Combattere lo sfacelo imperante con musica e parole. Questo muove Cisco, l’ex voce dei Modena City Ramblers che – accompagnato da Giovanni Rubbiani, Alberto Cottica e Massimo Giuntini – suonerà domenica 3 dicembre al Teatro Fucina Culturale Machiavelli di Verona. Il concerto, che fa pare del Combact Folk Tour, comincerà alle 18 e contemplerà sia il repertorio classico dei Ramblers sia i brani di Cisco che quelli dei Dinosauri, nome della formazione. I biglietti sono disponibili al costo di 20 euro.

Dinosauri: di nome e di fatto o c’è di più dietro questo nome?

«È esattamente quel motivo lì. E nasce perché tre vecchi amici, già anni fa, si trovano a chiacchierare sul loro passato e la loro storia con i MCR. “Dinosauri” è un termine che è nato in maniera autoironica e scherzosa: siamo invecchiati e siamo dei dinosauri. Il mondo musicale è andato da un’altra parte, ma ci sentiamo di poter comunque raccontare storie legate al nostro tempo, parlando alle nuove generazioni di quando, senza navigatori e senza cellulari, riempivamo i palasport, indicando che un mondo diverso è possibile e che è esistito. Lo spettacolo è anche un po’ nostalgico per forza di cose, ma l’intenzione è quella di risultare leggeri e scherzosi».

Combat Folk è il primo singolo licenziato di recente. “4 accordi, la libertà”, è la definizione del titolo. Quanto è importante essere significativi a livello concettuale e testuale in musica?

«Quella frase vuole raccontare lo spirito con cui abbiamo scritto le canzoni, senza pesi di case discografiche per vendere più dischi. Per quanto riguarda i testi è fondamentale che anche oggi abbiano qualcosa da dire, e che non ci siano solo rime e ritornelli che spesso vengono fatti con meccanismi tecnologici. Un approccio per me ridicolo».

Leggo in queste parole una frecciatina alla trap imperante, o sbaglio?

«Sì, leggi bene, poi ognuno è libero di fare quel che crede meglio per sé stesso, ovviamente. Per me la musica è ancora cultura e quindi dovrebbe esprimere qualcosa di importante. È limitante la stessa azione delle case discografiche e dei media nel campo musicale e discografico odierno. Sembra sia impossibile il pluralismo in tal senso, esiste solo la trap e il resto fatica a trovare spazio».

Chi sono gli ispiratori per questa visione combattiva? Sono solo quelli citati nel brano In Patagonia (contenuto nel disco inciso con la Bandabardò Non fa paura)?

«Quello era un’estremizzazione di un concetto. Il maestro assoluto è Bob Dylan, da cui dovrebbero prendere ispirazione anche gli sbarbi che fanno trap. Dovrebbe essere insegnato a scuola, se non fosse che queste spesso allontanano gli studenti invece che farli appassionare a un tema. Ma se fai musica andrebbe studiato davvero, anche da chi fa un genere differente. Altre ispirazioni ci sono: dai Pogues ai Clash fino alla scuola cantautorale italiana che ha segnato un’epoca».

Oggi la sensazione è che si vada in una direzione opposta, in cui l’essenza lascia il campo a una rincorsa all’apparenza. C’entrano i social o c’è di più?

«Qua ci vorrebbe un sociologo. Non darei la colpa ai social, sono un mezzo e li puoi usare bene o male. Penso più a una tendenza generale di faticare il meno possibile. Se io sono un discografico dell’ultimo decennio e devo investire gli ultimi spiccioli su gruppi emergenti cerco quello che va più di moda, per fare meno fatica. Poi però succede all’improvviso che il gruppo più famoso al mondo fa rock basico, ovviamente mi riferisco ai Måneskin, mentre gli altri “big” fanno numeri esorbitanti solamente in Italia. Mi ricordo quando siamo entrati alla Polygram, c’erano persone illuminate perché hanno messo sotto contratto gruppi di vario genere come CSI, Africa Unite, Modena City Ramblers, Mau Mau, che hanno trovato la loro strada. Ma se nessuno fa più quel lavoro è dura. Ora va solo la trap con l’autotune».

Il 3 dicembre sarete in città: che rapporto hai con Verona e con il suo pubblico? So che ci sei anche stato di recente…

«Sono stato al Paratodos ed è stata una serata bellissima. La città di Verona è splendida, mi sembra una città viva, con fermento, che potrebbe essere una fucina per capire nuovi movimenti e tendenze artistiche. Ci ho fatto il militare a Caluri di Villafranca, e quindi ci sono abbastanza legato. Faccio presente che il concerto si terrà alle 18: abbiamo sfruttato la domenica pomeriggio».

La formazione dei Dinosauri.

In effetti quello dell’orario è un tema interessante. In città come Londra e Berlino i live iniziano presto mentre, almeno fino a pochi anni fa, in Italia l’headliner suonava tardissimo. Cosa che succede anche ora, ma forse questa dinamica sta un po’ cambiando…

«È una battaglia che ho combattuto dall’inizio tanto da specificare nei contratti di voler suonare alle 21-21.30. Dobbiamo cercare di educare il pubblico ad orari civili, come avviene nel nord Europa. E dopo vai a cena o a divertirti».

Chiudo con una nota di attualità: come percepisci la notizia della riapertura di HMV a Londra, che si preannuncia essere il più grande negozio di dischi d’Europa?

«Temo che sia solo una moda passeggera. Io ascolto ancora dischi in vinile e quasi nulla in streaming, ma proprio perché sono un dinosauro. Anzi, sono legato anche ai cd. Mi hai dato una notizia molto bella. Se aprono catene grosse credo si possa tornare ad apprezzare la musica in maniera fisica, formato che ti comunica qualcosa in più dell’artista. Se i giovani d’oggi ricominciano ad amare dischi e cd io sono l’uomo più felice del mondo. Noi stampiamo e continuiamo a vendere i formati fisici ai concerti, e così sarà anche a Verona. Questo ci aiuta a dire di essere musicisti e artisti fino in fondo».

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