Nel vivo delle vacanze estive, ma con la prospettiva del rientro tra i banchi per la sessione di esami di settembre, è necessario parlare di università e in particolare di un fenomeno che sta privando il nostro Paese di futuri dottori e dottoresse.

Si tratta dell’ansia universitaria, fenomeno diffuso che frena tantissimi studenti e studentesse nel loro percorso di studi, portando – nei casi estremi – all’abbandono di quest’ultimo. La dispersione universitaria in Italia, infatti, sarebbe passata dal 6,3% del 2011-2012 al 7,3% del 2021-2022, come riportato da Il Sole 24 Ore.

Se guardiamo alla distinzione per genere, sono i maschi a lasciare in maggiore misura rispetto alle donne (7,4% contro 7,2%) e il primo anno diventa sempre più critico: il 7,1% di abbandoni arriva da neo-iscritti. In sempre più casi poi i giovani non prendono proprio in considerazione l’iscrizione ad un ateneo: tra il biennio ’11-’12 e il biennio ’21-’22 le iscrizioni sono calate del 5%.

Andando ad analizzare poi i dati CENSIS, nel 2023 si è registrato un’ulteriore calo di iscrizioni rispetto al 2022 pari al 3%, che equivale a 9.400 studenti in meno. E se per la diminuzione di nuove matricole bisogna tenere conto dei fattori economici (caro affitti, calo del potere di acquisto delle famiglie) e del calo demografico, per chi l’università la incomincia per poi abbandonarla, bisogna analizzare anche lo stato di salute mentale degli studenti.

Come stai?

Ci viene in aiuto – per comprendere il fenomeno – lo studio 2022 di IRES (Istituto Ricerche Economiche Sociali) Emilia RomagnaChiedimi come sto“. Emerge in primis una scarsa fiducia verso la scuola e/o l’università (51%), che è comunque superiore alla quella riposta in altre istituzioni come quelle religiose (18,6%), politiche (6,2%) o di governo nazionale (15,3%) ed europeo (49,6%). Gli unici due veri appigli sociali per i giovani studenti rimangono la famiglia (85,5%) e gli amici (85,8%).

In generale, nonostante i giovani coinvolti dallo studio riconoscano di essere una generazione responsabile (69,3%) e determinata (74,5%), non si ritengono felici: solo il 26,3% dichiara di essere, almeno, abbastanza felice.

A pesare è certamente la fase pandemica, che trovando impreparate le istituzioni accademiche, ha inciso drammaticamente su studenti e studentesse. Se si guardano infatti i dati relativi alla didattica a distanza (DAD), oltre ad aver avuto problemi tecnici di connessione (almeno una volta il 90,1% degli intervistati) e difficoltà nel ritagliarsi uno spazio adeguato e tranquillo per seguire le lezioni (60,1%), i giovani hanno patito molto il distanziamento sociale, sviluppando sintomi quali ansia (86,4%) e solitudine (85,8%) arrivando così a sentirsi demotivati (90,3%) ed annoiati (95,8%).

Il periodo delle lezioni in DAD ha coinciso con una diminuzione generale – tra i giovani intervistati – di sensazioni di allegria, voglia di fare e serenità, con percentuali tra il 55 e il 60%, contrastata da un aumento invece di ansia, noia, demotivazione e paura, con percentuali dal 45 al 68%.

Un supporto psicologico necessario

Lo studio, nelle sue fasi finali, sottolinea come la quasi totalità del campione analizzato (90%) ritiene necessario avere un supporto psicologico all’interno del proprio ateneo od istituto, e un terzo di esso (35%) dichiara anche di volerne usufruire. Questa percentuale sale al 56% se si prendono unicamente in considerazione gli studenti universitari fuori sede, i quali oltre alle preoccupazioni sull’andamento del proprio percorso di studi – che è una delle prime cause di disturbi psichici – devono far fronte alle problematiche economiche legate al vivere lontano da casa.

Questo dato fornisce il gancio con un’altra ricerca interessante sul tema, realizzata negli Stati Uniti dall’organizzazione Active Minds. Il lavoro, pubblicato nel 2023, fornisce uno spaccato degli States che riflette la situazione italiana, dimostrando come il problema sia non di carattere geografico quanto generazionale. Secondo questa indagine almeno il 39% degli studenti americani ha sperimentato almeno un problema importante legato alla propria salute mentale.

Cerimonia di laurea negli States / Crediti: uhomes

Come si combatte il problema? Gli stessi studenti si sono fatti sentire attraverso i propri organi rappresentativi. Nel marzo 2023, la Rete degli studenti medi e l’Unione degli universitari (UDU) avevano presentato alla Camera dei Deputati una proposta di legge – modellata anche sui risultati della ricerca di IRES – sulla salute mentale delle ragazze e dei ragazzi comprensivo assistenza psicologica, psicoterapeutica e di counseling scolastico e universitario.

Tuttavia la risposta dalla politica non è ancora arrivata e le varie università si muovono ciascuna seguendo iniziative individuali. Nel mentre, secondo l’Istat, le percentuali degli universitari italiani che soffrono di depressione e ansia sono rispettivamente al 27 e al 33%, con il rischio di un ulteriore aumento del tasso di abbandono e la contemporanea resistenza dei pregiudizi sulle richieste di aiuto in materia di salute mentale.

Il tema è al centro della quarta puntata del podcast In bolla realizzato dai giovani ragazzi del progetto “PAO Media” di Fondazione PAO. In quest’ultimo episodio è ospite il dottor Carlo Matteo Callegaro, pedagogista clinico, autore e docente a contratto presso l’Università degli Studi di Verona.

Intervistato da Mattia Santoro, il dottor Callegaro descrive quelle che sono le tecniche che costituiscono un primo argine all’ansia, con un focus sulla respirazione e permette di tracciare un quadro della situazione nell’ateneo veronese, in particolare in merito ai progetti “Campus” e “Scoperta” avviati sia per promuovere il benessere psicologico che per migliorare i servizi di orientamento scolastico, primo passo verso un fruttuoso percorso di studio.

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