C’è una vecchia pubblicità toccante in cui i soldati di due eserciti nemici cantano insieme e fraternizzano durante una tregua natalizia. D’ora in poi, susciterà in me solo tristezza e indignazione: la realtà delle guerre moderne esclude pietà, soprattutto quando l’aggressore è la Russia.

Non è che loro non badino al calendario, anzi: adorano colpire proprio nei giorni festivi, per aggiungere una violenza psicologica alla quella fisica. Il simbolo delle feste, quest’anno sarà questo abete, rimasto impacchettato nel cortile di una casa di Kharkiv bombardata.

Cronache delle feste amare

Albero festivo, Kharkiv, 2 gennaio 2023. (c) Tetiana Yuhta
Albero natalizio, Kharkiv, 2 gennaio 2023. Foto di Tetiana Yuhta.

Che cosa è successo, esattamente? In aggiunta agli scontri a fuoco intensi ed incessanti sulla linea del fronte, l’attacco aereo massiccio del 29 dicembre è stato il più feroce dall’inizio dell’invasione, e più intenso di qualunque bombardamento storico. Numerose città, grandi e piccole, sono state prese di mira. Quel giorno, i russi hanno lanciato in totale 158 droni-kamikaze e missili di vario genere.

Come se non bastasse, la notte fra l’1 e 2 di gennaio hanno rincarato la dose coi missili supersonici Kinzhal: ben 10 al costo di 15 milioni di dollari l’uno, tutti abbattuti. Amara soddisfazione, osservarne uno precipitare nel fiume Dnipro, a pochi metri da un grattacielo rimasto intatto. Quella notte, 16 cacciabombardieri hanno lanciato 59 missili da crociera; dal mare sono arrivati 3 Kalibr, dal Nord 12 Iskander.

Gli inermi come obiettivo

L’ondata di droni iniziali serve per far sprecare agli ucraini gli armamenti e rivelarne le postazioni. Dovendo scegliere cosa abbattere, l’antiaerea si concentra sui missili più costosi, i quali, intercettati o meno, creano danni comunque. L’antiaerea ha fatto quel che poteva ma i danni erano ingenti.

Il 30 dicembre è stato colpito il fiore all’occhiello di Kharkiv, lo splendido Kharkiv Palace, hotel a 5 stelle affacciato sulla piazza centrale. Le versioni sulla scelta del bersaglio divergono: i russi dichiarano di aver puntato proprio all’hotel poiché secondo loro era il covo di mercenari stranieri.

Gli abitanti del quartiere, invece, sono inclini a pensare che mirassero all’ospedale militare vicino. Non sarebbe la prima volta: nei dintorni, un monumento ricorda l’eccidio compiuto da nazifascisti nel 1943 in quell’ospedale, dopo che i sovietici, ritirandosi in fretta, hanno abbandonato i propri feriti. Ai giorni nostri, sono i rashisti a cercare di colpire gli inermi.

Di fronte all’hotel, l’imponente edificio dell’università statale Karazin guarda la piazza con 550 finestre sventrate, mentre in via Sumskaia le palazzine che hanno vissuto due guerre mondiali cadono a pezzi.

Buon compleanno, Stepan Bandera!

Come se non bastasse, senza darsi requie i russi hanno ripreso a colpire il primo dell’anno. Se il 30 il pretesto per mandare 87 Shahed era “la vendetta” per l’attacco su Belgorod, ovvero il primo timido tentativo ucraino di rendere pan per focaccia, stavolta l’intenzione dichiarata era colpire i luoghi della memoria nazionale.

Risultati dell'attacco missilistico russo sull'Ucraina durante le feste di fine anno.
Quello che resta della casa-museo di Shukhevych dopo l’attacco. Foto di Petro Slobodyan.

Infatti, il 1 di gennaio nacque Stepan Bandera, storico leader dei nazionalisti ucraini, che ha combattuto sia contro i sovietici che contro i tedeschi. Con un criterio alquanto delirante hanno centrato l’Università di Dubliany, dove Bandera aveva studiato. Il piccolo museo a lui dedicato era giusto accanto allo studio del rettore.

Nel villaggio di Bilohorishcha, hanno ridotto in cenere la casa-museo del generale Shukhevych, sodale di Bandera: un’altra triste riga nel lungo elenco dei musei ucraini cancellati o depredati. Il terzo bersaglio si trova a Kharkiv, e sarebbe davvero ridicolo, se non fosse stato colpito un palazzo storico, reo di ospitare un pub chiamato “Il covo di Bandera”. Il locale ha pagato la scelta del nome, diventando un bersaglio, insieme ai residenti di tutto il palazzo, tra l’altro, di valore architettonico e in una zona prestigiosa.

Un missile sul memoriale dedicato agli ebrei ucraini

La mattina dopo, il 2 di gennaio, la “festa” è continuata con 70 missili da crociera, 35 Shahed, 10 Kinzhal e altre munizioni ad ampio raggio di gittata. A Kyiv, uno dei missili è caduto sul memoriale ai 33 mila ebrei, trucidati 82 anni fa, profanandone la memoria. Nel mentre, i russi hanno sganciato un missile anche sopra un loro proprio villaggio: sei case in meno a Petropavlovka, nella regione di Voronezh.

A Kharkiv, in totale, in 5 giorni fra il 29 dicembre e il 2 gennaio, sono stati rovinati gravemente ben 130 edifici, e questo senza contare i danni collaterali: incendi, migliaia di finestre rotte, interruzione di elettricità e riscaldamento, macchine bruciate, tubature da cui fuoriesce e si infiamma il metano.

Danni umani

Palazzi residenziali distrutti, Kharkiv, 2 gennaio 2023. Foto di Tetiana Yuhta

Ma il danno più grave è causato alle persone: il 2 dicembre, in un solo giorno, a Kharkiv ci sono stati 44 feriti, inclusi dei bambini, e un morto. Nei dintorni di Kyiv, fra le vittime, anche una leonessa, Yuna, che aveva appena concluso una riabilitazione in un centro per gli animali selvatici. Dopo la contusione, causata dalla caduta dei frantumi, è rimasta per ore in uno stato catatonico, ruggendo senza riuscire a muoversi.

Anche per gli umani, dal punto di vista psicologico le conseguenze dei raid aerei “festivi” sono pesantissime. I missili russi non solo uccidono, feriscono o lasciano senza casa o con le finestre spaccate in pieno inverno. Danneggiano ogni singola anima, umana o animale, che si trovi nella zone dove scoppiano i razzi e rimbombano i boati.

In Italia, hano fatto discutere i tentativi di diversi Comuni di limitare i danni dei botti di Capodanno causano ai nostri animali domestici. Ma c’è chi invece di una notte di petardi ha dovuto subire cinque notti di missili.

Resoconti russi deliranti

Immaginate un cane che trema, e poi un bambino, un adulto, un anziano che in piena notte, accanto ad una tavola imbandita, si ritrovano con l’angoscia di ascoltare il fischio dei missili: chi verrà colpito stavolta? Questa onda di apprensione, rabbia, indignazione si propaga anche sui social, nelle domande ricorrenti fra gli amici che fanno la conta. “Come state, siete al sicuro?”, con la paura di non vedere arrivare la risposta.

Infatti, per molti non è arrivata. Fra le vittime, uccise nelle loro case il 29 dicembre, l’allenatore di basket Viktor Kobzystyi, morto a Leopoli; a Kyiv, Liudmyla Shevtsova, professoressa di ecologia dell’Accademia Kyiv Mohila e una calciatrice Viktoriia Kotliarova, morta insieme a sua madre a Kyiv. Lei era la co-protagonista del documentario di Alisa Kovalenko “Home games”, vincitore del Festival Internazionale di Odesa nel 2018. A Kharkiv, fra le vittime dell’attacco mattutino del 2 gennaio, una signora di 84 anni e un giovane della comunità ebraica di Kharkiv. Persone che emergono dalla moltitudine degli scomparsi per rappresentare generazioni diverse, cancellate con la stessa cieca crudeltà.

Cosa può strappare un sorriso amaro a chi ha vissuto questo attacco? Per esempio, leggere il delirio dei resoconti russi che elencano più armi distrutte di quante ne abbiano mai avuti a disposizione gli ucraini, e ci aggiungono “centri di comando” pieni di fantomatici mercenari stranieri. Fa specie, soprattutto quando sai per certo che ad essere colpiti erano il tuo caffè preferito o l’asilo nido dove lavora tua amica.

Tutto questo ha un costo anche per l’aggressore. Secondo le stime Forbes, solo per l’attacco del 29 dicembre i russi hanno speso 620 milioni di dollari, senza con questo colpire alcun obiettivo legittimo: il bersaglio più “pericoloso” di tutti è stata la fabbrica di abbigliamento M-Tac, specializzata in uniformi.

Sarebbe da chiedersi: come fanno a produrre e a spendere le armi in tali quantità? Oltre agli acquisti in Iran e Corea del Nord, la Russia usa per assemblare i missili i componenti made in Usa, Giappone, Cina, Svizzera, Germania. Per il popolo russo non c’è problema: nessuna protesta contro le cifre enormi dedicate non al loro benessere, ma per la “punizione” dei vicini.

Nuovo anno senza illusioni

Chiusura temporanea delle finestre colpite, Kharkiv, 2 gennaio 2023. Foto di Tetiana Yuhta.

L’onda d’urto di queste giornate è profonda e dolorosa. Quel poco di calore e gioia che poteva portare l’anno nuovo è stato annullato da un bombardamento di intensità senza pari. La simbolica speranza di un miglioramento, o almeno di qualche giorno di pace, è svanita. Invece delle ghirlande, scintilla la pioggia di vetri frantumati. Gli auguri gioiosi si tramutano in allarmi aerei, che raggiungono i civili nei rifugi e i militari nelle trincee. 

Gli ucraini affrontano l’anno nuovo con poche illusioni. Sanno che dovranno combattere a lungo e da soli. Mentre l’asse antidemocratico si rafforza e condivide gli armamenti senza grandi remore, i Paesi europei, pur facendo molto, hanno delle reticenze inspiegabili. Più di una volta i russi hanno testato la loro pazienza, con i missili che cadono sul territorio romeno o polacco, ma si sceglie di far passare in sordina questi piccoli dispetti. 

L’Europa resta a guardare: le grida dei feriti e lo stridore delle case che crollano non raggiungono le piazze in festa. Le famiglie italiane vanno a guardare “Il lago dei cigni” e lo “Schiaccianoci”, senza dare troppo peso all’origine dei ballerini. La Russia, appagata da questa tacita approvazione, continua a torcere la spirale della violenza, che non le rimbalzerà in faccia, ormai certa che non ci sarà una risposta adeguata da parte del Occidente. 

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