Si prospetta una riqualificazione per uno degli scorci più suggestivi del centro storico, ma ad oggi non valorizzato abbastanza per la presenza delle auto che vi parcheggiano. Parliamo di piazzetta Bra’ Molinari da cui è possibile godere della vista su Castel San Pietro dall’argine opposto dell’Adige, a ridosso di Sottoriva. Il progetto, avanzato dall’assessore ai Giardini Federico Benini, prevederebbe l’ampliamento degli spazi pedonali e di verde, originando così un’unica area pedonale. Approvato dalla Circoscrizione 1 e in attesa del via libera definitivo da parte della Giunta, dopo le dovute osservazioni, costerà 400mila euro per l’ampliamento delle aree alberate, l’inserimento di nuove sedute e l’uniformazione della pavimentazione.

Il rendering di come potrebbe essere il risultato della riqualificazione di piazzetta Bra’ Molinari.

Il progetto piace anche al presidente della Circoscrizione 1 Lorenzo Dalai: «Dopo la riqualificazione avremo un percorso storico-artistico ideale per i turisti e per i cittadini che vogliano passeggiare da Sottoriva, attraverso questa piazza, per poi arrivare a ponte Pietra e attraversandolo, salire con la funicolare a Castel San Pietro», dichiara in una nota.

Quando Verona era anche città di fiume

Ma anche per i veronesi l’intervento potrà restituire un luogo molto suggestivo e dalla lunga storia. Bra’ dei Molinari si trova dentro l’ansa dell’Adige, da ponte Pietra a via Sottoriva, dietro l’abside della basilica di Santa Anastasia. Il parapetto della Bra’ dei Molinari sull’Adige costituisce uno dei punti panoramici più belli della città da cui si può ammirare il teatro Romano, dislocato tra le chiese di Santo Stefano e quella sconsacrata del Redentore. Le case sono adagiate sulla collina di Castel San Pietro e il profilo collinare con le mura scaligere.


L’attuale conformazione di piazzetta Bra’ Molinari, con i posti auto che saranno sostituiti dall’area pedonale. Foto Google street view.

Ma questa piazzetta ha anche un significato storico molto importante. Innanzitutto, il toponimo Bra’ (con l’apostrofo) dei Molinari rimanda alla parola Braida (campo coltivato a prato): Bra’ qui aveva il significato di grande piazza fluviale, perché, in questo punto, prima della costruzione dei muraglioni, le barche che solcavano le acque dell’Adige scaricavano le diverse derrate destinate alla macinazione nei numerosi mulini.

Poco oltre la Bra’ dei Molinari inizia via Sottoriva, dove vi erano gli ariali, ovvero le postazioni dei mulini con i fondaci e le abitazioni dei molinari.

Dalla riva, disposte a pettine, c’erano le peagne, cioè le passerelle, collegate ai mulini posti nella corrente del fiume. Bra’ dei Molinari rimanda quindi alla tradizione dei mulini nell’Adige e all’artigianato dei molinari, cancellati dalla costruzione dei muraglioni, dopo la terribile inondazione del 1882.

La presenza dei mulini risale al Medioevo

In questa zona, l’Adige era un fiume accessibile a pelo d’acqua dai vo, i guadi, in fondo ai vicoli. Era percorso da zattere e burchi e animato dalla presenza dei numerosi mulini. La più antica testimonianza dell’esistenza di mulini sull’Adige a Verona ci riporta al Medioevo: nel 905, Berengario I concesse al diacono Giovanni tre poste da mulino. Un graffito sulla chiesa di Santo Stefano informa che, nel 1239, erano 50.

In epoca comunale, i mulini si concentravano lungo le rive di alcune contrade: il gruppo collocato in corrispondenza di Sottoriva apparteneva al potente monastero di San Leonardo in Monte, sulle Torricelle, oggi scomparso.

Quanti erano i mulini sull’Adige

Quanti erano i mulini sull’Adige? Lo si viene a sapere indirettamente, in epoca veneta, con la tassa della màsena, che, in un primo tempo, colpiva i cereali, quando erano condotti dal mugnaio; successivamente si trasformò in una imposta di consumo applicata in misura fissa ad ogni persona fra i 5 e i 70 anni.

Attorno al 1570, a Verona e sobborghi, funzionavano 87 mulini: a Sottoriva, c’era la maggior concentrazione, ben 22. Il loro numero aumentò nel corso dei secoli fino ad essere più di 400, nell’Ottocento. Poi la crisi, negli ultimi decenni del secolo, con la prima industrializzazione veronese.

Berbardo Bellotto, Vista di Verona e dell’Adige dal Ponte nuovo,1747/48, olio su tela,
Gemäldegalerie, Dresden. Pubblico dominio.

Il molinaro era un artigiano assai considerato e, visto che l’arte si trasmetteva di padre in figlio ed era familiare, erano preferiti i matrimoni tra persone appartenenti alla categoria: una vera e propria casta. I molinari si occupavano non solo della macina dei cereali, ma trituravano terre coloranti, zolfo, calcina e corteccia di quercia per la concia delle pelli. Tra i diversi lavori svolti in prossimità delle acque, artigianali o di altro genere, la concia delle pelli fu sempre considerata poco igienica, perché comportava la lavorazione di materiali soggetti a putrefazione e l’uso di sostanze inquinanti. Le autorità fecero perciò collocare i laboratori dove l’acqua poteva essere dispersa e non utilizzata per irrigazione o uso domestico.

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