Il 30 luglio luglio scorso, a soli 5 mesi dall’uccisione di un altro orso ritenuto troppo confidente, M90 – Sonny, la Provincia Autonoma di Trento ha eseguito il terzo decreto firmato dal presidente Maurizio Fugatti – dopo che i primi due erano stati sospesi dal Tar – e ha fatto abbattere KJ1, femmina di orso bruno di 22 anni, la più anziana della popolazione ursina presente sulle montagne trentine.

L’orsa, che aveva tre cuccioli al seguito, aveva aggredito un turista francese incrociato sul sentiero 428, che da Dro porta a San Giovanni al Monte, ferendolo agli arti e al torace dopo che, rannicchiandosi a terra e proteggendosi in particolare il collo e la testa, aveva attivato le procedure indicate nella situazione di incontro con il plantigrado il quale, essendo con un cucciolo, era particolarmente reattivo e spaventato.

L’evento ha riacceso un dibattito che non si placa in Trentino, alimentato già dall’approvazione del Disegno di legge n. 11/XVII 2024 del 25 gennaio 2024, che prevede l’uccisione di un massimo di otto orsi l’anno, 4 cuccioli e 4 orsi adulti.

I fatti e la battaglia legale

Fra il 17 e il 22 luglio 2024 il Presidente della Provincia Autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, ha firmato due decreti di abbattimento, sospesi dal Tar di Trento. L’orsa viene poco dopo radiocollarata, mentre le associazioni di tutela denunciano la preoccupazione che questa mossa serva a rendere l’animale facilmente rintracciabile per procedere rapidamente alla sua uccisione, di cui infatti arriva notizia la mattina del 30 luglio.

«Dopo aver intercettato alle 22.30 il decreto, monitorando continuamente il sito della Provincia, siamo riusciti a depositare, alle 2.00 di notte, il ricorso», spiega Michele Pezone, avvocato responsabile dell’ufficio legale di LNDC Animal Protection.

«Prima di fare questo avevamo tentato, nella consapevolezza che si trattasse di una richiesta difficile, di bloccare l’iter di emanazione di quel decreto, facendo un ulteriore ricorso al Tar con una tutela cautelare anticipata, perché già in occasione della vicenda di M90 la Provincia aveva emesso un decreto seguito da una esecuzione in pochissime ore».

Fugatti ha da molto tempo dichiarato guerra ai plantigradi con una escalation inarrestabile, anzi, su questa questione ha convogliato molte energie nella costruzione di un consenso politico.

«Prima della morte di Andrea Papi c’erano molti dubbi sulla sua rielezione perché non godeva di un largo consenso, a seguito di una gestione amministrativa poco efficace. La battaglia ingaggiata contro gli orsi, sostenuta da una campagna di odio e di costruzione di un impianto di paura e allarmismo, ha offerto la garanzia della rielezione», ha commentato Francesca Manzini, attivista della Campagna Stop Casteller.

Genetica, bracconaggio, estinzione

Gli orsi sono statti reintrodotti in Trentino dall’uomo attraverso il progetto Life Ursus, che si fondava su serie di premesse, aspettative e azioni per la tutela e la facilitazione del processo di convivenza che non sono mai state davvero attuate. Nell’ultimo periodo, oltre agli abbattimenti si sono moltiplicati i casi di orsi spariti o rinvenuti morti, vittime del bracconaggio

Foto di Leonard Dahmen, Pexels.

Se la Provincia sostiene che gli orsi sono in numero eccessivo, durante una conferenza tenutasi a febbraio e richiesta dalle opposizioni, gli stessi tecnici del Muse hanno spiegato che sebbene gli orsi siano all’incirca un centinaio, questo numero è comunque troppo basso per dichiarare la specie fuori dal rischio di estinzione.

«Oltre a non essere in numero sufficiente, – riprende Francesca Manzini – questa popolazione è geneticamente fragile perché composta da esemplari di consanguinei, e cioè discendenti da solo due orsi che si sono effettivamente riprodotti, perché i plantigradi non si sono spostati accoppiandosi con altri esemplari, come prevedeva il progetto Life Ursus. Le femmine sono rimaste concentrate nella valle dell’Adige che è difficile da valicare da un lato ed è altamente antropizzata dall’altro, offrendo molto cibo agli animali».

Disponibilità di cibo vicino ai centri abitati

La presenza di frutteti è diventata particolarmente attrattiva per gli orsi, specialmente se in presenza di cuccioli. «Ogni volta che KJ1 partoriva abbiamo notato che scendeva con i piccoli per cibarsi di frutta in questa zona, dove è particolarmente diffusa la prugna di Dro. A questo si aggiunge una lista molto lunga di orsi vittime del bracconaggio: gli ultimi casi sono stati quelli dell’orso M62 (Amir), dell’orsa F36 (Fiona)  e dell’orso Mj5 (Johnny) trovati morti e, a seguito delle analisi, ritenuti uccisi da mano umana».

E le attività umane finalizzate all’abbattimento dei selvatici non si limita all’uso illegale delle armi. «Qualche settimana fa un gruppo di persone era nel bosco con un cane che è finito vicino ad una mangiatoia, dove ha mangiato un boccone avvelenato con l’antigelo ed è morto. Questa pratica coinvolge i bocconi avvelenati o animali che trovati morti vengono ricoperti dai cacciatori di antigelo, per poi avvelenare a cascata gli animali che si ciberanno della carcassa», dichiara Manzini.

Un’idea di natura addomesticata

In tutta questa vicenda, il mondo scientifico e i tecnici hanno spesso assunto posizioni non concordi e poco allineate alla mission di tutela e conservazione della biodiversità.

«Noi consideriamo la scienza unanime ma non lo è, per questa ragione ho preso le distanze da un certo mondo che ha abbracciato idee che intercettano motivazioni politiche ed economiche prima che naturalistiche», commenta Gabriele Bertacchini, naturalista conservazionista e divulgatore.

Il naturalista e divulgatore scientifico Gabriele Bertacchini

«Il Trentino ha una forte presenza turistica che impone di mantenere gli orsi dentro uno spazio ristretto e dedicato principalmente all’uomo e a ciò che gli ruota intorno. Quando gli animali escono da certi paletti, che l’uomo detta, non sono più ben accetti. L’idea della natura in Trentino è profondamente addomesticata e a misura d’uomo, la cui presenza è molto più invasiva rispetto al bosco, con attività antropiche che si portano dietro rumori, odori, comportamenti che spesso diventano azioni di disturbo per gli animali».

La contraddizione sta nel fatto di voler mantenere una popolazione ursina controllata e circoscritta, «un’idea contrastante con tutti i principi conservazionistici della vita che è una forza propulsiva che muta, cambia, si trasforma, procede in autonomia senza gestione e controllo. L’idea di partenza di conservazione è profondamente tradita, perché si tende a congelare questa immagine e questo serve all’uomo, non agli animali e alla tutela della biodiversità», sostiene il naturalista.

Ispra e l’interpretazione del Pacobace

Nei giorni scorsi, il responsabile fauna di Ispra Piero Genovesi aveva dichiarato all’Ansa che il ruolo dell’Istituto è semplicemente quello di valutare se la decisione politica della provincia di Trento, che nel caso di KJ1 era l’abbattimento, era coerente con la direttiva Habitat, con la legge provinciale e con il Pacobace.

Il Pacobace, il Piano d’Azione interregionale per la conservazione dell’Orso bruno sulle Alpi centro-orientali, rappresenta il documento di riferimento per la gestione dell’Orso bruno (Ursus arctos) per le Regioni e le Province autonome delle Alpi centro-orientali. Rispetto ai comportamenti potenzialmente pericolosi prevede tre possibili opzioni: il monitoraggio attraverso radiocollare, la captivazione permanente oppure l’abbattimento.

Applicare una opzione rispetto ad un’altra è una decisione politica e quindi in capo all’amministrazione, che però deve richiedere il parere di Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale).  

Principio di gradualità disatteso

Già in passato, Lndc Animal Protection e altre associazioni avevano impugnato il rapporto Ispra-Muse del 2021 e in particolare le linee guida in vigore con la delibera 1091 del 26 giugno 2021, sulle quali si erano basati i provvedimenti di uccisione di JJ4 e Mj5, evidenziando che non era stato rispettato il principio di gradualità indicato dalla direttiva Habitat. 

«Il Pacobace dovrebbe essere rivisto – prosegue Michele Pezone – perché non chiarisce la gradazione dei provvedimenti. A questo si aggiunge il tema dell’enorme potere che il Presidente della Provincia di Trento ha avocato a sé e che non trova corrispondenze analoghe. Se quello stesso orso varcasse i confini finendo in altre regioni, le competenze diventerebbero dello Stato. Abbiamo necessità di una visione sulla gestione degli orsi che faccia capo, come nel resto d’Italia, al Ministro dell’Ambiente, valutando il problema non solo a livello territoriale ma nazionale e con ampio respiro. A nostro avviso è persino incostituzionale la norma che al presidente di Trento sia dato potere di vita e di morte sugli orsi. E per questo speriamo di riuscire ad approdare alla Corte Costituzionale».

Natura addomesticata e senza rischi

Sulle misure di gestione e contenimento Gabriele Bertacchini è molto chiaro: «Io non amo la parola gestione e non sono favorevole all’interdizione dei sentieri, perché credo sia necessaria una assunzione di responsabilità. La questione è delicata ma io, che non sono un politico e mi occupo d’altro, avrei comunque sminuito l’accaduto, ricordando che si tratta di un evento che può essere drammatico, ma che resta raro e casuale».

Foto di Trent Staats, Pexels.

«Il problema è che oggi abbiamo perso il concetto di rischio. Noi consideriamo quasi naturale e accettiamo ad esempio di fare attività pericolose, sportive e non, o di andare su una macchina che va a 130 km all’ora in autostrada, però non accettiamo rischi che sono inferiori ma esterni alla nostra società. Ci siamo chiusi perdendo una relazione con il mondo naturale e non concepiamo l’esistenza di rischi legati a casi sporadici di potenziali incontri con l’orso, che dobbiamo mettere in conto possano accadere, ma non sono certo paragonabili alla frequenza degli incidenti che avvengono in montagna e capitano durante escursioni o altre attività», continua Bertacchini.

«Da conservazionista sono anche molto contrario al radiocollare, perché crea un rapporto falsato con chi è altro da noi, permettendo un controllo assoluto sul mondo esterno. La vera domanda che vorrei porre è: vogliamo dunque un mondo esterno da quello umano, oppure vogliamo in qualche modo un unico grande mondo umano in cui tutto è controllato? Io vedo questo in Trentino: si vogliono tenere gli orsi rendendoli però a misura d’uomo».

Le prossime azioni legali

«Abbiamo sporto denuncia perché nel caso di KJ1, a differenza di quanto accaduto con M90 quando erano mancati i tempi perché l’orso era stato ucciso in fretta, il Tar si era già espresso con la sospensiva, sostenendo la necessità di un provvedimento che facesse leva sul principio di proporzionalità» ha spiegato l’avvocato Michele Pezone. «Lo stesso Presidente del Tar aveva richiamato a metodi alternativi di contemperare le esigenze dell’orsa e delle persone. La Provincia ha scelto questa strada a nostro avviso forzando e aggirando una chiara indicazione del Presidente del Tar, che valeva per l’ordinanza e per il decreto emesso. Ecco perché oltre alla denuncia già predisposta faremo un ricorso per motivi aggiunti, chiedendo il risarcimento del danno».

L’azione promossa da LNDC Animal Protection si muove in un contesto che è nuovo per la giurisprudenza, «ma qui stiamo assistendo ad una violazione del principio costituzionale 113, che prevede la sindacabilità di tutti i provvedimenti amministrativi per i quali deve essere sempre contemplata la possibilità di ricorso nei confronti di tutti gli atti della pubblica amministrazione. Certo che se il provvedimento viene fatto di notte, la tempistica non permette alcuna azione».

Un bene indisponibile dello Stato

Il legale ravvisa una lesione del diritto a poter ricorrere e per questo motivo «chiederemo condanna della Provincia per la modalità lesiva dei nostri diritti e del diritto alla vita degli orsi. Questo è un modo per porre un problema, per portare la questione davanti a un magistrato».

Un ulteriore elemento che va aggiunto riguarda il fatto che l’orso è considerato un bene indisponibile dello Stato e quindi la sua uccisione potrebbe profilare una serie di valutazioni per responsabilità erariali. «Una volta che riuscissimo ad avere pronuncia che accerta la condotta non corretta della Provincia, faremo valere il danno subito dai cittadini per essersi visti sottrarre un bene indisponibile dello Stato che andava tutelato», rimarca Pezone.

L’orso, l’ecologia e la sostenibilità tradite

La vicenda degli orsi trentini sta ponendo una questione molto più ampia, che interroga il nostro modo di abitare gli spazi e di vivere la natura senza un pensiero ecologico autentico ed evidenzia al contempo la manipolazione del concetto di sostenibilità, contenitore ideologico svuotato di senso e di volontà programmatiche.

«L’orso in Trentino si era estinto e per ragioni culturali. È stato reintrodotto, ma senza che avvenisse una trasformazione, un processo di accompagnamento e di cambiamento culturale. Per fare questo, come esseri umani dovremmo sviluppare un pensiero ambientale ed ecologico che non abbiamo costruito».

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Gabriele Bertacchini è convinto di questo: «Ci facciamo invece portavoce di una ecologia sbandierata, ma che in realtà non guarda gli interessi dell’ambiente, al massimo tenta di mettere toppe qua e là quando le cose degenerano. Anche la parola sostenibile è un dispositivo che abbiamo creato per giustificare comportamenti disfunzionali».

Un’osservazione che tira in ballo anche il settore del turismo, «estremamente aggressivo nei confronti dell’ambiente» nel quale modello «la parola sostenibile per raccontare il contatto con la natura, quando in realtà quest’ultima a seguito di quell’incontro viene trasformata e il più delle volte devastata, è una mistificazione. In Trentino ci siamo presi tutto – afferma il naturalista -. Qual è allora lo spazio per la natura e gli animali se non siamo disposti a fare alcun passo indietro? Siamo di fronte alla più grande crisi ambientale da 65 milioni di anni, crisi che abbiamo provocato noi: questi animali ci possono mettere di fronte a un grande concetto, quello di limite che ci ricorda che non ogni spazio è lì per noi. L’orso e molto altri animali ce lo ricordano».

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