Nel magistrale adattamento di Martin Scorsese al libro di saggistica del 2017 di David Grann, giornalista del New Yorker, Gli assassini della terra rossa, un imponente Robert De Niro, un Leonardo DiCaprio eccelso e una magnetica Lily Gladstone offrono una prova brillante. La pellicola del regista narra un episodio scioccante della storia degli Stati Uniti d’America, una serie di omicidi che colpì una comunità indiana tra gli anni Venti e Trenta.

È il primo lavoro del regista a riunire i suoi due protagonisti più frequenti e fidati, Leonardo DiCaprio (che ha lavorato con Scorsese per la sesta volta) e Robert De Niro (decima volta).

È il secondo lungometraggio più lungo di Scorsese con i suoi 206 minuti, solo tre minuti in meno di The Irishman del 2019.

Killers of the Flower Moon è un’opera immensa, l’ennesimo capolavoro del regista ottantenne, un maestro che ha lasciato un’impronta importante non solo sulla propria carriera, ma anche sull’intero cinema americano e, perché no, anche sulla storia americana.

Una vicenda sconosciuta

Scorsese e il co-sceneggiatore Eric Roth tracciano due storie parallele, sconosciute ai più, o almeno incomprese: l’ascesa e la caduta della tribù Osage e la nascita del Federal Bureau of Investigation.

Intorno al 1920, gli Osage, cacciati dal proprio territorio, furono abbandonati a se stessi per scomparire e morire su quella che si riteneva essere una terra senza valore; ma le crepe non sfruttate nel terreno nascondevano grosse riserve di petrolio e, nel giro di una generazione gli Osage divennero il popolo più ricco del continente.

Costruirono città in piena espansione, acquistarono i migliori abiti, gioielli e veicoli e riempirono le loro case signorili di servitori bianchi.

Naturalmente, intrecci di potere, gelosie e rivendicazioni per quel territorio portarono instabilità e lotte politiche: una battaglia che rese un uomo di nome William King Hale (Robert De Niro) una leggenda.

William King Hale, un barone del bestiame la cui avarizia e megalomania sono sottolineate in modo non troppo sottile dalla sua insistenza nell’essere chiamato “Re” sia dai cittadini che dalla sua famiglia, fu in grado di giocare un ruolo fondamentale nei giochi politici, diventando un alleato sia degli Osage che dai bianchi della zona, mentre lavorava dietro le quinte per riempirsi le tasche.

Avendo già iniziato a dissanguare gli Osage attraverso false amicizie e altri piani poco raccomandabili, Hale vede nuove opportunità in un matrimonio di convenienza tra il suo nipote Ernest Burkhart (Leonardo Di Caprio), un veterano della Prima Guerra Mondiale il cui amore per il denaro è paragonato solo alla sua dipendenza dall’alcol, e Mollie Burkhart (Lily Gladstone) appartenente a una delle famiglie più ricche e influenti degli Osage, suggerendo a Ernest che un tale accordo sarebbe un “investimento intelligente”; dopotutto, i diritti petroliferi di qualsiasi membro della tribù possono essere ereditati da parenti non Osage, in caso di circostanze sfortunate.

Inizia così un matrimonio consolidato sia nell’amore che nell’inganno, con Ernest che bilancia l’affetto genuino per la moglie e i figli con un’insaziabile brama di fama, guadagno e debolezza di spirito.

Passano gli anni, la comunità si riempie di imprenditori, banchieri, petrolieri e avvocati che arrivano da altre parti del Paese, e gli Osage cominciano a morire, compresi i membri della famiglia di Mollie.

Nel momento in cui l’agente Tom White (Jesse Plemons) del Bureau of Investigation (precursore dell’FBI) bussa alla porta di Ernest, il mistero comincia a dipanarsi, in modo inquietante e disordinato. I numerosi omicidi  sono molto brutali e sottolineano l’insensibilità degli assassini. I parenti di Mollie sono semplici ostacoli che devono essere eliminati per Hale, e gli Hale del mondo, per ottenere ciò che vogliono.

Violenza e musica

Questo è il film più violento che Scorsese abbia mai realizzato, ma senza dubbio anche più tenebroso nella sua carneficina: uomini e donne innocenti strappati dal loro mondo per fare spazio alle bugie del sogno americano.

Il compianto musicista Robbie Robertson ha prodotto quella che potrebbe essere la sua colonna sonora più perfetta: un ritmo costante di batteria che mantiene la tensione in ogni scena, il senso di terrore perenne.

Nonostante la sua lunghezza, il film non annoia mai e il lavoro di Robertston è essenziale per mantenere alta l’attenzione.

Il film è anche il primo di Apple TV+ che uscirà nelle sale un mese e mezzo prima di essere reso disponibile per lo streaming: un capovolgimento del modello di business della società fino ad ora intoccabile che parla della riverenza generale e del potere cinematografico di un dei registi più talentuosi e intransigenti.

Una ricostruzione impeccabile

Curatissima la ricostruzione storica degli ambienti e dei luoghi di vita quotidiana e gli attori si sono perfettamente calati in ruoli davvero complessi.

La vicenda raccontata ha dei contorni terribili e Scorsese la ricostruisce facendo molta attenzione a trasmettere in modo impeccabile la debolezza e la forza dei personaggi, oltre a descrivere un’atmosfera alienante del luogo, dove la brama più profonda si scontra con la spiritualità e le tradizioni in modo costante.

Robert De Niro offre una delle sue migliori interpretazioni della sua carriera nei panni di un sociopatico, dallo sguardo freddo ed enigmatico.

Un ottimo Di Caprio, ma forse, ancora più brava l’attrice protagonista (Lily Gladstone), capace di trasmettere in modo perfetto uno stato d’animo soffocante, a metà tra l’innamoramento e quel timore in cui sai che dietro quell’amore c’è la paura verso un partner che sospetti non essere la persona che credevi che fosse. Nonostante si tratti di un dramma davvero pesante e brutale da digerire, Killers of the Flower Moon è un film impegnativo, ma offre momenti che ti rimarranno impressi nella memoria con caparbietà: un raro evento cinematografico, diventato già un cult.

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