Una crisi, stando ai vocabolari, è un periodo passeggero e improvviso che conduce a una situazione di difficoltà. Una crisi può essere utile, portare a galla problemi e contraddizioni nascoste sotto le buone notizie. Una crisi porta cambiamenti. L’Hellas, purtroppo, non è affatto in crisi.

Baroni, purtroppo per lui e per i tifosi gialloblù, è riuscito a sperperare un patrimonio piccolo ma prezioso: l’entusiasmo di una piazza sopravvissuta a un disastro che pareva ormai inevitabile. Un pubblico felice di ricominciare da zero, grato di non dover più vivere ogni partita come un’ultima spiaggia, sicuro di non poter trovare niente di peggio della “squadrassa” dello scorso campionato.

Marco Baroni. Foto dalla pagina Facebook dell’Hellas Verona

E allora gli uomini trovati nel cestone delle occasioni dal salvatore Sogliano, oggi invisibile e silente, parevano ottime speranze. La vittoria contro la Roma è stato il picco di questa illusione e l’assenza di punti di riferimento in fase offensiva è parsa dapprima una scelta tecnica, poi una necessaria fase di aggiustamento di un attacco più corale, e infine ha mostrato il suo vero volto: disperata confusione.

Baroni ha cambiato innumerevoli formazioni ottenendo solo una squadra incerta e senza mordente, ha perso la fiducia del gruppo forse ancor prima di quella dell’ambiente e non ha saputo imporre un’identità alla squadra sprecando il vantaggio di una “tabula rasa”.

Cioffi e Di Francesco prima di lui non avevano goduto di questo lusso: l’Hellas era orfano di Juric, prima, e di Tudor, poi, e spogliatoio e piazza avevano chiare aspettative tecniche e di risultati e guardavano ai cambiamenti con sospetto. Baroni non ha avuto questo problema. Tutti volevano ricominciare da capo, qualsiasi schema, qualsiasi idea di gioco sarebbe stata meglio dello scempio della scorsa stagione. E invece…

Sabbie mobili

Baroni si è trovato impigliato nelle stesse sabbie mobili e nelle stesse incertezze. Una mancanza di personalità e leadership prima ancora che tecnica.

Le colpe della situazione non sono però solamente del tecnico. Se gli stessi problemi si ripresentano ciclicamente, se anno dopo anno non si impara dagli errori e dai pericoli scampati, se la quasi retrocessione diventa un successo invece che un fallimento scampato, allora significa le lunghe notti insonni trascorse dal provato presidente Setti l’inverno scorso non hanno portato alcun consiglio.

Il Verona di oggi, come quello di ieri, non ha gerarchie, non ha leader se non dei senatori incaponiti e incapaci di mettersi al servizio del gruppo, è un buco nero che prende le poche tracce di talento e le fa sparire in una nuvola di ansie e paure.

Una situazione difficile ma certamente non impossibile da invertire. Quello che serve è un capitano con le idee chiare, capace di far saltare a bordo i leader della squadra e di farsi seguire nella tempesta e nella bonaccia. Un altro caudillo che possa rimediare a una filosofia aziendale – non si dica sportiva – che punta da anni a salvarsi con meno del minimo sindacale.

Quest’uomo non è Baroni, è evidente, e quando e se arriverà dovrà aver ben chiara la sua missione: salvare il Verona malgrado il suo presidente.

Non c’è transizione, non c’è cambiamento, non c’è crisi. C’è solo il Verona di Setti.

Maurizio Setti. Foto dalla pagina Facebook dell’Hellas Verona

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