Dopo un periodo in cui gli obiettivi di decarbonizzazione indicati dagli accordi internazionali sul clima COP venivano fissati dai governi per convinzione, necessità o immagine, autorizzando a immaginare un’accelerazione verso la neutralità climatica, negli ultimi mesi l’impegno per la transizione energetica pare affievolirsi.

Sempre più i governanti sembrano cambiare le priorità e convergere su politiche dove l’urgenza di fermare la crisi climatica viene subordinata a una poco definita sostenibilità e alla necessità di cercare o mantenere competitività del proprio sistema economico.

D’altra parte appare minacciosa la politica energetica della Cina che nella produzione di energia rinnovabile e nella elettrificazione dei consumi sta superando ogni più ottimistica previsione, proponendosi sempre più come rifermento mondiale per le nuove tecnologie. Nel 2024 la Cina ha raggiunto i 1000 GW di impianti eolici e fotovoltaici che aveva previsto installare entro il 2030.

Nella migliore delle ipotesi questo nuovo atteggiamento dei governanti potrebbe in qualche caso provocare un’utile correzione di rotta nelle azioni dei governi, nella peggiore far fallire la transizione.

UK, un esempio virtuoso

Il 4 luglio scorso nel Regno Unito è stato eletto un nuovo Parlamento in cui, con 412 seggi su 650, il Partito Laburista è diventato la principale forza parlamentare. All’insediamento del Governo alla Camera dei Comuni Re Carlo III ha letto il discorso programmatico del nuovo Primo Ministro laburista Keir Starmer, in cui il premier annunciava di voler fare entro il 2030 del Regno Unito una “superpotenza dell’energia verde”.

Per il nuovo Governo Inglese  «la realizzazione della nostra missione di energia pulita aiuterà a rafforzare l’indipendenza energetica della Gran Bretagna, a risparmiare denaro sulle bollette, a sostenere posti di lavoro altamente qualificati e ad affrontare la crisi climatica.» Per questo creerà una nuova società elettrica pubblica con sede in Scozia, la Great British Energy.

Nella prima settimana di governo il Ministro dell’Energia Ed Miliband  ha approvato la costruzione di tre enormi parchi solari nell’est dell’Inghilterra che erano stati bloccati dai Ministri tory  (Gate Burton, Sunnica’s energy farm and Mallard Pass) e ha tolto i vincoli alla costruzione di parchi eolici introdotti nel 2015 dal National Planning Policy Framework (NPPF) dell’allora primo Ministro conservatore David Cameron. Inoltre Starmer ha annunciato una “rivoluzione sui tetti”(rooftop revolution), un piano per dotare milioni di case di pannelli solari per ridurre le bollette energetiche nazionali.

«Voglio scatenare una rivoluzione sui tetti solari nel Regno Unito», ha dichiarato. «Incoraggeremo costruttori e proprietari di case in ogni modo possibile a fornire questa tecnologia vantaggiosa per milioni di indirizzi nel Regno Unito in modo che le persone possano produrre la propria elettricità, tagliare le bollette e allo stesso tempo combattere il cambiamento climatico.»

Foto da Unsplash di Daniele La Rosa Messina

La nuova commissione Von der Leyen riluttante

L’Europa apparsa finora come leader mondiale nel processo di cambiamento è ora riluttante. Con le elezioni europee del 6 giugno Von der Leyen, sostenuta della precedente maggioranza “Ursula”, senza la destra e con i Verdi indeboliti, ha ottenuto la riconferma a un nuovo mandato di Presidente  della Commissione europea. Nel suo programma per i prossimi cinque anni, è riuscita con raro equilibrismo a rassicurare sia gli ambientalisti che i suoi compagni Popolari più conservatori: gli obiettivi del Green Deal restano, ma verranno perseguiti con “neutralità tecnologica” e supportati da un “Industrial deal” che incentivi gli investimenti.

Non sarà facile per Von der Leyen tradurre i suoi equilibrismi verbali in pratica. In un’Europa meno verde, il “realismo” e il “pragmatismo” ripetutamente evocati potrebbero smontare nei fatti gli obiettivi del Green Deal, un pezzetto dopo l’altro. Significativo il fatto che, in attesa dell’insediamento della nuova Commissione, l’argomento principale di discussione sia l’imposizione di dazi doganali sulle importazioni di auto elettriche dalla Cina: una classica posizione difensiva.

L’Italia nella massima confusione

È risaputo che l’attuale governo di destra-centro sulle questioni ambientali intenda  perseguire “una transizione ecologica, non ideologica” in cui la sostenibilità ambientale non comprometta la sfera economica e sociale.  Non è stata quindi una novità che per le elezioni europee di giugno, i tre partiti al Governo, Fratelli d’Italia (FDI), Forza Italia (FI) e Lega, si siano posti come obiettivo principale quello di modificare il Green Deal allo scopo di tutelare il settore produttivo dalla competizione della Cina.

La novità che veramente confonde le idee viene, però, dalla Sardegna dove nelle elezioni regionali  del 25 febbraio scorso una larga coalizione di partiti di sinistra (in qualche modo collegabile per formazione culturale e politica ai laburisti inglesi) ha eletto Alessandra Todde  presidente della Regione.

A differenza degli inglesi, la Giunta regionale Todde ,nella prima settimana di lavoro, ha approvato una moratoria che vieta per 18 mesi, o fino alla definizione delle aree idonee, l‘installazione di parchi eolici e fotovoltaici nell’isola. 

Foto da Unsplash di Riccardo Pitzalis

Alle proteste Todde, dimenticando l’impegno a contrastare i cambiamenti climatici, rispondeva: «Noi (i sardi, ndr) dobbiamo decidere come vogliamo crescere dal punto di vista energetico, come dobbiamo organizzare il nostro territorio e come dobbiamo organizzare la produzione di energia sulla base della nostra economia.»

Forse Todde e la sua coalizione non sanno (o fanno finta di non sapere) che in Sardegna sono operative due delle sette centrali a carbone (Fiume Santo e Portoscuso) tuttora in funzione in Italia, che l’impronta carbonica dell’isola è fra le più alte in Europa, seconda solo alla Polonia, che l’isola è da tempo attenzionata dalle Big Oil Company interessate a costruire un antieconomico Gasdotto Algeria-Sardegna-Italia (GALSI) per sostituire il carbone e metanizzare le città e che, in barba alla volontà dei sardi, il gasdotto è entrato nell’accordo che la premier Meloni ha sottoscritto ad Algeri nell’ambito del piano Mattei.

Forse Todde e la sua coalizione non si sono posti la domanda che l’ex AD di Enel, Francesco Starace, si è posto durante un’intervista del 9 luglio 2021 al giornale “La Nuova Sardegna” «Ci siamo domandati: è possibile che un’area vasta e importante del Paese possa già adesso saltare l’uso del gas compiendo così, prima di altri, un passo concreto per la trasformazione della Sardegna in Isola Verde?» Conosciamo la risposta di Starace: «Noi riteniamo di sì», ma non quella di Todde e della sua coalizione di sinistra.

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