Un bimbo di 7-8 anni che a spettacolo finito, uscendo mano per mano con la mamma, intona “Gli eroi son tutti giovani belli”, ritornello de “La locomotiva”. È questa l’istantanea che ha chiuso, sabato 23 settembre, l’ultimo appuntamento veronese del Festival della Bellezza 2023, la serata che ha visto protagonista Francesco Guccini, uno dei più grandi cantautori italiani.

Un’icona intergenerazionale che, in un Teatro Romano gremito, ha deliziato il pubblico con racconti, aneddoti e citazioni, il tutto condito dai testi e dalle melodie delle canzoni del Maestrone. Una chiacchierata condotta insieme alla regista Noemi Trazzi ed Edoardo Buffoni, direttore dell’informazione di Radio Capital, i quali hanno conversato con Guccini parlando della sua arte, delle sue ispirazioni e delle sue idee.

La voce rauca e peculiare del grande autore scandisce il tempo e accompagna in un viaggio attraverso la carriera di un’artista che ha saputo lasciare il segno su epoche e generazioni grazie a capolavori che restano nel tempo e veicolano concetti e visioni del mondo che ancora oggi ispirano, a partire dai fan della prima ora fino ai giovani, presenti in gran numero all’appuntamento. 

Il rapporto con Verona

Per l’artista si è trattato di un ritorno al Festival, di cui era già stato ospite nel 2016. Scandagliando nella memoria alla ricerca di ricordi riguardo alla città scaligera, Guccini ha rammentato come «a Verona ho suonato qualche volta, mai in Arena, bensì in altri spazi come un piccolo Teatro –  il “Laboratorio” su suggerimento del pubblico – dove ricevetti l’unica contestazione della mia vita, non per chissà quali ideologie o messaggi trasmessi, semplicemente perché la gente era tantissima e non c’era posto per tutti.»

Foto di Fabio Benato

Il Maestrone è legato all’anfiteatro cittadino da un altro aneddoto: «Venni in Arena per ascoltare il mio amico Zucchero e all’uscita – ha ricordato divertito Guccini – mi si avvicinò quello che pensavo essere un fan che mi aveva riconosciuto, mentre invece mi chiese se fossi un prete amico di suo fratello.»

Un altro richiamo “veronese” lo si ritrova indirettamente nell’Avvelenata, da un passo della quale prende il nome la serata (Ma s’io avessi previsto tutto questo). Nella canzone viene citato in maniera ironica e dispregiativa Riccardo Bertoncelli, critico musicale con il quale Guccini ebbe però poi modo di chiarirsi. Per suggellare il tutto Bertoncelli regalò  al cantautore il Dizionario Etimologico del dialetto veronese di Marcello Bondardo, che l’artista ha dichiarato di conservare con affetto.

L’America, l’osteria, la bellezza

Si è poi divagato toccando vari temi, dal soggiorno statunitense di Guccini e le relative influenze d’oltreoceano nella musica italiana e non, passando per le “osterie di fuoriporta”. A tal proposito il cantautore ha voluto smentire in maniera laconica e simpatica il luogo comune che lo ritrae come un ” esperto” di osterie, sottolineando che «sì, ho vissuto e scritto molto in osteria, ho trascorso intere serate con i miei amici in questi luoghi, ma – ha precisato Guccini – ne ho frequentate solo tre in vita mia».

Foto di Fabio Benato

Le canzoni, che Guccini dichiara di non riascoltare praticamente mai , intervallano la conversazione, piena di umanità, simpatia e autoironia; c’è spazio però anche per una sensibile riflessione sul significato del concetto di bellezza: per l’artista «ognuno di noi intende la bellezza a modo proprio, a seconda della propria visione del mondo, della propria età, delle proprie esperienze. Per quanto mi riguarda – ha continuato Guccini – ho sempre pensato alle arti figurative come esempio di bellezza purissima, dalle pitture rupestri di Lascaux alle sculture greche».

Il presente e l’eternità del mito

C’è spazio anche per il presente, che per Guccini significa anche infanzia e una parte di adolescenza, ovvero Pavana, la piccola frazione di Sambuca Pistoiese dove l’artista è cresciuto e dove è tornato a vivere a partire dal 2000. Una vita ritirata e tranquilla che al cantautore piace: «Io a Pavana sto bene, sono a casa, mi sento a mio agio e la vita lì è serena, mentre la città, il suo caos, il traffico mi spaventano». 

L’autore, simbolo dell’impegno sociale degli artisti a partire dalla fine degli anni sessanta, trova spazio anche per una battuta politica: «Le mie giornate oggi sono riempite dalla televisione, ne guardo un sacco, soprattutto i telegiornali, li guardo tutti, – ha specificato Guccini – anche quelli tendenti verso una certa ideologia totalmente opposta alla mia, sono un po’ masochista in questo».

Il Teatro Romano di Verona gremito per Francesco Guccini. Foto di Fabio Benato

Un’ovazione conclude l’incontro con quest’icona che ha attraversato le epoche rendendosi immortale insieme alla sua musica. Guccini si congeda dal pubblico del Teatro Romano tra gli applausi e con le sue canzoni in sottofondo, cantate all’unisono dalla folla.

Il Maestrone saluta e ringrazia per la calorosa ospitalità, dopo aver dimostrato di conservare ancora un’innata vitalità e arguzia di pensiero, perché sì, gli eroi son tutti giovani e belli.

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