Le molteplici declinazioni della violenza di genere, unita alle numerose definizioni esistenti del fenomeno, creano dubbi e incertezza anche sul metodo con cui vengono monitorati gli eventi e, di conseguenza, sui numeri di un fenomeno che non accenna a placarsi veramente.

Un energetico tentativo di fare chiarezza viene da UN Women, che potremmo definire in senso biblico come la “costola” femminile dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e che ha recentemente rilasciato i risultati di un enorme lavoro di ricerca a livello globale sulla portata della violenza su donne e ragazze. Si tratta di dati riferiti al 2022, analizzati con un approccio molto preciso e puntuale sotto il profilo scientifico, pur con il difetto di cui sopra: non tutti gli Stati adottano un sistema di monitoraggio e anche quelli che lo fanno spesso utilizzano metodi e definizioni non sovrapponibili.

Prendiamo quindi il prodotto Fatti e numeri per la fine della violenza contro le donne come una panoramica estesa e accurata, probabilmente approssimata – e forse anche molto – per difetto. Vediamo quindi l’impatto rilevato delle varie tipologie di violenza, senza seguire un ordine di importanza o rilevanza.

La violenza agita: femminicidi, violenza fisica o sessuale

Nel 2022, quasi 49.000 donne sono state uccise dal partner o da un membro della famiglia. Circa 5 donne vengono assassinate ogni ora da qualcuno di cui si fidano. Il 55% di tutti gli omicidi di donne sono perpetrati nell’ambiente domestico, contro il 12% dello stesso dato applicato agli omicidi di maschi.

A livello globale quasi 750 milioni di donne hanno subito violenza sessuale o fisica, che fosse dal compagno o da altri, almeno una volta nella vita, pari al 30% delle donne sopra i 15 anni. Una su tre. E questo dato non include le molestie sessuali. Per il 26% delle donne (più di 640 milioni) la violenza era agita dal parnder. Tra le ragazze con una relazione in corso e un’età tra 15 e 19 anni, una su quattro ha avuto esperienza di violenza fisica o sessuale dal partner.

Il 6% delle donne riporta di aver subito violenza da qualcuno diverso dal compagno o marito. Un dato che non corrisponde a una realtà ancora fortemente permeata dallo stigma legato alla denuncia. 15 milioni di ragazzine tra 15 e 19 anni hanno sperimentato il sesso forzato dal partner ma il dato si basa su soli 30 Paesi e sono molti, molti di più. Solo l’1% delle giovani vittime ha cercato aiuto professionale.

Altre forme di violenza agita: matrimoni infantili e mutilazione genitale

Nell’ultimo decennio, UN Women rileva un miglioramento del tasso globale dei matrimoni con spose bambine: la quota delle giovani donne tra 20 e 24 anni che si sono sposate prima dei diciott’anni è scesa dal 25% al 19%. Una su cinque. Un dato che va però verificato alla luce degli effetti economici della pandemia, che ha costretto molte famiglie a decisioni in questo senso, con un potenziale di 10 milioni di ragazze.

Circa 200 milioni di donne e ragazze nella fascia 15-49 anni ha subito una mutilazione genitale nelle 31 nazioni dove si concentra tale pratica. Nell’Africa sub-sahariana, una su quattro. Ci sono Stati in cui la mutilazione è pressoché universale, con 9 vittime ogni 10 ragazzine; altri – come Camerun e Uganda – dove è rarissima e un mondo eterogeneo quando spaventoso nel mezzo.

Le forme di violenza “nuove”: cambiamento climatico e tecnologia

Come ampiamente documentato durante la pandemia, ogni evento che provochi insicurezza e peggioramento delle condizioni economiche ha un impatto maggiore sulle donne, che sono le prime a perdere il lavoro, a doversi dedicare alla famiglia, a sacrificarsi. Ma c’è di peggio.

UN Women cita l’Uragano Katrina del 2005, quando il tasso di stupri sulle donne nei campi profughi superò del 53,6% la media del Mississippi per lo stesso anno. O l’Etiopia colpita dalla siccità, in cui le figlie vengono vendute in cambio di bestiame, o ancora il Nepal dove il numero di cessioni ai trafficanti è raddoppiato dopo il forte terremoto.

Per quanto riguarda le molestie online, nella civilizzata UE è capitato a una donna su dieci sopra i 15 anni, sotto forma di immagini non richieste e/o sessualmente esplicite, oppure comportamenti inappropriati o adescamento sui siti social. Nel mondo arabo, uno studio rileva che il 60% delle donne attive su internet ha subito questo tipo di abuso. Un altro studio, in Corea, parla di 85%. Numeri eterogenei, in assenza di una formula chiara e condivisa del cyber harassment, ma sempre numeri altissimi.

Le leggi ci sono, manca la voce

Meno del 40% delle donne che subiscono una violenza cerca un aiuto di qualche genere. Nella maggior parte delle nazioni con dati disponibili su questo tema, la maggior parte di chi esce allo scoperto chiede appoggio a famiglia e amicizie, pochissime si rivolgono ai sevizi sociali e meno del 10% di chi chiede aiuto va alla polizia.

Eppure il panorama legale è tutelante per le donne, con 162 Stati che possiedono almeno una legge sulla violenza domestica e sono 147 a tutelare contro le molestie sul luogo di lavoro. Ultimi ad unirsi nel monitor UN Women nel 2022 sono stati la Repubblica del Congo, Costa d’Avorio, Indonesia e Giamaica.

Inoltre, a partire dalla risoluzione ONU 68/191 del 2013, molte nazioni hanno introdotto il reato di femminicidio nel proprio ordinamento, seppur con definizioni spesso conflittuali e quasi mai omogenee, tra cui Cipro e Malta nel 2022 (e la Croazia, nel 2023 – nda). Non sempre però la legge vigente appare in linea con gli standard internazionali, o non viene applicata nel modo corretto.

Foto da Unsplash di Sidney Sims

Il costo della violenza

Eppure sarebbe nell’interesse di tutti, anche degli Stati stessi, utilizzare lo strumento legislativo sia per punire gli assassini, i violenti, gli stupratori, sia come arma di prevenzione e deterrenza. Un’azione che passa per forza attraverso pene certe e pesanti contro le violenze di ogni genere.

Sarebbe una cosa buona e giusta per le tante vittime, un riconoscimento per chi ha alzato la voce e un sostegno a chi ancora vive nella prigione del dubbio e della paura. E darebbe sollievo anche alle casse dello Stato, almeno a leggere le quantificazioni riportate dello studio ONU.

In Egitto si stimano 500.000 giornate di lavoro perse a causa della violenza domestica e un costo totale per il sistema sanitario di 14 milioni di dollari per solo un quarto delle vittime. In Marocco il costo totale è stimato in 308 milioni di dollari e nella UE a circa 380 miliardi di euro l’anno, con 289 miliardi di euro destinati alle donne.

Soldi che potrebbero essere investiti per lo sviluppo e la crescita, per migliorare l’istruzione e favorire l’ascensore sociale, la parità di genere, l’inclusione. E invece, no.

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