Tifare Hellas non è mai stata un’esperienza tranquilla, c’è poco da fare. Basti pensare alla folle cavalcata della scorsa stagione e alla salvezza presa per i capelli a Reggio Emilia – solo per citare l’ultima pazzia – e diventa chiaro come i cardiologi veronesi abbiano il loro bel da fare.

Quest’autunno però è in corsa per piazzarsi in alto nella classifica delle peripezie gialloblù in ordine di insensatezza.

Solo poche settimane fa il ritratto stagionale era chiaro: il Verona era la classica squadra candidata alla retrocessione. Poche idee, mister che sembrava condannato all’esonero, chiacchiere destabilizzanti dal punto di vista societario e punti di riferimento in campo latitanti. Check, Check, Check.

Dopo la pausa cominciano le acrobazie: a Baroni – confermato a sorpresa – viene consegnata una dose di coraggio inedita, o forse obbligata. Se da una parte non ha torto Manzoni quando scrive che il coraggio uno non se lo può dare, dall’altra i nostri vecchi sanno bene che quando l’acqua tocca determinate parti anatomiche imparare a nuotare diventa spontaneo. Ed è così giunto il momento di passare a una difesa a quattro.

Sarà un caso (e non lo è), ma il Verona da quel momento non perde più. Tre pareggi preziosissimi per la classifica e assolutamente non scontati scuotono l’elettrocardiogramma piatto del Verona. Contro il Lecce il primo sussulto, il più importante perché arriva quando la squadra è alle corde. Il Verona si perde nel solito bicchier d’acqua ma qualcosa è cambiato: l’Hellas sa improvvisamente reagire, la riprende due volte e rischia di vincerla se Falcone non fosse in serata di grazia. Ngonge fa prove di rovesciata ma non centra la porta. Segniamocelo. Non siamo morti.

A Udine la follia. Il Verona sotto due a zero si rifiuta di lasciare. Lo fa con il gol dell’anno di Ngonge  e il ritorno di un bomber dimenticato che ha giocato con la primavera negli ultimi mesi e che decide di strappare un punto a tempo scaduto. Il battito si fa più forte.

Il compleanno del Bentegodi è il terzo atto: il Verona non è guarito, ci mancherebbe, il bel gioco e la chiarezza di idee in campo sono obiettivi ancora lontani, anche se non più chimere. Ci sono però inequivocabili segni di carattere. L’Hellas non saprà vincere, per carità, ma almeno si rifiuta con tutte le sue forze di perdere. Un gol fatto con le palle è la metafora perfetta, e per il momento la prendiamo volentieri

La classifica, in questa fase, rispecchia perfettamente il campo. Il Verona è ancora nella nebbia fitta, anche se qualche luce appare all’orizzonte. La salvezza dista solo un punto, ma nelle zone calde il traffico è tanto e la lotta è senza quartiere. Si pensi al Cagliari, riuscito con una prodezza a tempo scaduto a portarsi in un colpo solo fuori dalla zona retrocessione e risucchiando il Sassuolo nelle acqua agitate. C’è battaglia.

In tre settimane è cambiato tutto. Il Verona sembrava spacciato, e ora combatte. Baroni sembrava sott’acqua, e ora ritrova la terra sotto i piedi. Djuric sembrava colpire di testa e Ngonge ha impattato a testa in giù. Il Verona è sulle montagne russe.

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