A un anno dall’insediamento della nuova Giunta a Palazzo Barbieri abbiamo incontrato il Sindaco di Verona Damiano Tommasi, per fare insieme a lui il punto di questi primi dodici mesi di attività della sua amministrazione. Tanti i temi toccati, dalla cultura allo sport, dalla gestione della mobilità e del traffico fino ai rapporti istituzionali con la Regione e le altre città del Veneto.

Sindaco Tommasi, partiamo dalle emozioni che ha vissuto il giorno della vittoria al ballottaggio. Che effetto le fa ancora oggi?

«Vedevo qualche giorno fa le foto di quella serata del 26 giugno 2022 (in cui ha vinto il ballottaggio con il Sindaco uscente Federico Sboarina, ndr) e devo dire che quella è stata per me una gioia molto condivisa. Ho visto tanta soddisfazione collettiva, perché eravamo arrivati alla fine di quel percorso grazie a un grande gioco di squadra. Tutti avevano fatto e dato il massimo. Personalmente, poi, c’era anche un pizzico di incertezza sulle responsabilità che andavo ad assumere e su come questa novità avrebbe impattato sulla mia vita e la mia famiglia. Ricordo, al contrario, che alla fine della campagna elettorale e nel corso delle elezioni del primo turno la gioia era stata per me più intima . Ero innanzitutto contento di non essermi snaturato e di aver portato sempre con me i miei valori.»

A proposito di valori. Il primo gesto che ha fatto, appena saputo della vittoria, è stato quello di entrare con la bandiera europea in Comune. Che segnale voleva dare alla città con quella scelta?

«È una delle cose di cui sono molto convinto: credo che in senso europeo ed europeista Verona debba fare il salto di qualità ma il bello, allo stesso tempo, è che ha davanti a sé la strada spianata. Nel mondo, e non solo in Europa, la nostra città è riconosciuta e riconoscibile, invidiata e ammirata. Questa cosa è ancora poco valorizzata dalla nostra consapevolezza. Secondo me ancora non sappiamo bene quello che può diventare la nostra città.

Nel periodo precedente il ballottaggio avevamo accuratamente evitato di sventolare bandiere di partito o di movimenti vari e ci eravamo sempre focalizzati solo sul progetto per Verona. Avevamo notato, già in campagna elettorale, che su Porta Nuova non c’era la bandiera europea e fra di noi ci eravamo ripromessi di issarla, se avessimo vinto, in maniera simbolica, appena fosse stato possibile.

Ed è stato anche per questo che quella sera abbiamo voluto sottolineare, portando la bandiera dell’Europa in Comune, questa visione della nostra città. Perché è questo è l’obiettivo che ci dobbiamo porre.»

Prima ha parlato di responsabilità. Come l’ha guidata il senso di responsabilità  nel corso di questo anno?

«Sia con il gruppo di persone che si è presentato a chiedermi se ero disponibile a candidarmi, sia poi nella costruzione del lavoro successivo devo dire che sono sempre stato facilitato. Prima ci si è messi intorno a un tavolo per condividere idee e valori e solo dopo sono stato individuato come la persona che poteva portare avanti quel progetto politico.

C’è stato, quindi, prima un passaggio di condivisione delle responsabilità e di progetti e poi si è arrivati a me, quando una parte di quell’esperienza politica era già stata “vissuta”. Il mio passaggio, quindi, ha avuto una natura successiva, che si è poi tradotta nel primo mese di amministrazione, quello in cui sono stato chiamato a costruire la Giunta e a scegliere le persone, dove la responsabilità è stata totalmente mia.

Volevo che la Giunta fosse espressione di quello che era stato l’esito elettorale e del gruppo collettivo che era stato creato. È stata, devo ammetterlo, la cosa più complicata. Per il resto devo dire che da quando c’è questa squadra ogni minima responsabilità viene sempre condivisa. Quando parla uno della Giunta parla a nome di tutti. Io stesso non parlo più per me ma per tutti, visto che le persone che ho coinvolto in questa avventura sposano il 99,9% delle idee e dei progetti che abbiamo in mente di fare.»

Tutto facile, dunque?

«La cosa che avevo capito, anche nei miei precedenti ruoli di rappresentanza, è che l’aspetto più complicato è sempre quello di far sentire tutti realmente rappresentati, da una parte, e tutti rappresentanti, dall’altra. Questa cosa oggi è possibile perché attorno a me ci sono dei professionisti che se non fossero in amministrazione sarebbero inseguiti o ascoltati dalle aziende private per la loro serietà, professionalità e competenza. So di potermi fidare di loro.»

Una delle prime azioni della vostra amministrazione è stata quella di incontrare la cittadinanza nelle varie circoscrizioni. Qualcosa di quell’esperienza vi ha sorpreso o vi ha permesso di fare un ulteriore salto di consapevolezza?

«Sicuramente ci ha fatto molto piacere la partecipazione, tanta e pure costruttiva, dei cittadini. Le persone hanno avuto la possibilità di dire in maniera non strumentale quello che erano i loro pensieri sul luogo dove vivono. A questi incontri avevamo spesso quattro, cinque, a volte persino sei assessori, che sono sempre tornati a casa con spunti e idee interessanti.

Uno degli incontri nelle Circoscrizioni dell’amministrazione comunale

Fra l’altro questo è un periodo in cui dobbiamo comunicare alcuni disagi, con la messa a terra del progetto della filovia e non solo. In questo senso la relazione fisica nel quartiere è stata ed è molto importante. A questo primo giro, chiamiamolo “dell’andata”, a parte un incontro a Montorio non ho in realtà mai partecipato in prima persona, ma sicuramente ci sarò al “ritorno”.

Avendo la delega allo sport, però, spesso incontro le società sportive, i comitati organizzatori di tornei e sagre nei quartieri ed è quella, per me, un’occasione eccezionale per stare in mezzo alla gente. In generale credo che questa relazione fisica con gli amministratori aiuti a capirsi di più e ad avere un monitoraggio più efficace sul territorio.»

L’Arena è il fiore all’occhiello della città e il 15 agosto ospiterà un evento importante, come la gara inaugurale dell’Europeo femminile di pallavolo. Da uomo di sport qual è la sua idea in questo senso?

«L’anfiteatro romano è un elemento unico della città e ha trovato – al di là dei centodieci anni della lirica – una sua fisicità di presenza che parla ai veronesi e ai turisti. Questa occasione per me ha un duplice valore. Innanzitutto quello di provare a portare un pubblico diverso rispetto a quello che oggi abitualmente frequenta l’Arena e poi quello di valorizzare l’edificio per quello che è, un anfiteatro. Per ovvie ragioni di palcoscenico, in generale viene sfruttata soltanto a metà. Invece in questa occasione si potrà vivere a 360 gradi, come era stata concepita originariamente da coloro che la costruirono duemila anni fa. Sono molto curioso di capire che effetto farà. La capienza per questo evento sarà attorno ai 15-16mila posti, sia per motivi di sicurezza sia per gli spazi a disposizione. Quindi in realtà saranno due o tremila in più rispetto all’attuale capienza. Poi la consapevolezza che darà questa esperienza ci potrà aiutare a capire meglio le potenzialità di questo luogo e a concepire un futuro diverso rispetto a quello che avviene oggi in Arena.»

A cosa si riferisce?

«Ci sono tantissime espressioni sportive che vi possono essere valorizzate. Non a caso in queste settimane stanno arrivando numerose sollecitazioni dalle varie federazioni, che non vedono l’ora di portare qui il loro evento, la loro disciplina, quell’atleta in particolare, etc. Ne stiamo discutendo, perché al momento il regolamento vieterebbe l’attività sportiva all’interno dell’Arena e il volley rappresenta in realtà una singola deroga. Speriamo, però, che questa possa essere l’occasione per rivedere fra le altre cose anche il regolamento. Poi visto che sono una persona che ha fatto dello sport la sua ragione di vita, tutto ciò non può che farmi piacere. Sono convinto che Verona si renderà ulteriormente conto di tutto il suo enorme potenziale.»

Visto che siamo in argomento, riguardo allo stadio qual è la sua idea? Lo vuole rifare o vuole rimodernare quello attuale?

«Ho due idee. La prima è che a Verona non ci potrà essere uno stadio dedicato solo al calcio. Dovrà al contrario essere polifunzionale, flessibile, adattabile, con tutte le tecnologie moderne. Noi di fatto non abbiamo un piano B rispetto all’Arena, per eventi di ben più di 12mila persone. Di qualsiasi progetto si parlerà si dovrà farlo solo in questi termini e chi metterà mano alla struttura dovrà esserne consapevole e in grado di fare quel tipo di lavoro.  Il problema però, e qui veniamo al secondo punto, è anche legato alle risorse. È vero che l’Hellas è in Serie A e che potenzialmente abbiamo una seconda squadra, la Virtus, che potrebbe un giorno avere bisogno, in caso ad esempio di promozione in B, di utilizzare quello stadio, ma è anche vero che ad oggi persino gli stadi di città in cui ci sono due squadre in serie A non risultano economicamente sostenibili. Per questo servono risorse e investitori.

Nell’Hellas Verona oggi non si trovano sponde perché la società ha equilibri che non le permettono di investire su quel tipo di struttura.

Quando ci sarà l’esito della candidatura all’Europeo si saprà se potremo attingere a risorse diverse da quelle che abbiamo avuto fino ad oggi e soprattutto se saremo chiamati a farlo in tempi stretti (per essere pronti entro il 2032, anno in cui si terrà eventualmente la manifestazione in Italia, ndr), oppure scegliere un’altra strada. Sul rifarlo lì, spostarlo, rifarlo nuovo non ho in realtà ancora un’idea precisa. So, però, che si tratta di una struttura del Comune su cui ora dobbiamo spendere tre milioni di euro per lavori di manutenzione e che non ha alcuna redditività per la città.»

Torniamo all’Arena e alla querelle con la Fondazione lirica. In questi mesi ha toccato con mano le difficoltà di gestione con il consiglio di indirizzo di nomina terza e la sovrintendente Gasdia. Si immaginava di fare così tanta fatica?

«Parliamo della natura della Fondazione e dell’Ente lirico. Le prescrizioni di legge affermano che ci dev’essere un chiaro indirizzo e un legame a filo doppio con l’amministrazione comunale. La Fondazione riceve sì i soldi pubblici dal Ministero e c’è, nella procedura di nomina del Soprintendente, un passaggio doveroso con lo stesso Ministero, che deve effettuare un controllo/verifica sulla nomina, ma dall’altra parte c’è anche il chiaro intento di chi ha fatto lo statuto della Fondazione di consegnarne alla città la gestione. Qui, invece, si è voluto fare della Fondazione un terreno di scontro politico, perché non si è voluto accettare che l’amministrazione abbia riferimenti politici diversi da quelli che c’erano prima. Danneggiando così sia la Fondazione, sia l’amministrazione. Non so sinceramente dove si voglia arrivare.»

Un’Arena in bianco e nero, foto di José Barbosa, Pexels.

Ci può spiegare meglio?

«È impensabile fare attività in Arena che non sia dentro il progetto culturale dell’amministrazione cittadina e di chi è stato incaricato attraverso il voto di proporre questo stesso progetto. Ed è proprio lì che c’è l’inghippo.

In tutto questo si è voluto addirittura staccare la partecipata della Fondazione, Arena Extra, creata dalle precedenti amministrazioni con un sistema di nomine chiaro e con il presidente, rappresentante dell’Ente, che ne dovrebbe tirare le fila. Si è creato così tutto quello che oggi vediamo: difficoltà di rapporti, legittimità degli atti su cui abbiamo qualche dubbio, etc. In definitiva non si vuole condividere con l’amministrazione la decisione di chi, cosa e quando va in scena in Arena e stiamo cercando di mettere a posto questa situazione. 

È impensabile che ci sia una costruzione politica che vada contro l’amministrazione che è stata eletta. Vuol dire non avere idea di cosa deve fare una Fondazione e l’Ente lirico in una città come Verona dove si ha a disposizione uno dei dieci monumenti più importanti d’Italia. Solo pensarla questa cosa denota i limiti che ancora abbiamo a Verona nel pensarci piccola realtà circoscritta, quando dovremmo avere una visione un po’ più larga.»

A Verona sembra quasi che si faccia lotta politica più nelle partecipate che in Consiglio comunale. Un’anomalia?

«In realtà no, anzi, è perfettamente in linea con quello che è diventata oggi la politica amministrativa, che ha perso appeal per la cittadinanza perché negli anni si è ridotta soltanto a nomine, ruoli da ricoprire, poltrone da governare e lì trova la massima espressione di contrarietà e opposizione. Questa cosa è in linea con ciò che ha motivato tante persone a stare a casa in occasione del voto.»

Catullo spa: dopo l’annuncio di Fondazione Cariverona sulla volontà di vendere le azioni quale è la posizione del Comune? L’aumento di capitale, poi, potrebbe drenare ulteriori risorse…

«Non avendo ottenuto risposte in questo senso da SAVE, da Camera di Commercio o in generale da chi ha le quote maggioritarie, è normale che in Fondazione prendano decisioni in questo senso. Non avendo una quota significativa diventa per loro una partecipazione poco redditizia sia dal punto di vista economico sia politico.

Come Comune siamo lì, con una quota più o meno equivalente a quella che aveva Fondazione. La valutazione la faremo in caso di aumento di capitale. Certo è che la nostra quota è minimale rispetto a chi dovrebbe e potrebbe dare impulsi diversi per il territorio.

La presenza del Comune e della Provincia, comunque, dovrebbe essere valorizzata. La nostra volontà è stata quella di creare una lista unica per lanciare un messaggio di intenti, perché riteniamo che così dovrebbe essere, ma se non si riuscirà a trovare la visione comune di un cambiamento o di un percorso diverso faremo le nostre valutazioni e ognuno si prenderà le proprie responsabilità. Bisogna remare tutti dalla stessa parte, fare quel che c’è da fare, e soprattutto valorizzare una struttura che negli anni ha probabilmente perso più di qualche colpo.»

Cantieri del filobus: è soddisfatto di come l’assessore Ferrari sta affrontando le mille difficoltà che le precedenti amministrazioni hanno lasciato in eredità? Alla luce del risultato, farebbe tutto allo stesso modo e negli stessi tempi?

«I tempi erano già definiti. Eravamo partiti con un piede avanti perché avevamo già condiviso nel nostro progetto politico ed elettorale l’idea di non fermare quelle opere approvate dalle precedenti amministrazioni e che servono alla città, soprattutto quelle che hanno un iter pluriennale e che ci lasciano per questo poco spazio di manovra. Come in tante altre partite ereditiamo situazioni che per alcuni versi sarebbe poco lungimirante o stolto boicottare solo perché sono state partorite da altri. Fra le altre cose ci siamo quindi trovati sul tavolo tutto il tema della filovia che era già andato in approvazione al CIPE. Abbiamo deciso di toccare il meno possibile, perché qualsiasi variazione avrebbe fatto perdere ulteriore tempo sulla messa in atto dell’opera.

Un’immagine di repertorio dei cantieri del filobus

Un’opera che comporta particolari interventi sul territorio i quali, a prescindere da tutto, comunque agevoleranno la viabilità e mi riferisco al cantiere principale, quello di via Città di Nimes. Che poi, ricordiamolo, è un completamento delle opere di Italia ’90, quindi di decisioni che risalgono addirittura a oltre trent’anni fa.

I tempi per noi erano quasi obbligati: a metà agosto 2022 dovevamo consegnare e portare avanti il progetto per l’approvazione del CIPE che poi è arrivata a gennaio, ma l’opera è andata avanti nel solco di quanto già avviato da chi ci ha preceduto. E per fare i lavori bisogna partire. Sono contento di non aver avuto nessun pregiudizio ideologico nel fermare o nel bocciare quest’opera. Sono convinto che a prescindere dalla filovia questa esperienza porterà dei benefici alla viabilità di Verona, visto che le persone stanno già ora cambiando le loro abitudini. Ovviamente cercheremo di fare sempre tutto quanto possibile per mitigare al massimo i disagi creati dai lavori.»

Cosa intende fare del PUMS (piano urbano mobilità sostenibile)?

«Sta andando avanti com’era stato descritto. Sicuramente il piano della sosta impatta molto sulla viabilità e su come raggiungere alcuni punti della città. Qualsiasi ragionamento di mobilità cittadina non può non tener conto di quelli che saranno gli effetti della filovia, ma abbiamo anche intenzione di andare ben oltre la filovia. Vogliamo migliorare le linee degli autobus per raggiungere un numero maggiore di zone, anche fuori dal territorio comunale. L’obiettivo è quello di promuovere il più possibile una mobilità dolce.»

La chiusura del centro storico viene osteggiata da una parte dei commercianti. Alla luce del grande successo delle chiusure di via Roma e via Stella dei decenni passati se lo aspettava?

«È come per il balcone di Giulietta. Si parla senza avere contezza dei dati. Direi che è una questione di metodo. La chiusura dell’entrata da via Cappello è per noi obbligata quando non si riesce a tenere in sicurezza la strada, per via delle lunghe code di turisti. L’aver organizzato in via sperimentale con il Teatro Nuovo un’entrata alternativa al balcone, invece, ci permette ora di ragionare sui dati delle presenze e prendere decisioni ponderate nel solco della concretezza.

Allo stesso modo sulla chiusura del centro storico parlerei con i dati, che ho richiesto ai commercianti: sui clienti, sui consumatori che entrano in centro storico in auto, su quanti sono i residenti che non trovano parcheggio, in quali ore, quanti sono i fruitori degli hotel che fanno ingresso per raggiungere la struttura, etc. Questi dati al momento non sono ancora arrivati. Ma solo su quelli ragionerei.

Poi c’è tutto un tema di viabilità: sono sicuro che chi arriva con i mezzi pubblici in centro, dopo aver lasciato l’auto al parcheggio scambiatore, sarà più contento di chi passerà ore a cercare parcheggio. Viviamo in una città in cui più del 70% delle persone si sposta con il mezzo privato e questo non è certamente in linea con i benchmark europei. Quella è la direzione. Ci siamo resi conto che le domeniche ecologiche fatte nei quartieri piacciono alle persone, che si riappropriano in quel modo dei propri spazi, solitamente occupati dalle auto. Ci sono già arrivate tante richieste per rifarle.

A proposito, un’altra voce del vostro programma elettorale era quella relativa ai “quartieri a 15 minuti”: a che punto siamo?

«È una rivoluzione che passa anche attraverso i servizi, non solo attraverso la viabilità. In alcune situazioni, però, è complicato dare seguito al progetto perché in questo momento c’è già il disagio dei cantieri e quindi aggiungerne altro sarebbe difficile.

Ciò non toglie che abbiamo ben chiaro il tema del decentramento dei servizi comunali. Stiamo lavorando su questo, purtroppo ci sono delle difficoltà oggettive legate alla carenza di risorse umane ed economiche che non dipendono da noi, oltre che per gli spazi. In tal senso la digitalizzazione dei servizi ci può dare una grossa mano.»

Fra i vari temi su cui si discute in città c’è anche quello del consumo di suolo alla Marangona e l’alternativa per la logistica nell’area dismessa dell’ex Biasi. Che ne pensa?

«Noi abbiamo sempre dichiarato di volere per la Marangona una pluralità di servizi, con aree verdi ed extra logistica. Non credo che si tratti tanto di un tema di consumo di suolo, ma piuttosto di utilizzo di un’area in una zona strategica della città e che si mette a valle e a servizio di un quartiere che negli anni ha subito un depauperamento in termini di socializzazione e di aziende che hanno cambiato la loro sede.

Ora stiamo ragionando anche sul PAT e su una riqualificazione intera della città, su cui mi auguro possa pesare il tema delle mura e la riqualificazione di questo lungo serpentone verde che circonda la città. Secondo me merita di essere rispettato e valorizzato come cuscinetto fra il centro storico e i quartieri più esterni. Ecco, mi auguro si possa trovare il modo di disegnare questo tipo di città.»

Le 1.100 firme raccolte e consegnate all’amministrazione contro il progetto dei Magazzini della Cultura al Pestrino, che fine hanno fatto?

«È un progetto della vecchia amministrazione. Anche in questo caso rivederlo significherebbe perdere risorse e la possibilità di riqualificare uno spazio che oggi non viene utilizzato per le sue potenzialità. È ovvio che ogni iniziativa, che mette mano ad aree particolari come quella, può incontrare pareri contrari, ma sono convinto che la vera sfida sia quella di riuscire a dare una dimensione equilibrata sia di presenza sia di verde sia, ancora, di fruibilità. Dobbiamo rendere la gestione del territorio e la valorizzazione delle aree verdi commisurata al suo utilizzo. Vale per l’Arena e vale per l’area più periferica della città.

È anche attraverso la valorizzazione che si dà un senso alla tutela e si ottengono le risorse per la stessa tutela. E con la tutela del bene si può averne anche una valorizzazione, in un circolo virtuoso. Questo va concepito per tutte le aree che abbiamo, e sono tante, come ad esempio le aree militari dismesse che hanno perso la loro funzione e che vanno riqualificate secondo questa doppia visione, della tutela e della valorizzazione che non si devono mai pestare i piedi, ma – al contrario – devono alimentarsi a vicenda.»

Lei ha dichiarato che i plateatici dei locali possono rappresentare anche un presidio a livello di sicurezza per la città. A che punto siamo con i permessi?

«Dobbiamo tener conto dei plateatici in zona rossa e quindi della tutela dei beni ambientali e paesaggistici che ci obbliga ad alcuni vincoli. Poi c’è il tema del Covid-19 che negli anni scorsi ha indotto l’introduzione di normative straordinarie rispetto agli spazi utilizzabili e alla mobilità del plateatico. Terzo, e da non sottovalutare, è che lo stesso Covid ha portato con sé anche l’abitudine nelle persone a non entrare più nei locali ma a starne preferibilmente fuori, spesso anche nella stagione invernale. Quindi dobbiamo valutare la questione della sopravvivenza del gestore. Se non hai lo spazio fuori rischi di non avere il cliente e di chiudere l’attività.

La città è fatta, però, di tante persone con esigenze diverse, di chi vive sopra il bar o a fianco al ristorante o ancora di chi ha una mobilità ridotta. Tutte situazioni che vanno considerate. Non è facile fare un regolamento che tenga conto di tutto questo. Però l’Assessore alle Attività produttive e commercio e Relazioni con il territorio Italo Sandrini ci sta perdendo le nottate e non solo, nello scrivere e nel dialogare con tutte le categorie. Arriverà a una quadra quanto prima.

Abbiamo, infine, sempre detto come amministrazione che il plateatico è anche una forma di presidio sociale. Perché in alcuni quartieri, in alcune zone i bar con i tavolini fuori aiutano effettivamente a presidiare il territorio. Ma anche in questo caso si tratta di situazioni che vanno valutate di volta in volta.»

Fra i cavalli di battaglia della vostra campagna elettorale c’era anche il tema del “Grande Castelvecchio”. Su questo fronte c’è qualche novità?

«Innanzitutto ho dato indicazione di non chiamarlo più “Grande” Castelvecchio. Non si tratta di un allargamento ma di ricomporre l’originale senso della struttura. Sappiamo che la presenza dei militari è discussa e simbolica. Loro hanno giustamente i loro spazi. Il passaggio da parte dei miei predecessori è stato fatto a metà. Quando c’era già una valutazione di massima per la ricomposizione, c’è stato il cambio di Governo e quindi dei ministri e dei conseguenti riferimenti decisionali. Quello che è chiaro è che anche i militari vorrebbero sfruttare quell’area diversamente, perché per loro ha dei limiti oggettivi. Per noi non si tratterebbe della conquista di un territorio ma di valorizzare un’infrastruttura museale, che dall’ampliamento dell’assetto trarrebbe grande beneficio.»

Uno scorcio di Castelvecchio, foto di Osvaldo Arpaia

E quindi?

«Si tratta di capire se in città esiste una struttura adatta per spostare i militari o eventualmente proseguire con la condivisione degli spazi. Una condivisione temporanea, strutturata… questa cosa ovviamente deve avere le due volontà visto che noi non vogliamo fare nulla senza il loro coinvolgimento.»

È notizia della scorse settimane: Eataly è a rischio fallimento. A Verona c’è la cella frigorifera in ZAI che molti avrebbero visto benissimo come auditorium per la città. In chiave futura è ipotizzabile che Verona si riappropri di quegli spazi?

«Gli spazi sono già aperti al pubblico con un’area museale, ma l’edificio è della Fondazione Cariverona. In merito all’auditorium forse non si è fatto anche per motivi di sostenibilità economica del progetto. Non so a quanto ammonti l’affitto che Eataly paga a Fondazione, ma il tema in generale è sempre quello della sostenibilità, come per tutte le cose.

Poi è vero che a Verona manca un luogo dedicato alla musica, soprattutto invernale. Alla Marangona il progetto potrebbe prevedere la costruzione anche di un palazzo della musica mentre per lo stadio, come dicevo, ci si deve aprire a un discorso legato alla concertistica, anche se ovviamente per il periodo estivo.

La verità, però, è che a Verona questi temi sono sempre stati messi in terza o quarta fila. Perché in fondo la presenza dell’Arena (e del Teatro Romano, ndr) camuffa in parte questa carenza di spazi adeguati che abbiamo. L’area dei Magazzini Generali va a mio avviso vista nel suo complesso, a progetto finito. Le aree mercatali, la Fiera, sono una zona ancora tutta in divenire. Quando i progetti saranno completati potrà forse avere un’altra vivibilità, con più presenze e più socialità rispetto a quella che c’è adesso.»

Il passaggio delle Frecce Tricolori sopra l’Arena il 21 giugno scorso

A livello di rapporti istituzionali, quelli con il Presidente della Regione Zaia sono sempre stati buoni, ma visto che ora anche Vicenza è condotta dal centro-sinistra, si può fare fronte comune con il sindaco di Padova Giordani per portare a livello più alto le ulteriori istanze ed esigenze della zona più occidentale del Veneto?

«Questo è un percorso che non è mai stato fatto, anche a livello di consapevolezza del nostro territorio. L’ho sempre sostenuto, a partire dalla candidatura a sede dei campionati europei dove di fatto saremo la città che rappresenterà il Triveneto: sia per i numeri, perché siamo la città più popolosa, sia per le infrastrutture, visto che siamo l’unica città con uno stadio di trentamila posti.

Simbolicamente comunque abbiamo questo ruolo che non abbiamo mai voluto prendere in mano dal punto di vista politico, né come interlocuzione né come proattività rispetto a iniziative territoriali. Con Vicenza abbiamo in realtà un dialogo aperto già da tempo, anche per la vicenda AGSM-AIM. Con Possamai e Giordani ho un ottimo rapporto. Ci siamo visti anche qualche sera fa, in un incontro informale dove comunque abbiamo affrontato argomenti legati ad unico filo conduttore, la collaborazione tra città e territori che hanno un ruolo significativo nella regione. 

Dobbiamo mettere insieme le istanze comuni che abbiamo, non solo dell’area ovest, ma più in generale sul tema, sentito da tutti, delle risorse per il trasporto pubblico locale sul quale la nostra Regione, a differenza di altre, non aggiunge un euro rispetto a quanto erogato dal governo.  Senza un trasporto pubblico locale efficiente nessuna città risulterà davvero sostenibile.»

Il 20% del suo mandato è andato. Può dire di aver fatto il 20% di quello che aveva in mente?

«Ci sono ambiti e ambiti. In merito alla costruzione della squadra ho fatto ben più del 20%. Grazie al dialogo, devo dire che in seno alla coalizione si riesce a trovare una quadra che va ben oltre il 70% del lavoro da fare. Come dicevo all’inizio sono stato favorito da come è nata la coalizione e la mia candidatura, che hanno facilitato il mio percorso. Vedo, invece, che per alcuni sindaci questo tipo di lavoro è particolarmente rallentato. Si tratta in particolare di quei primi cittadini che a valle delle elezioni, soprattutto magari in quelle in cui sono dovuti andare al ballottaggio, hanno dovuto fare accordi di varia natura. Per loro è tutto molto più complicato.

Su altri aspetti, come nel caso della macchina operativa del Comune, siamo al contrario molto indietro. Abbiamo il personale che c’era prima. Anzi, ci sono stati dei pensionamenti che faticano a essere sostituiti e per questa ragione si fatica anche a rendere efficiente la struttura. Inoltre avendo noi creato alcuni assessorati e alcune deleghe particolari che prima non c’erano non abbiamo potuto contare su una struttura adeguata a supporto tutta da creare. Ad esempio il Terzo Settore o le Politiche Giovanili sono assessorati che nella precedente amministrazione non erano così identificati, perciò non è semplice dare loro velocemente gli strumenti operativi. In questo siamo più indietro del 20%.

Per finire con una battuta, invece, a livello di percezione personale devo dire che mi sembra di essere qui da dieci anni e quindi ben oltre, ma il tempo sta volando e per altri aspetti mi sembra quasi che il mandato stia già per finire.»

Qual è stato il momento più difficile di questi dodici mesi?

«Quando è crollata la stella in Piazza Bra. Una situazione davvero imprevedibile, che poi per fortuna si è tradotta in un momento comunque positivo, visto che per fortuna dopo la preoccupazione iniziale abbiamo capito che non c’era stato alcun ferito e quella è stata senza dubbio la cosa più importante. Questo episodio, però, mi ha fatto percepire l’aleatorietà di quello che stiamo vivendo, anche dal punto di vista amministrativo.»

La rivedremo in occasione del prossimo Natale?

«Non è ancora stata presa una decisione in tal senso, siamo ancora in fase di valutazione. La stella non è di proprietà del Comune. Manni l’aveva donata alla Fondazione dei Presepi e solo loro possono metterci le mani per renderla di nuovo riutilizzabile.»

Tornando ai momenti dell’anno, qual è stato, invece, il più bello?

«Lo slancio iniziale, l’eccitazione della nuova esperienza, quando un anno fa abbiamo varato la Giunta. Eravamo in tanti all’esordio, quel giorno, e tanta era l’emozione. Ho visto in tutti quelli che sono stati chiamati a dare una mano la gratificazione di essere in un ruolo di responsabilità.

La Giunta Tommasi

Fra gli episodi, poi, vissuti nei mesi successivi c’è stata la notte di Capodanno. Precedentemente, per gli anziani il Comune organizzava la grande festa di fine anno in ZAI, in Fiera, ma l’Assessora alle politiche sociali Luisa Ceni quest’anno ha proposto invece un format nuovo affinché i festeggiamenti si realizzassero in maniera diffusa nei quartieri. Così abbiamo preferito sostenere le Circoscrizioni che hanno organizzato in ciascun territorio cittadino un evento dedicato agli anziani, che si sono ritrovati con le persone e gli amici del loro quartiere e non più con mille altre che non conoscevano.

Per loro è stato molto bello e per me gratificante girare quella sera per le varie feste, ben 9, e incontrare tutti gli anziani che hanno partecipato alla serata. Siamo partiti alle 19.30 del 31 dicembre: i primi che abbiamo incontrato erano ancora in coda all’ingresso, che si stavano registrando, mentre gli ultimi erano ancora lì che festeggiavano ben oltre la mezzanotte. Quella sera abbiamo percorso circa quaranta chilometri, ma siamo riusciti a incontrarli tutti.  È stato davvero intenso ed emozionante.

Ma a pensarci bene ci sono stati davvero tanti momenti che ricordo volentieri, come la prima in Arena, con le persone che nei quartieri hanno partecipato alla nostra diretta organizzata nelle piazze e nei parchi, il Tocatì a Rabat, dichiarato Patrimonio immateriale dell’UNESCO, la salvezza dell’Hellas Verona, la candidatura di Verona agli Europei di calcio. Su questo, peraltro, c’è stato tutto un lavoro di tessitura che poi ha portato dei risultati significativi e che speriamo possano lasciare il segno.»

Alcune delle persone incontrate dal Sindaco Tommasi la sera del 31 dicembre 2022

Al di là del fatto che fra quattro anni lei si possa ricandidare o meno, cosa le piacerebbe lasciare alla fine del suo mandato a Verona?

«Una visione europea della città. Credo che abbiamo tante potenzialità inespresse e non ce ne rendiamo conto. O meglio, non consideriamo un vero plus della città la necessità di essere leader. La nostra leadership cittadina dovrebbe vedersi e sentirsi molto di più e invece si intravvede solo a tratti. Sono stato di recente a Bruxelles e in qualsiasi angolo della città si respira internazionalità. Ecco, una città come Verona non può non avere questa ambizione.»

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