Green Deal e difesa: un dilemma da risolvere in fretta
L'Europa è alla vigilia di una mole impressionante di investimenti, ma le spese per la difesa sono antitetiche rispetto agli obiettivi di contrasto al cambiamento climatico.
L'Europa è alla vigilia di una mole impressionante di investimenti, ma le spese per la difesa sono antitetiche rispetto agli obiettivi di contrasto al cambiamento climatico.
All’Unione Europea servono soldi, tanti soldi, per recuperare un gap di investimenti ormai storico e che si è accentuato a partire dal 2010. Lo ha ricordato Mario Draghi in recenti incontri con i ministri dell’economia della UE nell’ambito dell’incarico ricevuto da Ursula von der Leyen sulla competitività europea. Basti ricordare che dopo la crisi finanziaria del 2008, gli Stati Uniti hanno reintegrato il loro PIL precedente in soli due anni, mentre l’UE ci ha impiegato nove anni. Ciò ha portato a un divario economico e di innovazione crescente rispetto ai concorrenti americani e cinesi.
Se Draghi ha dato il quadro generale, Francesco Giavazzi, economista di livello internazionale, sulle colonne del Corriere della Sera dello scorso 17 febbraio ha fornito alcuni dettagli. Sono necessari almeno 500 miliardi di euro, con priorità di spesa per il Green Deal e la difesa europea, da reperire sul mercato emettendo debito comune europeo, similmente a quanto già fatto con il Pnrr.
La transizione verde, focalizzata soprattutto sulla mobilità elettrica, comporterà costi enormi. Sarà necessario investire non solo in ricerca e sviluppo, ma anche per proteggere la produzione di auto elettriche in Europa, in un mercato dominato dalla Cina. Inoltre, saranno necessari incentivi per incoraggiare l’acquisto di auto elettriche da parte dei cittadini. Come ammesso da Giavazzi, sarà anche necessario sussidiare la disoccupazione e affrontare le criticità sociali correlate. Inoltre, le spese per la difesa europea ridurranno le risorse disponibili per il welfare, la sanità e l’istruzione.
C’è il rischio, secondo Giavazzi, che i costi sociali troppo alti nel breve e medio periodo; quindi, sostenuti da coloro che votano oggi, possano compromettere i grandi e costosi progetti della transizione verde e della difesa europea, come risultato diretto o indiretto delle periodiche elezioni politiche.
Che fare allora? Come trovare i 500 mld, e probabilmente molto di più, necessari? Ed ecco allora la svolta “rivoluzionaria”: utilizzare quello che per gli economisti neoliberisti era, ed è ancora, il “male assoluto”, ovvero il debito pubblico. Per Giavazzi, anche se il fardello del debito rimarrà a carico delle future generazioni, almeno le stesse potranno godere di un ambiente salvaguardato ed una Europa, grazie agli armamenti, ancora libera.
Un ragionamento per certi aspetti coerente e condivisibile ma che richiede qualche osservazione ed approfondimento. Se non altro perché l’enorme progetto di spesa pubblica avrà impatti rilevanti sulla vita di tutti i cittadini europei.
Innanzitutto, va precisato che il debito pubblico, gestito correttamente, non è un fardello ma uno strumento di crescita economica che ripaga ampiamente il debito stesso e relativi interessi. Al contrario è proprio il taglio della spesa pubblica, sia corrente che in investimenti, che induce recessione e crisi, come dimostrato dalle politiche di austerità adottate dal governo di Mario Monti nel 2011.
Se la transizione energetica, oltre al finanziamento in ricerca, richiede enormi sussidi nella produzione, nella vendita e nel sociale, vuol dire che c’è qualcosa di sbagliato in tali investimenti. Fermo restando che è fondamentale abbandonare i combustibili fossili, se però i relativi investimenti non portano lavoro e crescita, vuol dire che servono a qualcosa d’altro. Di certo diverso dal benessere sociale e forse poco utile anche all’ambiente.
La corsa verso la mobilità elettrica non ridurrà le emissioni climalteranti se l’energia necessaria per la ricarica delle batterie è ancora prodotta bruciando combustibili fossili. Attualmente circa il 70 % dell’energia elettrica è prodotta bruciando gas. Pertanto gli investimenti dovrebbe essere diretti prioritariamente verso la produzione di energia da fonti rinnovabili, poi gradualmente verso le auto elettriche.
La CO2 non rispetta i confini geografici e/o politici. Quand’anche l’Europa riuscisse domattina a ridurre a zero le emissioni, il cambiamento climatico indotto dalle emissioni del resto del mondo non sarebbe di certo arrestato. Se lo sforzo per salvaguardare l’ambiente non è globale, è irrilevante.
Se veramente abbiamo a cuore l’ambiente perché la corsa agli armamenti, che sottrae preziose risorse economiche e finanziarie alla cura dell’ambiente? La guerra uccide, devasta, consuma energia e produce CO2, ridicolizzando i già debolissimi e contraddittori sforzi per ridurre le emissioni che provocano i cambiamenti climatici.
Certamente alla UE servono investimenti molto consistenti in tempi ristretti, ed il loro finanziamento con l’emissione di titoli di debito comune europeo (garantito dalla BCE) è corretto.
Ciò che non è ancora chiaro è in quali specifici obiettivi questo fiume di denaro si concretizzerà. Il rischio è che l’enorme spesa relativa alla transizione energetica si riveli da un lato ininfluente sul cambiamento climatico e dall’altro insostenibile socialmente. Per quanto riguarda invece le spese per la difesa europea, su quelle non c’è dubbio, sono del tutto antitetiche rispetto agli investimenti per l’ambiente.
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