Continua il viaggio nel Festival di Cinema Africano, con quattro cortometraggi pronti a mostrare delle realtà che ci riguardano, anche se geograficamente lontane chilometri.

The Voice Of Others è un cortometraggio molto interessante perché pone al centro del proprio discorso tematico il linguaggio come elemento identitario. La protagonista d’altronde è un interprete tunisina che lavora in un centro di richiedenti asilo. Ogni giorno, dunque, si trova a tradurre molteplici storie per capire o meno se concedere il diritto alle persone che desiderano rimanere in Francia. Assistendo al crescendo drammatico sul volto della protagonista, per trenta minuti ascoltiamo i racconti strazianti dell’odissea dei migranti.

L’atto della traduzione implica infatti un immedesimazione nell’altra persona, con la conseguenza che le parole non rimangono semplici suoni ma veri e propri monoliti sulla coscienza. Fatima Kaki, con un cortometraggio essenziale nella messa in scena, sviluppa una tematica imprescindibile che gravita attorno alla parola “accoglienza”. 

Il trailer di The Voice Of Others

Come un novello Billy Elliot, anche Mabil vuole danzare. Lo vuole fare durante una festa tradizionale del suo quartiere per manifestare la propria vocazione. Ma non può. La danza è una cosa da donne e la madre gli ripete che lo metterebbe in ridicolo. Libertà contro conservatorismo.  Khadidiatou Sow decide con Les Yeux de Mabil di mostrare uno spaccato della realtà che ha vissuto, mettendo prima di tutto in luce le contraddizioni che popolano quotidianamente la vita di chi proclama restrizioni a discapito dell’altro. Da una semplice storia, Les Yeux de Mabil si trasforma in un musical giocoso, pieno di colori, dove ogni rumore diegetico è utile per comporre la partitura di una danza che ha i passi e le note del ritmo festoso della vita.

Tra realtà e fantascienza

«Noi restiamo a bere il té mentre gli uomini seppelliscono papà?». È tutto in questa domanda provocatoria il tema di Sur La Tombe De Mon Père. Una domanda posta da Maïne, la piccola protagonista del cortometraggio, alla propria madre che non sa rispondere con decisione. Anche nella morte le gerarchie di genere sono presenti e si fanno asfissianti. Tramite un soggetto autobiografico Jawahine Zentar delinea con leggerezza un racconto lacerante, in cui non è possibile soffrire ed elaborare un trauma se non attraverso le condizioni date dalla società del posto. Un racconto che mostra come anche le donne adulte siano rassegnate allo sguardo maschile, trovando solo nelle nuove generazioni la speranza verso il futuro. Un futuro che urla a gran voce il diritto di piangere la morte.

Anche il genere della fantascienza distopica è presente nella selezione dei cortometraggi di Africa Short. A Moitié D’Âme racconta una realtà dove è possibile vendere il proprio tempo per donarlo ad altre persone. Ovviamente questo innesca una serie di meccanismi capitalistici, dove il tempo – sebbene anche nella nostra realtà sia il bene più prezioso – acquista un verso senso materiale, economico, spendibile concretamente.

A Moitié D’Âme di Marwen Trabelsi (ospite della serata)

La storia dunque di un padre che farà di tutto per cercare di salvare la propria figlia si trasforma in una grande metafora sul nostro presente, ormai schiavizzato dalla cosiddetta fast life in nome del profitto. Un cortometraggio che da un certo punto di vista è un elogio alla tranquillità, ai momenti di stasi che dovremmo ritagliarci quotidianamente nelle nostre vite, come simboleggia l’ultima immagine.

In caso di pioggia le proiezioni si terranno al chiuso all’interno del Cinema Santa Teresa. Biglietto festival 5 euro. Ogni sera cibo a cura di “Le stuzzicherie di Faty” e musica con Ewere Success Obuh, in arte SUCCESS, dalle ore 19.30.

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