora meno. Solo che questa non è una colpa che superficialmente possiamo addossare a Sinner ritenendolo colpevole, laddove una sentenza chiara e dei fatti coerenti ci portano indiscutibilmente ad assolverlo.
Il futuro della lotta al doping, uscendo per un attimo dal caso Sinner, non è roseo. La politica sembra non occuparsene e, anzi, appare solo intenta ad utilizzare il pallottoliere per contare le medaglie olimpiche portatrici di consenso. Nel frattempo, di doping si parla sempre meno come fosse scomparso. Viceversa, è probabile si muova sotto traccia, forse avendo già sconfinato il limite del doping genetico. Un confine estremamente difficile da affrontare per l’antidoping, ma soprattutto molto delicato da codificare a livello normativo. Anche alla luce di questo contesto, la vicenda Sinner appare ancor di più aver riscosso una risonanza mediatica del tutto ingiustificabile vista l’assoluzione.


Ora, finalmente, spazio al campo, con l’ultimo major della stagione, il più ricco e imprevedibile: Flushing Meadows a New York. Sinner ha già affrontato, e vinto, al primo turno, pur denotando qualche scoria ereditata dalla vicenda doping. Il pubblico lo ha accolto con qualche fischio, ma è probabile che sin dalle prossime uscite il ragazzo pusterese saprà riportare i tifosi dalla sua parte grazie al suo inconfondibile stile.

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