Il romanzo di Saša IlićCane e contrabbasso”, pubblicato da Roberto Keller e tradotto dal serbo da Estera Miocic, è stato insignito nel 2019 del Premio Nin, prestigioso riconoscimento letterario serbo, originariamente jugoslavo sin dal 1954, con la seguente motivazione:

“Il romanzo di Saša Ilić è una storia complessa sull’intreccio tra passato e presente, sul conflitto tra individuo e società, vita e arte, raccontata attraverso lo sviluppo di numerosi filoni narrativi e offre un quadro completo del mondo moderno e frammentato. Con l’opera di Ilić assistiamo al ritorno alla grande letteratura che affronta coraggiosamente tutti i traumi nazionali e sociali che modellano la nostra società ed evoca in modo suggestivo visioni diverse e reciprocamente opposte della nostra epoca.”

Attraverso il racconto della storia di Filip Isaković, il romanzo “Cane e contrabbasso” segue il percorso di un musicista jazz immerso nei turbolenti eventi della guerra degli anni Novanta, che provoca la frammentazione della Jugoslavia in repubbliche autonome.

Successivamente, Isaković si trova in un centro di riabilitazione dedicato agli ex combattenti, dove un incontro cruciale con un medico seguace delle teorie di Basaglia trasforma il luogo in un bastione di resistenza e rinascita.

L’ospedale di Kovin, un mondo all’interno del mondo, si trasforma rapidamente in un affresco vivente di una società che decide di cancellare dalla memoria le proprie guerre, seguendo il filone di altre opere significative del Novecento ambientate in sanatori e istituti curativi. Questo scenario emerge come l’epicentro di una narrazione sofisticata, in cui il microcosmo sociale dei malati si riflette eloquentemente nel declino e nelle trasformazioni di un’intera civiltà.

L’autore, nei giorni scorsi, è stato a Verona e nella libreria Pagina Dodici di Roberta Camerlengo ha incontrato il pubblico veronese. L’occasione giusta per ascoltare dalla sua voce le tante emozioni che lo hanno accompagnato nella realizzazione di quest’importante opera letteraria.

Filip Isaković, il protagonista del romanzo, descrive il villaggio nel quale viene condotto, Kovin. È un posto reale?

«Il paese descritto lo è, così come il sanatorio. Mi hanno chiesto il motivo per il quale mi occupo della dissoluzione dell’ex Jugoslavia e di ospedali psichiatrici. Il fatto è che tutto questo mi tocca da vicino. La politica della Serbia è sempre stata quella di ignorare la relazione tra i due argomenti, i veterani della guerra nei Balcani hanno quindi dovuto cavarsela da soli. Ho voluto evidenziare il tema del cambiamento da un ambiente militare ad uno psichiatrico. Nel romanzo, ambientato dopo la fine della guerra, racconto di un gruppo di veterani che a seguito dei traumi derivanti dall’aver preso parte alla guerra, vengono internati e curati in modo tradizionale, con farmaci e limitazione della libertà; questo è l’approccio utilizzato e finanziato dal governo.

Filip, il protagonista, era un musicista che ha smesso di suonare a seguito dei traumi subiti e a Kovin viene rinchiuso. Nella struttura psichiatrica tuttavia non ci sono solamente ex militari ma anche civili che il governo vuole nascondere alla società per le loro posizioni sulla guerra; per favorire il processo di integrazione europea si è deciso di favorire l’oblio. A Kovin quindi Filip trova soldati, “malati mentali” ma anche profughi e persone destinate a far da cavie per esperimenti. I veterani sono ragazzi nati negli anni 70 del novecento, gli altri internati hanno età diverse. Tra questi il più importante per lo sviluppo del romanzo è Julius, internato a causa delle sue idee in contrasto col regime di Misolevic. Julius è un vecchio psichiatra, favorevole all’approccio Basaglia sulla chiusura dei manicomi.»

Com’è stato accolto il libro in Serbia?

«È stato molto osteggiato perché ripercorre un periodo difficile della storia recente del Paese e le ferite sono ancora aperte. Sono pochi i libri serbi che trattano dell’esperienza degli anni 90 e i politici negano l’esistenza di traumi a seguito del conflitto. Anche per questa ragione ritengo importante parlare di cure psichiatriche, antipsichiatriche ed alternative.»

Julius è un personaggio storico?

«È adattato al romanzo ma si. Come peraltro suo padre, anch’esso promotore di un approccio innovativo della psichiatria.»

Il protagonista è un musicista jazz, la musica della libertà, dell’improvvisazione e della fantasia. E viene rinchiuso. Qual è la ragione di questa scelta?

Saša Ilić

«Il jazz è metafora della libertà. Mi piace molto. La musica dà il ritmo al romanzo e troviamo momenti più morbidi ed altri più incalzanti. È la dinamica del libro. Alla fine ho inserito anche una “colonna sonora”, un elenco di musiche che possono accompagnare la narrazione. Ho anche trascritto versi di canzoni jugoslave. Miles Davies invitava a suonare non ciò che si vede ma ciò che sta sotto; anch’io ho cercato di descrivere quello che rimane nascosto, sotto l’apparenza.

Filip riprenderà in seguito a suonare  ma in modo diverso da prima, meno condizionato. Così si sviluppa il percorso per la sua liberazione, mentre per tutto il romanzo la struttura istituzionale tende a contrastare la ricerca di libertà. Ma ho voluto anche parlare della musica come parte dell’industria del divertimento; alla fine Filip troverà la sua propria voce in un ambito più informale.»

Sembra che il romanzo descriva tutte le vicende che si susseguono senza perdere mai di vista la speranza, lo spiraglio di un futuro migliore, il lieto fine. E pare che questa speranza sia alimentata della cultura, dalla musica, dalla letteratura. È così?

«Mi chiedono se il romanzo sia tragico. Non lo è. La speranza accompagna tutte le vicende e le alleggerisce, questo ve lo posso rivelare anche senza svelarvi il finale. Julius cita anche Dante e le stelle; Filip troverà le sue. Il messaggio è che ciascuno possa trovare il proprio cielo stellato e torni padrone della propria vita.»

Il romanzo parla di guerra, di cura, di speranza, d’amore. Parla anche di nostalgia?

«C’è una vena nostalgica che attraversa il racconto perché Filip è nato nella Jugoslavia unita. il suo nome ed il cognome sono presi da opere letterarie jugoslave.»

Nonostante il libro sia uscito in Serbia nel 2019 ed in Italia nel 2023, la scorsa settimana, appare come un grande romanzo novecentesco ed europeo. Cosa ne pensa?

«Ci sono in effetti molti riferimenti europei e classici. Inoltre si sente un continuo passaggio tra il passato e la modernità. Non dimentichiamo che si tratta di un romanzo complesso e sfaccettato, all’interno del quale non manca una morte ed un’indagine. Ed i personaggi sono ben tratteggiati. Julius ad esempio, anche se di fatto imprigionato, resta uno spirito libero, sereno, perché porta con sé la conoscenza e questa lo eleva.»

E il cane, signor Ilić?

«Il cane non è necessariamente un animale concreto. I veterani sono trattati da cani, così come gli altri internati. È un simbolo.Ma, in realtà, nella struttura c’è anche un vero cane!»

Saša Ilić, nato nel 1972 a Jagodina (Serbia), laureato alla Facoltà di Filologia dell’Università di Belgrado, ha all’attivo tre raccolte di racconti e tre romanzi, di cui “Cane e contrabbasso” rappresenta il primo tradotto in italiano, edito da Keller nel 2023. Organizzatore del Festival letterario internazionale polip di Priština, contribuisce con articoli a Peščanik.net e ELit (literaturhauseruopa.eu). Le sue opere, già tradotte in albanese, inglese, francese, macedone, tedesco, sono ora disponibili anche in italiano. Attualmente, Saša Ilić risiede e lavora a Belgrado e dirige il portale Komunalinks.com dedicato alla letteratura.

L’intervista è stata condotta da Roberta Camerlengo.

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