Buio e luce. Buio che risucchia ogni forma, luce che acceca ogni sicurezza. Il buio che rende democratico l’osceno, la luce che esaspera il dolore. Buio e luce sono i temi portanti di Dostoevskij, il nuovo film (atto 1 e atto 2) dei fratelli D’Innocenzo. Una sorta di Canto del buio e della luce cinematografico che, in riferimento allo scrittore Antonio Moresco, sprofonda al grado zero del dolore umano come se fosse una memoria dal sottosuolo abbozzata (in senso positivo), una mappatura dei sentimenti più oscuri che ci avvolgono quotidianamente.

La miniserie Sky Original in due atti è la prima prova per la tv diretta dai gemelli Damiano e Fabio e segue i film La terra dell’abbastanza (2018), Favolacce (2020) e America Latina (2021). Distribuita nelle sale cinematografiche fino a domani, 17 luglio, dovrebbe approdare sul piccolo schermo entro fine anno su Sky Atlantic e Now.

Il trailer del film dei fratelli D’Innocenzo Dostoevskij.

Per costruire questa duplice indagine – poliziesca da una parte e del dolore, dall’altra – i D’Innocenzo conferiscono all’immagine cinematografica il ruolo di una tela (il supporto artistico per eccellenza) destrutturando, in pellicola 16 millimetri, le inquadrature per cercare una nuova dimensione indefinita, ignota, come un quadro di Lucio Fontana. Lo spazialismo cinematografico che si crea permette ai due registi di dialogare con il genere thriller o hard boiled italiano sui generis, facendo propri alcuni cliché per poi, al tempo stesso, sovvertirli.

Hard boiled italiano

L’ossessione del poliziotto Enzo Vitello (Filippo Timi) per il serial killer Dostoevskij – apostrofato con questo nomignolo per le lettere che lascia sul luogo del delitto – diventa dunque il contenitore del rapporto viscerale tra la fede nel futuro (luce) e l’odio per il passato (buio). Perché Enzo ha abbandonato sua figlia? Perché Dostoevskij è imprendibile?

Una delle lettere del serial killer Dostoevskij.

Guardando questo film si perdono pian piano le coordinate delle motivazioni che spingono ogni personaggio a compiere il proprio percorso, questo perché è il luogo stesso in cui agiscono a essere senza coordinate.

Non è l’Italia quella che vediamo in Dostoevskij, ma neppure l’America. È un’idea di mondo che non ha paura di mostrarsi in tutta la sua sporcizia, fatta di forme che mettono a disagio e di tagli di luce che pulsano giovinezza. Un mondo dove l’isterismo dei film di Maurice Pialat dialoga con l’umanesimo dei film di Sergio Leone.

E, soprattutto, un mondo che nel buio più profondo e privo di logica – come sono privi di logica le vittime del serial killer – è in grado cogliere il senso della vita. 

– “Credo che tutti dovrebbero amare la vita prima di ogni altra cosa al mondo”.

– “Amare la vita più del senso della vita?”

– “Proprio così: amarla prima della logica, come dici tu. E solo allora se ne afferrerà il senso”. Da I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij.

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