Una battaglia metropolitana di proteste e violenze metteva alle corde Santiago quando mia moglie e io, nell’agosto del 2003, atterrammo in Cile con un volo da Milano. Eravamo lì, per l’adozione di Stefani, che divenne nostra figlia l’11 settembre di quell’anno, a trent’anni esatti dal sanguinoso colpo di Stato del sanguinario dittatore Augusto Pinochet. Un colpo di Stato di cui in questi giorni ricordiamo l’anniversario: mezzo secolo esatto.

In un’intervista a José Antonio Viera-Gallo, sottosegretario alla Giustizia del governo Allende e poi braccio destro della presidenta Michelle Bachelet, in quel settembre del 2003 che ero in Cile, posi una domanda inevitabile: perché il governo di centrosinistra, guidato dal presidente Ricardo Lagos, non riusciva a dare risposte alle richieste del popolo cileno? E non riusciva a porre fine alle ingiustizie sociali della patria di Pablo Neruda?

Viera-Gallo, che parla un eccellente italiano essendo stato esule nel nostro Paese, mi rispose che ci voleva pazienza. E che se il centrosinistra avesse forzato la mano, la risposta sarebbe stata di avere l’esercito in piazza. Mi parve una risposta comprensibile, ma alquanto codarda. Nella sua essenza, tuttavia, esprime bene il gioco del pendolo della Sinistra cilena: dall’estremismo suicida, com’è accaduto sotto il governo di Salvador Allende, alla prudenza stagnante che non affronta i problemi sociali per risolverli.

I problemi cileni sono quelli di sempre. E discendono dalla “Scuola di Chicago” dei premi Nobel Milton Friedman e George Stigler. Ovvero, la dottrina liberista, l’accettazione delle ingiustizie sociali e l’impresa privata senza freni, se non quelli del mercato, come soluzione di tutti i mali in tutti i campi. Con lo Stato retrocesso a fantoccio del potentati economici. Di qui le disuguaglianze nell’istruzione, nei servizi sanitari e nel reddito.

L’anniversario del Golpe sui quotidiani cileni

Domenica 10 settembre 2023, sul quotidiano El Mercurio, giornale di centrodestra, a suo tempo finanziato dalla Cia per sostenere il Golpe del 1973, è apparso proprio un intervento di Viera-Gallo, che nel settembre del 2003 incontrai in uno dei palazzi del Potere cileno: il Senato, che ha sede a Valparaiso.

Significativo il titolo dell’intervento di Viera-Gallo: Clima de discordia. Scrive il senatore di centrosinistra: “È infelice il clima di discordia di cui siamo tutti responsabili. È giunto il tempo che il Cile dia un esempio di maturità civica. Così come si celebrò l’armistizio e la fine della Seconda Guerra Mondiale, così si debbono ricordare i conflitti che hanno provocato sofferenze collettive“. Siamo rimasti alle parole vuote e al vuoto tentativo di compromesso. In un politico che ha attraversato la Storia del Cile dal 1973 a oggi, ci si aspetterebbe più coraggio e sincerità.

Da parte sua, il quotidiano El Mercurio, con una serie di pagine dedicate all’anniversario del Golpe, gioca due carte care alla Destra cilena. La prima è che Salvador Allende non era in fondo un politico democratico e che la sua non era una democrazia: in questo El Mercurio dimostra, come è capace di fare, di essere graffiante. La seconda carta è quella della ricostruzione del clima di durissimo scontro sociale e politico che precede l’11 settembre del 1973. In questo El Mercurio dice il vero. Dimentica, però, di ricordare che le violenze dell’estrema sinistra cilena furono amplificate dagli agitatori e dai provocatori pagati dalla Cia, come dimostrano anche i documenti declassificati dell’intelligence statunitense.

Anche sul quotidiano La Tercera, di centrosinistra, ampio spazio al mezzo secolo dal colpo di Stato di Pinochet, sostenuto dagli Usa allora guidati dal duo Nixon-Kissinger. Intervistato, Carlos Peña, rettore universitario collocabile nell’area di centrodestra, così sentenzia: “La Destra cilena si è mostrata così com’è: aggrappata al trauma di Unidad Popular e incapace di staccarsi dalla dittatura“. Poi il rettore aggiunge un’analisi impietosa della borghesia cilena, che non sa uscire allo scoperto, modernizzarsi e togliersi di dosso l’eredità “aristocratica” e ispanica che la condanna ad essere reazionaria. E a dipendere dalle zone più retrive della società cilena.

La “lezione cilena” e l’Italia

La storia cilena, con il Golpe del 1973, ha cambiato nel profondo la politica italiana. In due direzioni. La prima è evidente a tutti e la si può raccontare. La seconda direzione è ancora “indicibile” e proibita nella sua narrazione pubblica. Il primo cambiamento è avvenuto nel Partito Comunista Italiano: Enrico Berlinguer comprese che il Pci non avrebbe potuto governare in Italia con una maggioranza risicata, come quella di Unidad Popular in Cile. Di qui la scelta del “compromesso storico”, della ribadita fedeltà alla Nato e della politica prudente dei piccoli passi.

La seconda direzione è quella di cui nessuno vuole parlare. L’attentato a Berlinguer, per fortuna fallito, in Bulgaria nel 1973: un incidente stradale da cui il leader del Pci si salvò per caso. E poi il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro, leader della Democrazia Cristiana e probabile presidente della Repubblica. Due politici, Berlinguer e Moro, disallineati rispetto ai rispettivi riferimenti geopolitici: Usa e Nato per Moro, Mosca e Patto di Varsavia per Berlinguer.

Il film cileno El Conde premiato al Festival del Cinema di Venezia

Il colpo di Stato in Cile, l’11 settembre del 1973, bloccava la possibilità di una via socialista e democratica – pur con tutti i limiti – per la democrazia di quel Paese. Una via che puntava al superamento delle ingiustizie sociali e che puntava soprattutto alla “sovranità nazionale” in tema di miniere, di energia, di trasporti. Insomma, un Cile libero e indipendente. Ci sarebbero riusciti? Non lo sappiamo. Quello che conta è che qualcuno – gli Stati Uniti – hanno bloccato con mano militare e sanguinaria un processo democratico, grazie a un dittatore feroce e ladro come Augusto Pinochet.

La “strategia della tensione in Italia”, dal 1969 con Piazza Fontana al 1978 con il Caso Moro, ha prima imbrigliato lo sviluppo sociale ed economico dell’Italia. E poi ha posto le basi per la distruzione sistematica della classe politica italiana, culminata con Tangentopoli e la fine dei partiti. Aldo Moro ha pagato la volontà di indipendenza dell’Italia, nel Mediterraneo e nei rapporti con l’estero, dai diktat di Gran Bretagna e Stati Uniti. Così come Allende ha pagato le sue scelte anti-Usa.

Cile e Italia sono ancora oggi uniti da una storia assai simile. Anche se va detto che i disastri dei “Chicago Boys”, gli economisti neoliberisti, nel nostro Paese li avvertiamo meno. In entrambi i casi, Italia e Cile, la via d’uscita è una soltanto: il superamento delle ingiustizie, una borghesia imprenditoriale illuminata e democratica, e il fare i conti – senza sconti – con le ipoteche messe dalla potenze straniere sulle rispettive sovranità nazionali. Il problema, in entrambi i Paesi, è se gli schieramenti opposti – di Destra e di Sinistra – riusciranno a uscire dalle proprie fissità ideologiche. E, soprattutto, dai condizionamenti che vengono dall’estero.

La storia segreta d’Italia: Mattei, Moro e Berlinguer

© RIPRODUZIONE RISERVATA