“Sapere” e “sentire” sono due cose diverse. Possiamo conoscere numeri, date, cifre, vedere le foto e video, eppure restare indifferenti verso gli eventi più ingiusti e crudeli che accadono altrove. Se invece tocchiamo con mano ciò che è testimonianza dei fatti, fa un altro effetto. Per sentire la realtà Ucraina, restando a Verona, basta venire in piazza Bra domani. Oppure, partire in una missione.

Toccare il dolore con mano

Chi abita a Verona, potrà infatti fare questa esperienza per tre giorni consecutivi a partire da venerdì 19 luglio: un’ambulanza ucraina, crivellata dalle pallottole russe verrà esposta in piazza Bra. Questo mezzo di soccorso, con tanto di Croce Rossa sul fianco, è stato danneggiato a Staryi Saltov, in provincia di Kharkiv, dopo la de-occupazione nell’autunno del 2022. In quel periodo, i russi hanno preso di mira i villaggi liberati. Un uomo è stato ferito, e ha fatto, suo malgrado, da esca: i russi, certi di poter colpire il bersaglio, hanno sparato sulla ambulanza, che per fortuna in quel momento era vuota, perché i medici erano dentro casa.

In tutto, durante i primi 8 mesi dell’invasione furono danneggiati più di duemila veicoli speciali: molti di questi sono diventati la tomba di chi ci viaggiava dentro, correndo verso la salvezza in direzione di un ospedale.

Ambulanza crivellata di fronte, esposta in piazza in Italia.
Foto di Massimo Mezzetti.

L’ambulanza che arriva a Verona ha girato ormai mezza Europa, raccogliendo fondi per l’acquisto delle ambulanze nuove, di cui c’è un bisogno costante. In Italia, è già stata esposta a Modena, Bologna, Trento, Porto Mantovano, Piacenza, Brescia, Ozegna, Genova, Alessandria, Levone, Asti, Torino, Novara, Borgomanero, Gallarate, Reggio Emilia, Faenza, Forlì, Cesena, Imola, Rimini.

L’Associazione scaligera “Malve di Ucraina”, che ha promosso l’iniziativa, ha deciso di devolvere i fondi che verranno raccolti per l’acquisto di una nuova ambulanza per l’Ohmatdyt di Kyiv, l’ospedale pediatrico più grande non solo dell’Ucraina e, pur essendo stato fondato alla fine dell’Ottocento, è all’avanguardia per ciò che riguarda le terapie.

I veronesi avranno così la possibilità di toccare con mano il dolore altrui, accendere l’empatia e sentire il brivido freddo della paura in mezzo alla torrida estate italiana.

Una missione a Kyiv

Un’esperienza simile l’hanno fatta anche i membri della delegazione del Movimento europeo di azione non-violenta durante la visita a Kyiv lo scorso 11 e 12 luglio, che si sono trovati a contatto con la devastazione di una struttura atta a salvaguardare la salute e trasformata in una ecatombe.

È stato un caso, ma l’undicesima missione in Ucraina del movimento MEAN è coincisa con il barbaro bombardamento dell’ospedale Ohmatdyt. Nei piani della delegazione italiana c’era una preghiera inter-religiosa e una conferenza, ma non si poteva esimersi dal dovere morale della testimonianza. Un luogo di cura è sacro, sia per le persone civili e pacifiche, sia per le leggi internazionali, la Convenzione di Ginevra in primis. Eppure, per l’esercito russo funziona al contrario: attaccano dove farà più male alla popolazione civile.

Ci avevano provato già più volte a colpire l’ospedale, ma l’antiaerea aveva abbattuto i missili. La mattina dell’8 luglio, invece, hanno centrato il bersaglio: la palazzina storica ottocentesca, il primo nucleo della struttura ospedaliera di Ohmatdyt, e poi il palazzo moderno, inaugurato due anni fa e dotato di attrezzature moderne anche per le malattie più rare.

Rovine del Ospedale Ohmatdyt, Kyiv, 11 luglio 2024. (c) Marina Sorina
Alcuni ruderi dell’ospedale raggiunto dal missile Cruise russo. Foto di Marina Sorina

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Mettere a fuoco l’ecatombe

Ho avuto l’onore di unirmi alla delegazione, composta da rappresentanti del mondo cattolico e dai semplici sostenitori della causa ucraina.

Madre e figlia al Ohmatdyt.
Una mamma con il figlio si muove all’interno dell’ospedale Ohmatdyt bombardato. Foto Marina Sorina.

Scesi dall’autobus, abbiamo cercavato di mettere a fuoco ciò che stava accadendo attorno a noi. I guardiani all’ingresso, le squadre coi gilet arancioni che puliscono, le infermiere che si riposano al sole, con una borraccia in mano. Sui loro volti stanchi, graffi e ferite. Ci sono anche le mamme coi bambini e cartelle di documenti sotto braccio: la maggior parte dei degenti sono stati dimessi a casa o trasferiti altrove, ma in altre palazzine si va avanti.

Arrivati di fronte all’edificio sventrato, non c’è stato bisogno di richiamarci alla sobrietà: eravamo ammutoliti. Con lo sguardo abbracciavamo il palazzo ferito, con la mente tentavamo di capire l’inconcepibile. Come può la mano di un uomo alzarsi per colpire un ospedale, condannando a morte sia chi sarà schiacciato dalle macerie, sia chi resterà senza le terapie vitali?

Temevamo di assistere a scene strazianti, ma l’aria nel cortile non era lugubre. Tre giorni dopo l’attacco, la maggior parte delle finestre erano ricoperte con la pellicola o il compensato, e alte pile di materiale d’emergenza aspettavano il loro turno nelle vicinanze. Una delle finestre rotte, da fuori, è stata decorata con la bandiera ucraina.

Bandiera ucraina sulla finestra sventrata, ospedale Ohmatdyt, Kyiv, 11 luglio 2024. (c) Marina Sorina
L’ospedale pediatrico colpito dal missile russo l’8 luglio scorso. A una finestra è stata messa la bandiera ucraina. Foto di Marina Sorina.

Due alpinisti industriali stavano controllando le piastrelle pericolanti e i vetri spezzati che avrebbero potuto cadere giù dai piani alti. Attorno, un parco ombroso con fioriere, sculture, allegri disegnini che inneggiano ai sogni e alle speranze.

Fra le aiuole devastate, erano ancora in piedi due cartelloni con la mappa per orientarsi fra le dieci palazzine che compongono l’Ohmatdyt: uno era intatto, l’altro perforato.

La fragile sensazione di normalità

La fragile sensazione di normalità è poi svanita appena abbiamo notato gli oggetti, disposti lungo il vialetto d’accesso: poltrone, barelle, lettini, mobili da ufficio di colore giallo-blu, pacchi di pannolini, vassoi per le medicine, calcio-balilla, sacchi di giocattoli spezzati e un ficus solitario.

Poteva sembrare un caotico trasloco, se non fosse che i peluche sono sbudellati e gli alberelli spezzati alla radice. Non so cosa facesse più impressione: questi oggetti ordinari in paziente attesa di ricollocazione alla nostra destra, o il coacervo di lamiere accartocciate, vetri frantumati, assi di metallo ammassate a sinistra.

Fiori accanto al ospedale Ohmatdyt, Kyiv, 11 luglio 2024. (c) Marina Sorina
Si ripristinano anche le aiuole per tornare alla normalità. Foto di Marina Sorina.

Ciò che stava accadendo si chiama “resilienza”. Prendiamo un giardiniere che annaffia le piante. Sembra un gesto consueto, ma se guardi meglio vedi che uno dei cespugli nell’aiuola è bruciato, i fiori troncati. I tubicini del sistema di irrigazione rimangono a terra, ma, essendo spezzati in più punti, non funzionano più. Perciò si annaffia a mano. Sull’asfalto, accanto i ciuffi di erba morta che il giardiniere ha raccolto, poggiano però i vasi di fiori nuovi, portati in dono dagli abitanti di Kyiv.

Accanto ai fiori, gli operai sono in costante movimento a spostare macerie, pulire gli spazi e raggruppare i detriti, che poi le ruspe raccolgono e buttano dentro i camion. Alcuni uomini, sfiniti dal caldo e dalla fatica, sonnecchiavano, seduti per terra.

Lavoratori che ripuliscono le macerie. Ospedale Ohmatdyt, Kyiv, 11 luglio 2024. (c) Marina Sorina
Operai al lavoro. Foto di Marina Sorina.

Sotto una tenda, i volontari gestiscono tavoli colmi di svariate bibite e spuntini, riforniti in modo spontaneo dalle diverse associazioni della società civile. Il primo giorno i volontari erano così tanti che venivano mandati via: c’era abbastanza manodopera per l’emergenza.

Tenda dei volontari, ospedale Ohmatdyt, Kyiv, 11 luglio 2024. (c) Marina Sorina
Alcuni punti di ristoro allestiti fuori dall’ospedale coplito, messi a disposizione del personale dell’ospedale e per gli operai al lavoro. Foto Marina Sorina.

L’incontro con il dirigente della terapia intensiva pediatrica

Non abbiamo potuto entrare perché l’edificio è pericolante. Mentre aspettavamo alle porte d’ingresso, ho notato una installazione in mezzo all’aiuola: un soffione alto e snello, fatto di metallo e perfettamente intatto, era rimasto in piedi a sottolineare la fragilità e la bellezza della vita umana.

Quando Serhii Chernyshuk, dirigente medico del Reparto di medicina e terapia intensiva si è rivolto a noi, è calato il silenzio totale. La bravissima interprete, Tetiana, con le lacrime agli occhi, traduceva il discorso dell’uomo che al momento dell’impatto si trovava nel palazzo accanto a quello colpito.

Dottor Serhiii Chernyshuk, direttore medico ospedale Ohmatdyt, Kyiv, 11 luglio 2024. (c) Marina Sorina
Il dottor Serhii Chernyshuk dirigente medico del Reparto di medicina e terapia intensiva dell’ospedale pediatrico Ohmadyt durante l’incontro con la delegazione del MEAN. Foto Marina Sorina.

«Oggi noi difendiamo la nostra terra, non abbiamo altro luogo dove andare. Siamo in questa guerra non da dieci, ma da centinaia d’anni, e se vinceremo o no dipende dalla intensità e tempestività degli aiuti – ha affermato il medico -. Non fatevi ingannare da chi paventa una escalation: avverrà se non appoggerete la nostra resistenza ora. Le trattative con chi ti vuole morto non portano a buon fine. Avete solo due possibilità: la prima, aiutare l’Ucraina a vincere; la seconda, prepararvi a difendere la vostra terra da soli».

Dopo queste parole, non ci è restato che unirci in preghiera, e proseguire la visita fra le zone ancora ingombre di frantumi e quelle ripulite nei giorni precedenti. Il dolore e la speranza si mescolavano in ogni dettaglio.

Trasformare l’emozione in azione

Mentre i giornalisti intervistavano il dottor Chernyshuk e gli altri membri della delegazione giravano immersi nei loro pensieri, ho notato un frigo appoggiato per terra. Fra gli adesivi che lo decoravano, spiccava la scritta: “Vivrò in eterno, perché nel cuore ho ciò che non muore”. Queste parole di Mavka, personaggio del poema di Lesia Ukrainka “Il canto della foresta” mi hanno fatto tornare in mente il volto angelico di Svitlana Lukianchuk, la trentenne nefrologa morta sotto le macerie. Il suo nome si aggiunge ad una lunga lista di lutti: solo nel primo anno dell’invasione in Ucraina l’esercito russo ha ucciso 106 operatori sanitari, 33 dei quali erano al lavoro.

Ad un certo punto, la nostra meditazione è stata interrotta dal rombo dei motori. Due ambulanze nuove con targhe ungheresi stavano portando scatole di medicine. La presenza di una troupe televisiva che riprendeva l’arrivo faceva intuire che non si trattava di volontari comuni. Infatti, abbiamo assistiamo ad un evento particolare: Péter Magyar, leader del partito di opposizione “Tysa” ha voluto presentare di persona il suo dono.

Ambulanza donata da Péter Magiar, ospedale Ohmatdyt, Kyiv, 11 luglio 2024. (c) Marina Sorina
Una delle ambulanze ungheresi con cui sono stati portati farmaci e altri aiuti all’ospedale pediatrico di Kijv. Foto di Marina Sorina.

Il dottore ucraino era rimasto però accanto a noi. Sapeva che ciò che conta è la volontà, – dal basso o dall’alto – di toccare senza timore, con empatia, il dolore altrui per aiutare a superare i traumi e a trasformare l’emozione in azione. Per i membri del MEAN significava poter avviare dei progetti di collaborazione.

Per i veronesi, invece, fare l’esperienza di contatto con la realtà di guerra sarà più facile: basterà passare in piazza Bra nel week end, a salutare l’ambulanza crivellata e ascoltare i volontari ucraini che la custodiscono.

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