Robocop 2 e la scuola
La scuola e Robocop: un confronto forse ardito che intende mettere in luce le contraddizioni del sistema scolastico, specchio delle contraddizioni del paese.
La scuola e Robocop: un confronto forse ardito che intende mettere in luce le contraddizioni del sistema scolastico, specchio delle contraddizioni del paese.
Per chi non lo conoscesse, Robocop (1987) è un film di fantascienza nel quale un poliziotto, colpito a morte in servizio, viene trasformato in cyborg a difesa della giustizia in un’America non molto futura ma molto violenta. Il secondo capitolo della saga, Robocop 2 (1990) vede il nostro cyborg in difficoltà: viene riempito di “direttive” sempre più ampie e improbabili, per renderlo meno efficiente e così porre le basi per la “necessità” di un nuovo modello.
Tutto questo, per certi versi, ricorda molto lo stato attuale della scuola. Ogni volta che c’è un problema, uno scandalo, un fatto criminoso di grande risonanza, come Robocop la scuola è chiamata ad intervenire e prendersi in carico il problema sociale.
Quindi, su un servizio pubblico già ferito dalla Riforma Gelmini, che aveva tagliato l’organico e posto le premesse per le classi pollaio (DPR 81/2009, mandante il Ministro dell’Economia Tremonti), si sono nel tempo accumulate diverse novità. Nell’ordine:
Educazione Civica. Recita il sito del Ministero: da settembre 2020 l’Educazione Civica è una disciplina trasversale che interessa tutti i gradi scolastici, a partire dalla scuola dell’Infanzia fino alla scuola secondaria di II grado. L’insegnamento ruota intorno a tre nuclei tematici principali: COSTITUZIONE, diritto (nazionale e internazionale), legalità e solidarietà; SVILUPPO SOSTENIBILE, educazione ambientale, conoscenza e tutela del patrimonio e del territorio; CITTADINANZA DIGITALE.
Tutto bellissimo, peccato però che questa disciplina sottragga 33 dal monte ore totale; che non abbia un suo docente e che, al solito, sia a costo zero. L’effetto più immediato, quindi, è quello di contrarre la didattica ordinaria e di costituire mini moduli didattici, non coordinati, dalla dubbia efficacia e rilevanza. L’obiettivo era alto; tuonava infatti Salvini nel 2019 che l’educazione civica deve tornare sui banchi di scuola, così magari qualcuno reimpara il rispetto che papà e mamma non insegnano più. Nientemeno. Intanto, i ragazzi sparano a colpi di pallini sui docenti (16 ottobre 2023, Salerno), mamma e papà latitano, ma tout va très bien, Madame la Marquise.
Orientamento. Su questo regalo del PNRR scrive l’INVALSI che l’orientamento è finalizzato alla conoscenza di sé, del contesto formativo, occupazionale, sociale, culturale ed economico di riferimento (…) al fine di favorire la maturazione e lo sviluppo delle competenze necessarie per poter definire o ridefinire autonomamente obiettivi personali e professionali aderenti al contesto, elaborare o rielaborare un progetto di vita e sostenere le scelte relative. E ancora: un sistema in grado di rispondere alle indicazioni del quadro di riferimento europeo sull’orientamento nelle scuole e di riconoscere le attitudini e il merito di studenti e studentesse, per aiutarli a elaborare in modo consapevole il loro progetto di vita e professionale. Tutto sempre bellissimo.
Ma, anche qui, 30 ore dal monte ore totale per le attività, senza un docente specifico e a costo curriculare zero; ore svolte da docenti che sono specialisti della loro disciplina ma non sempre esperti nell’orientare in modo consapevole il loro progetto di vita e professionale dei loro alunni. Vengono però istituite due figure, il tutor e l’orientatore: docenti volontari – stavolta con un rimborso, visto che i soldi ci sono ma a buffo – che dovranno seguire da 30 a 50 studenti, oltre naturalmente che la loro normale didattica.
Ultimo arrivata, la direttiva 24 novembre 2023, AOODPPR 83, ovvero le linee guida per educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione; attività che si svolgeranno nell’ambito di attività extracurricolari (quindi non obbligatorie) e per le quali è stanziata una somma pari a 15 milioni di euro (spiccioli), sull’onda dell’emozione per la vicenda di Giulia Cecchettin. L’idea di fondo qui è che la cultura e l’istruzione siano lo strumento principe e che la scuola sia il luogo dell’educazione anche all’affettività, dopo anni di battaglie delle famiglie e di alcuni ministri anche dell’attuale Governo per riservarla al solo ambito familiare.
Quindi, riassumendo, almeno 67 ore per un ruolo che sarebbe almeno in parte della famiglia, senza l’autorevolezza del ruolo della famiglia, e 67 ore in meno di contenuti, che sarebbe quello sì parte fondamentale del ruolo della scuola. Dal punto di vista generale, che conta anche di più, la scuola diventa luogo di formazione del futuro cittadino a 360°, per i contenuti disciplinari, per le sue prospettive professionali, per la sua dimensione affettiva, per la sua capacità relazionale, per le sue abilità sociali. A costo quasi zero, ovviamente.
Ma torniamo a Robocop. Per mettere in crisi il poliziotto-cyborg – così da danneggiarne il favore popolare e poterlo più agevolmente sostituire – l’azienda costruttrice tra le tante superflue gli ha imposto una direttiva speciale, che mette Robocop in un conflitto etico tra il dovere di servire gli ordini dell’azienda anche quando confliggono con il suo dovere di servire l’interesse pubblico. Possiamo identificare direttive di incerta attuazione anche per la scuola?
Una direttiva è che la scuola deve puntare al merito (con tanto di ridenominazione del Ministero stesso), valorizzare i migliori personalizzando il più possibile il loro percorso. Cosa non semplice visto che il percorso scolastico è per classi d’età, come la naia (così come non è un caso che i docenti siano assunti tramite il “reclutamento”), come se tutti i ragazzi maturassero alla stessa velocità, come l’insalata in serra.
Un’altra direttiva è che invece la scuola deve essere inclusiva, in grado di adattarsi e offrire supporto a studenti con bisogni speciali, disabilità, appartenenti a minoranze etniche, provenienti da contesti socioeconomici svantaggiati e così via. Questo però, in un contesto scolastico rigido, non omogeneo e non rimodulabile, significa di fatto stabilire per tutti un passo tale da non lasciare indietro nessuno, penalizzando però così i più meritevoli. Non è un caso che in queste situazioni le famiglie tendano a fuggire secondo il fenomeno delle White flight, ovvero la ricerca di scuole con minore multietnicità per non rallentare il processo scolastico dei propri figli.
Un’altra direttiva è che la scuola deve puntare a percorsi il più possibili personalizzati. Dice il Ministero: lo studente è posto al centro dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici, etici, spirituali, religiosi. In questa prospettiva, i docenti dovranno pensare e realizzare i loro progetti educativi e didattici non per individui astratti, ma per persone che vivono qui e ora.
Peccato che, come ciascuno può verificare, si stiano espandendo rilevazioni “oggettive” (sulla cui oggettività ci sarebbe peraltro molto da discutere) con griglie di valutazione standard per istituto; si afferma in modo sotterraneo ma inarrestabile il valore e il ruolo delle prove INVALSI; lo stesso esame di Stato prevede una prova uguale per tutti, alla stessa ora, nello stesso momento.
Un’ultima direttiva è che la scuola deve essere strumento di trasmissione dei valori della società come l’inclusione, l’uguaglianza, la fine delle disparità di genere: in questo senso è opportuno ribadire che “maschio” e “femmina”, che connotano l’identità (l’essere) della persona, non sono etichette che denotano comportamenti predefiniti. Ci sono molti modi di essere donna e altrettanti di essere uomo.
Peccato però che mentre le scuole procedono con simboliche ma significative innovazioni, come i bagni neutri o le carriere alias, questo ruolo sia contestato da varie forze: interne al Governo, movimenti e famiglie; la narrazione vede il corpo docente come espressione di una cultura e di una visione della società sospetta e politicizzata, magari strumento più o meno consapevole del “Gender”.
Quindi, un ruolo educativo che richiederebbe autorevolezza e il mandato della società e delle famiglie dalla politica, finisce con l’essere sabotato ed esautorato proprio da questi soggetti. Per molti ragazzi la scuola potrebbe essere l’unico luogo “come prima “palestra” dell’impegno politico: invece quest’idea è ampiamente osteggiata perché non ci si fida dei docenti “di sinistra” in quanto si ritiene in molti casi la famiglia l’unico soggetto autorizzato a trasmettere certi saper e certi valori.
Ed è una questione che va oltre l’Italia: per esempio, Musk accusa gli insegnanti per la figlia, trans e comunista. Oppure prendiamo l’inclusione: è un valore espresso dall’art. 3 della Costituzione, ma il fenomeno già citato delle White Flight o la diffidenza per alcuni tipi di disabilità, dimostra che si tratta di un valore per lo Stato ma che per molte famiglie riguarda solo i figli degli altri.
E così siamo al dunque: ci troviamo di fronte a un servizio dello Stato che, tirato per la giacchetta da ogni lato per le più disparate esigenze, finisce per non sapere più che direzione prendere, dovendo fare tutto e il suo contrario. Robocop, per ritornare a un sistema di direttive chiare e coerenti e liberarsi dai nocivi aggiornamenti, si sottopone a una scarica elettrica ad alto amperaggio attaccandosi a un grosso commutatore elettrico. Purtroppo, per chi opera nel mondo della scuola, questa soluzione sembra meno praticabile…
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