«Non mi interessa», «non li posso più vedere», «è troppo» sono solo alcuni dei pensieri che precedono lo scorrimento social, ossia quel movimento compulsivo del pollice che ci libera da video atroci e informazioni difficili da comprendere. Negli ultimi anni è aumentato esponenzialmente l’uso di social network per informarsi, arrivando a una diminuzione del cartaceo immensa se paragonata a soli dieci anni fa.

L’industria cartacea è in crisi, così come l’editoria e il giornalismo su carta. Ciò che non è in crisi invece è il mondo dell’infosocial, composto da creator, influencer, memer e giornalisti indipendenti. Nella nuova agorà di scambio, la notizia viaggia alla velocità della luce dello schermo e con la stessa velocità può essere scartata se considerata poco interessante.

Un po’ di numeri

Secondo il Report di Reuters 2024 sulle notizie digitali, ricerca che quest’anno propone un’analisi comparata dell’uso social in tutti i paesi del mondo, oltre la metà della popolazione mondiale sta utilizzando short video per informarsi, su You Tube, Facebook, Instagram e Tik Tok. Quest’ultimo, neanche a dirlo, è preferito dai più giovani e sta salendo nella graduatoria dei più utilizzati, anche se Youtube rimane al primo posto per tutti e Facebook al secondo per gli adulti.

Dai dati del Report infatti risulta che Tik Tok viene usato dal 16% dei giovani under 24, Instagram dal 18% e You Tube dal 23% di questi. Considerato che stiamo parlando della fetta di popolazione che utilizza di più i social per informarsi (l’83% di loro li usano), di sicuro la durata dei video si sta accorciando, eppure Tik Tok non ha ancora superato il colosso rosso.

Il potere comunicativo dello short video

Ma non sono solo i giovani a informarsi sui social: secondo il report di Reuters il 76% degli ultra 35enni si informa tramite short video, diventando i maggiori utilizzatori dei reels di Facebook con addirittura il 28% e superando così qualsiasi uso giovanile per le notizie.

La “pillola blu” dei social network, ossia quello che per primo ha sostituito blog e piazza nella discussione di notizie, è stato e rimane tutt’oggi Facebook.

Se quindi resta veiritiera l’analisi del rapido cambiamento nel mondo dell’informazione dettato da influencer e opinionisti home made, resta il fatto che questi non hanno movimento soltanto sui nuovi social, ma anche e soprattutto su quelli più rodati e fruibili da tutte le generazioni.

Oltre il concetto di “nativi digitali”

Giovanna Cosenza, ordinaria in Filosofia e teoria dei linguaggi.

La filosofa ed esperta di media digitali Giovanna Cosenza invita a prendere con le pinze il concetto di generazione quando si parla di consumo online dell’informazione: «le nuove abitudini non sono necessariamente connesse alle fasce di pubblico più giovani» dichiara sul Report 2024 dell’Osservatorio sul giornalismo digitale dell’Ordine dei Giornalisti.

Il concetto di “nativi digitali” è infatti stato superato da quello di “saggi digitali”, ossia di coloro che hanno una competenza trasversale che permette l’utilizzo cosciente dell’internet.

La professoressa dell’università di Bologna Cosenza sottolinea poi come sia cresciuta la ricerca di informazioni su You Tube, individuando nei social network alcune nuove problematiche come la news avoidance (letteralmente l’evitamento delle notizie, ndr) e l’inaffidabilità delle notizie.

Quattro persone su dieci evitano alcune news

Come già anticipato, è comune la sensazione di non voler recepire una notizia o un’immagine perché troppo dolorose: il report di Reuters riporta che quattro persone su dieci ammettono di evitare alcune informazioni. Il senso di sopraffazione è ciò che hanno prodotto la guerra in Ucraina e Palestina, rendendo il dolore altrui non solo sconvolgente ma anche impossibile da guardare.

Nel secondo caso si sono già sperimentati gli effetti delle fake news, che con l’assenza di fonti e controlli girano da anni alimentando complottismi (su 4chan o sullo stesso Facebook) distruggendo la fiducia nelle notizie: in Grecia e Ungheria solo il 23% della popolazione si fida dei giornali, mentre in Finlandia è il 69%.

Anche se per il Coronavirus la fiducia mondiale nei media giornalistici è calata, la grande quantità di elezioni di quest’anno ha aumentato la fiducia in alcuni Paesi, ad esempio l’Argentina, ma ha anche coinvolto un gran numero di influencer che si sono sentiti in dovere di prendere posizione.

Metterci la faccia

La caratteristica delle notizie video è che oltre al testo si aggiunge la comunicazione visiva: che sia in forma di musica, voce o del volto dell’influencer, il filmato rimane una chiave di lettura aggiuntiva dell’informazione, quindi un’opinione. La co-autrice del podcast Il Sottosopra Serena Mazzini, conosciuta su Instagram come @serenadoe__, è una delle tante giornaliste che ha deciso di usare il mezzo visivo oltre alla scrittura e di discuterne la forza.

Come nell’antica Agorà, l’informazione è tornata a essere criticata, discussa, dialogata e rimaneggiata in un confronto peer to peer, dove chi è più influente ha più seguito: un bellissimo esercizio di democrazia.

Ma se chi informa non torna a citare le fonti e chi usufruisce a verificarle tramite siti adatti (ne scrive su Il Sole 24 Ore il co-fondatore di CNC Media Francesco Brocca), il rischio è di finire governati dai propri algoritmi. Solo così si può ri-diventare protagonisti della propria informazione, senza il bisogno di metterci la faccia se non con sé stessi.

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