«L’Io non è più padrone in casa propria.» Con queste parole Sigmund Freud afferma che l’occhio della nostra consapevolezza è cieco di fronte a un mondo inconscio che influenza prepotentemente la nostra psiche. L’Io è quindi come un campo di battaglia nel quale si scontrano forze delle quali la coscienza è spesso all’oscuro, anche quando gli effetti di questi conflitti emergono in superficie agli occhi di tutti. Questo apre dei grossi interrogativi morali: come si configura un’etica di fronte alla scoperta dell’inconscio? Possiamo dirci responsabili di ciò che è nella nostra psiche, ma non è necessariamente sotto il nostro controllo cosciente?

La scoperta dell’inconscio, afferma Freud, è la terza ferita al narcisismo dell’umanità – dopo le teorie di Copernico e Darwin– che si è vista ridimensionata nella sua collocazione nell’universo, nella sua “unicità” evolutiva e, da ultimo, nella propria capacità di autodeterminarsi.

Le conseguenze morali di questo imbarazzante smacco all’essere padrone in casa propria sono ben esemplificate da quella che, anni dopo, Erich Neumann definì la “perdita dell’ingenuità del guerriero”. L’autore, allievo di Carl Gustav Jung, afferma che sin dai miti greci, passando per l’etica ebraica e cristiana, è prevalsa una morale centrata su un ideale di perfezione che deve essere realizzato eliminando ogni tratto negativo che possa comprometterlo o creare conflitti: lo scopo è la creazione dell’eroe senza macchia. Il kalos kai agathos greco, l’atteggiamento del gentleman inglese, la devozione di san Francesco erano gli ideali da seguire per quella che Neumann etichetta come  “la vecchia etica”.

La strada è certamente irta di ostacoli e il guerriero che aspira a diventare cavaliere senza macchia si deve però scontrare con il drago e, uccidendolo, assurge a paladino della virtù. Ma in tutto questo dimentica qualcosa: quel drago fa parte di lui e incarna tutte quelle pulsioni e forze inconsce che si illude di rimuovere, eliminare e abbattere. E così, il guerriero dimentica – o non vuole vedere – che dentro di sé alberga un’Ombra fatta, anche, di istinti e desideri immorali.  Quando però queste spinte inaccettabili per la coscienza dell’eroe senza macchia si palesano, dice Neumann, si assiste a due reazioni principali:

  • Inflazione (hybris) della coscienza immacolata: l’uomo dimentica di avere anche aspetti in contrasto con un’idealizzata immagine di sé e, ritenendosi superiore agli altri, rischia di commettere le più efferate atrocità in nome di un presunto Bene di cui è portavoce ed esecutore, senza mettersi in discussione.
  • Deflazione dell’Io: la soggezione dell’uomo al male è in questo caso vissuta così radicalmente che nulla di ciò che l’uomo può fare o essere potrebbe mai portarlo a una redenzione, creando un angoscioso senso di colpa esistenziale.

Per Neumann è quindi auspicabile una Nuova Etica fondata sull’integrazione e la creazione della totalità della personalità che non è sabotata dalle tendenze opposte di contenuti inconsci di cui l’Io non è consapevole.

Come espresso in Psicologia del profondo e nuova etica:  “Il singolo non è più responsabile soltanto per se stesso o del fatto di riuscire o meno a ottemperare ai propri compiti; […] deve anche includere nella propria responsabilità gli effetti inconsci che da quell’atteggiamento derivano”.

La Nuova Etica deve essere “globale” sotto due aspetti:

  1. non considera la situazione etica soltanto dal punto di vista individualistico, ma vi include anche l’effetto che l’atteggiamento individuale ha sulla collettività.
  2. non è solo etica della coscienza, ma tiene conto dell’effetto che l’atteggiamento cosciente esercita sull’inconscio.

Mentre per gli “antichi” il centro del conflitto etico era dato dall’idea del peccato, per l’uomo moderno il problema risiederebbe nel conflitto e nella crisi della coscienza e dell’Io. Ciò che propone la Nuova Etica è che “l’accettare il nostro lato negativo non significa affatto metterlo in atto senza fare alcuna resistenza. […] Un compito non indifferente del lavoro analitico sta proprio nel rendere l’uomo capace di vivere in questo mondo assumendosi il coraggio morale di non voler essere peggiore ma neanche migliore di quello che è”.

È nel riconoscere di essere in potenza un agente di distruzione che si concretizza il vero valore morale. La moralità non sta nell’essere inermi e incapaci di commettere un atto spregevole, ma nel riconoscere di esserne capaci in potenza e, nondimeno, trattenersi dal farlo.

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