Uccelli: rischio estinzione nelle nostre campagne
Grido di allarme da LIPU: in netta diminuzione la presenza delle specie di uccelli nei campi e nelle aree agricole del nostro Paese.
Grido di allarme da LIPU: in netta diminuzione la presenza delle specie di uccelli nei campi e nelle aree agricole del nostro Paese.
È impietosa la fotografia della presenza degli uccelli nei campi. In 23 anni, dal 2000 al 2023, è diminuita nel nostro Paese del 36 per cento con una punta del 50 per cento nella Pianura Padana. Il grido d’allarme arriva dalla Lipu (Lega italiana protezione uccelli) nel rendere noti i risultati del 2023 del suo studio Farmland Bird Index, ossia l’indicatore che descrive l’andamento delle popolazioni degli uccelli comuni delle aree agricole. L’indice è calcolato dalla Lipu su incarico del ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle foreste, nell’ambito della Rete rurale nazionale.
«Questi dati sono ancora peggiori dell’anno precedente», afferma Federica Luoni, responsabile agricoltura della Lipu. «Ciò conferma che il Green Deal e la transizione ecologica devono proseguire senza indugi e anzi rafforzarsi, sapendo conciliare le esigenze della produzione agricola con l’indispensabile tutela della biodiversità.»
«Se le popolazioni degli uccelli agricoli sono diminuite del 36% dal 2000 al 2023, e se nelle aree di maggiore pressione dell’agricoltura intensiva e di urbanizzazione, ossia in pianura, la metà degli uccelli è andata persa, allora», prosegue Luoni, «urge l’approvazione di quelle norme europee che possono ridare spazio alla biodiversità prevedendo il ripristino di ambienti andati distrutti (elementi del paesaggio, zone umide di pianura) e un rafforzamento della politica agricola comune, pac, in difesa dell’ambiente, ripristinando per esempio l’opzione del 4 per cento dei terreni da lasciare incolti, troppo frettolosamente posticipata».
I dati riportati dal Farmland Bird Index sono drammatici, ma ampiamente attesi dalla Lipu perché nessuna delle politiche e delle misure che avevano lo scopo di invertire la tendenza è stata messa in atto. A pagarne il conto del pesante crollo delle presenze sono le rondini (-51%), le allodole (-54%) o la passera d’Italia (-64%). Quasi scomparse, invece, l’averla piccola (-72%), il saltimpalo (-73%), il torcicollo (-78%), il calandro (-78%).
«Il degrado non colpisce soltanto le zone di pianura», dichiara Luoni, «ma anche i mosaici mediterranei e gli ambienti collinari, specialmente delle zone del centro e del sud Italia, dove otto specie su nove stanno vivendo un calo di numero consistente a causa della banalizzazione dei paesaggi agricoli e dell’uso di prodotti chimici.»
Nonostante il quadro negativo, secondo la Lipu, vi sono ancora delle possibilità di ripresa nelle aree agricole dove la produzione è meno intensiva e industriale e dove la biodiversità ancora è presente. «Per questo è importantissimo incentivare le misure naturalistiche, in Europa e in Italia, dalle quali l’agricoltura non può che trarre beneficio in termini di salute del suolo, presenza di impollinatori, ricchezza dei servizi ecosistemici, qualità del cibo e del paesaggio. Il futuro è questo!», conclude Federica Luoni.
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