Venerdì 1 e sabato 2 settembre al Teatro Romano andrà in scena un “Romeo e Giulietta” diverso dal solito. Si tratta di una produzione curata dalla scuola di teatro Spazio Teatro Giovani, in collaborazione con il Teatro Stabile di Verona e l’Estate Teatrale Veronese, per la regia di Silvia Masotti e Camilla Zorzi dell’associazione culturale Mine Vaganti. La stessa che due anni fa ottenne, sempre al Teatro Romano, un grandissimo successo con i proprio ragazzi portando in scena “Ifigenia in Aulide” di Euripide

«Questa volta è in assoluto la prima volta che curiamo la regia di un gruppo così giovane» esordisce Camilla Zorzi. «Parte del gruppo ha già vissuto l’esperienza di Ifigenia del 2021, ma per tanti altri ragazzi si tratta in assoluto della prima volta in un luogo così bello e suggestivo, uguale a nessun altro al mondo e capace di regalare davvero tantissime emozioni. I ragazzi più esperti stanno raccontando ai loro compagni di cosa si tratta, ma finché non vivi quell’esperienza sulla tua pelle non riesci a comprendere davvero di cosa si tratta. Ecco, penso che il senso del nostro lavoro stia anche nel fatto di poter regalare ai nostri 25 ragazzi la possibilità di vivere tutto ciò.»

Una lunga gestazione 

«La sera dello spettacolo è il culmine di un lavoro che arriva da lontano», ci racconta l’altra regista Silvia Masotti. «Quello che il pubblico vedrà in scena nelle prime due serate di settembre è uno spettacolo che ha comportato un grande lavoro di scrittura e preparazione, di molti mesi. Abbiamo iniziato ad ottobre 2022, quando abbiamo aperto il testo e studiato tutti insieme come se lo leggessimo per la prima volta, cercando di far emergere il punto di vista dei ragazzi. E in quell’occasione si sono spalancati di fronte a noi una quantità di contenuti pazzeschi. 

Silvia Masotti e Camilla Zorzi, le due registe di “Romeo e Giulietta”

Abbiamo chiesto quali sono i temi principali che emergono, gli stereotipi e in generale tutto ciò che sanno e non sanno di quest’opera. Sono venute fuori tante cose: dal rapporto fra genitori e figli al rapporto con il gruppo di amici, ma anche la violenza, l’odio, l’amore e tanto altro. Tutto quello che è emerso durante quel confronto è stato tenuto all’interno della rappresentazione, durante la quale ciascun ragazzo e ragazza non porterà in scena solo il proprio personaggio, ma anche il personale carico di aspettative, il rapporto con i compagni e con il mondo degli adulti.»

Il lavoro con i ragazzi

«Noi nasciamo come attrici», ci spiega ancora Zorzi. «Quando abbiamo iniziato a lavorare con i giovani ci siamo rese subito conto che più che insegnare nel senso stretto del termine con loro si deve principalmente lavorare con i corpi e con le menti. Abbiamo capito che più analizzi a fondo il loro mondo e più è facile ricevere da loro qualcosa di importante. Abbiamo scoperto tante cose da questa esperienza, tanto che oggi per noi il teatro è solo quello fatto insieme ai ragazzi, che dimostrano di avere una grandissima profondità e ci permettono di poter lavorare su qualsiasi tipo di contenuto, anche quelli più complessi». 

«Con Romeo e Giulietta abbiamo affondato in cose molte scomode», prosegue Masotti. «I ragazzi desiderano entrare nei contenuti non allineati e chiedono più libertà per poter esplorare mondi per loro spesso ancora sconosciuti. Sono in una fase di grande trasformazione personale e hanno meno resistenze degli adulti, che hanno più remore ad affrontare certi temi. Tutto questo si traduce in una libertà enorme anche per noi, una libertà però che dobbiamo saper gestire. I giovani hanno quel tipo di sguardo sui testi classici che parte dalla volontà di sapere e dal desiderio di trasformarsi attraverso il teatro. Si tratta, per loro, di uno spazio importante, che noi vogliamo mantenere scevro da qualsiasi giudizio.»

«Questa sarà anche la prima volta che dirigiamo i ragazzi insieme a un professionista, Giuseppe Sartori», aggiunge Zorzi, «a cui è stato affidato il ruolo del Principe di Verona. Ovviamente con lui si parla totalmente un altro linguaggio, visto che si tratta di una persona che ha inevitabilmente molti più strumenti teatrali rispetti ai ragazzi. Sartori, però, è un attore molto bravo, che si è messo totalmente a disposizione del progetto, che non assomiglia in nulla a ciò che fa di solito un attore professionista. Il lavoro con i ragazzi è un altro mondo e lui è stato in grado di dialogare in maniera consapevole, con i nostri ragazzi.»

Di cosa parla davvero “Romeo e Giulietta”?

Mentre Ifigenia era nato da una proposta di Carlo Mangolini che aveva chiesto a Spazio Teatro Giovani di portare in scena un dramma antico, ma lasciando massima libertà di scelta, con Romeo e Giulietta è arrivata una proposta precisa.

«La prima reazione è stata di paura», confessa Masotti. «Un po’ perché soprattutto nella nostra città questo dramma si porta dietro un’eredità enorme e un po’ perché si tratta effettivamente di un testo di grande importanza. Tutti noi pensiamo di conoscerlo, perché fra libri, film e canzoni più o meno abbiamo un’idea di ciò che racconta la trama, i personaggi, l’epilogo finale, etc. In realtà ci sono raccontate cose su Verona che spesso non sappiamo, ma è un modo di conoscere il testo molto di superficie.»

Di cosa parla, allora, il Romeo e Giulietta di William Shakespeare? D’amore, risponderà la maggior parte delle persone. E in parte è vero, ma si tratta di una sintesi o, alla peggio, di una semplificazione. «È vero che si tratta (anche) di una storia d’amore», afferma infatti Zorzi, «ma il testo si apre con il racconto di una guerriglia cittadina, che spalanca l’idea di raccontare la città anche sotto un altro punto di vista. La città dell’amore, ma anche di un odio immotivato. Non c’è nessun vero motivo per questo odio che esiste fra i Capuleti e i Montecchi: non c’è nessuna differenza fra loro, di status o di ceto sociale, religiosa, di vedute politiche. Si tratta, al contrario, solo di un’educazione al conflitto in cui sono letteralmente cresciuti tutti i giovani delle due famiglie. È questo il contesto in cui Romeo e Giulietta si incontrano… ed è per questo che Shakespeare propone un linguaggio coloritissimo, a volte anche molto crudo e a tratti assai ironico, di presa in giro, con delle metafore a tratti irresistibili. Ecco, anche su questo aspetto abbiamo spinto molto con i nostri ragazzi, cercando di riportare quel linguaggio nel modo più vivo possibile.» 

Da una parte, poi, ci sono i giovani delle due famiglie e dall’altra parte c’è quello strano mondo di “giovani adulti”, che non sanno gestire i propri figli. La mamma di Giulietta, ad esempio, ha solo 26 anni ed è totalmente inadeguata ad avere il giusto linguaggio con la propria figlia. Ma non è finita.

«Poi c’è ancora il tema del desiderio, che in Romeo e Giulietta viene prima del romanticismo» spiega Masotti. «Romeo e Giulietta si incontrano e dopo nemmeno 24 ore si sposano, come atto di pura ribellione rispetto a quel mondo di adulti che non li comprende. La parte più dura del dramma parte dal secondo atto, quando cominciano a morire i vari personaggi e fondamentalmente parla di cosa succede ai giovani quando cominciano a crollare gli elementi che li tengono in vita: l’amicizia e l’amore. A soccorrere i due protagonisti è Padre Lorenzo, che cerca di aiutarli con una medicina. In maniera, quindi, del tutto fallimentare. E poi si arriva al suicidio finale. Perché anche quello è un tema, in questo dramma… anzi, se vogliamo dirla tutta Giulietta inizia a pensare alla morte fin dal momento in cui le viene strappato, per la prima volta, il suo Romeo. Di queste cose i ragazzi hanno una gran voglia di parlare, perché sono temi scomodi, che fanno anche parte della loro realtà. Hanno capito che Shakespeare parla di loro, delle loro vite, dei loro sentimenti e pensieri. in questo senso Romeo e Giulietta è a tutti gli effetti un testo politico, che denuncia i meccanismi di una società disfunzionante, non poi così dissimile da quella che viviamo oggi giorno.»

Quali aspettative?

Nei mesi che hanno preceduto la chiusura delle scuole, Silvia Masotti e Camilla Zorzi, insieme ad alcuni dei loro ragazzi, hanno incontrato gli studenti veronesi con l’intento di parlare del progetto e rilanciare un dialogo con loro, anche a spettacolo finito.

«Nella nostra scenografia non c’è nulla che ricordi il celebre balcone», ci racconta Zorzi. «C’è, al contrario, un muro che vuole fare riferimento ad altri tipi di divisioni presenti nella nostra società e storia.

La produzione con il Teatro Stabile ci permette di portare in scena una scenografia meravigliosa. Ci è stato spesso chiesto se non avevamo paura a presentare uno spettacolo che non aveva, anche nella scenografia, i classici riferimenti del Romeo e Giulietta di Shakespeare. Ma il teatro è un’esperienza che ciascun spettatore si porta a casa e speriamo che questa nostra versione possa scuotere, divertire, turbare e anche ferire il pubblico che verrà al Teatro Romano.»

«Il teatro nasce come specchio della società, per leggersi dentro e perché ognuno, alla fine, si prenda ciò che può prendere» aggiunge Masotti. «Un testo così grande, perché stiamo parlando di un grande capolavoro della letteratura mondiale, parla di temi universali e inevitabilmente smuove le coscienze. Ognuno si porta a casa il suo personale “pezzettino”. Quello che ci auguriamo, però, è che lo spettatore veronese torni a casa anche con il desiderio di rileggere i segni di questo testo nella sua città.»

La compagnia ha provato nelle scorse settimane all’aperto, al Parco Santa Toscana, e nell’ultima settimana proverà al Teatro Nuovo. Il testo è stato ovviamente tagliato e tradotto, ma per il resto è fedele all’opera di Shakespeare. Dalle quattro ore originali si passa all’ora e mezza circa di spettacolo. «Non abbiamo fatto un’opera di attualizzazione», ci spiega Masotti, «non ci siamo posti come, ad esempio, ha fatto il regista australiano Baz Luhrmann nella sua versione cinematografica, che ha adattato ai nostri giorni il dramma. I ragazzi sì sono vestiti, quello è vero, come nella vita di tutti i giorni e la colonna sonora è spostata rispetto al classico, ma a parte questi elementi le parole sono proprio quelle del Grande Bardo e risultano ancora oggi quello che devono essere, una pugnalata.»

Per concludere…

«Il teatro ti permette di prendere una cosa, scardinarla, vedere cosa c’è alla base, viverla, anche in maniera catartica, è poi restituirla al pubblico», conclude Camilla Zorzi. «In Questo senso ci teniamo che sia percepito come un lavoro politico, perché si parla di cose importanti. I ragazzi si porteranno a casa non solo il lavoro diretto con il testo, ma anche lo sforzo che hanno messo per dare vita a un testo teatrale così difficile, complesso e per molti aspetti monumentale.» «Se li guardi in scena un po’ ti innamori. Hanno un’energia e un desiderio di confrontarsi con Shakespeare che è commovente. In quest’ottica speriamo che questo spettacolo possa essere anche un gancio per tanti giovani, che possano cominciare ad andare a teatro anche dopo aver visto il nostro spettacolo. Dal canto nostro speriamo che questa versione di Romeo e Giulietta possa avere anche una vita dopo il 2 settembre. Magari nelle scuole e in altre piazze, del Veneto e d’Italia.  

Tutte le foto a corredo di questo articolo sono di Ana Blagojevic

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