L’osservatorio territoriale “Verona Polis” si è rinnovato e ha svolto una campagna di sensibilizzazione e coinvolgimento della società civile veronese per due obiettivi ritenuti fondamentali: il blocco radicale del consumo di suolo e la pianificazione urbanistica partecipata. Ne parliamo con l’arch. Giorgio Massignan, responsabile di Verona Polis.

Da quale esigenza nasce questo suo progetto?

«È passato un anno dall’insediamento di questa Amministrazione che, nel programma elettorale, proponeva metodi e contenuti diversi dalle amministrazioni precedenti; in particolare, finalmente si intravvedeva nel settore della mobilità un importante spostamento delle priorità dal mezzo privato a motore verso il servizio pubblico e la mobilità sostenibile. Purtroppo, le passate amministrazioni hanno lasciato in eredità l’obsoleto sistema del filobus, impossibile da bloccare e non idoneo a risolvere radicalmente le necessità di Verona. Tuttavia, un punto di continuità con la precedente amministrazione rimane: una vera partecipazione dei cittadini, specie su una questione che coinvolge tutti come la modifica del Piano Regolatore sinora non c’è stata».

Giorgio Massignan
L’architetto Giorgio Massignan

Ritiene l’Amministrazione carente su questo punto?

«Vedo nella pratica ritornare il vecchio metodo, con scelte riservate a pochi, senza la partecipazione attiva delle associazioni portatrici di interessi sociali, economici e culturali, organizzate in consulta. Si ha la netta impressione che la partecipazione si riduca solo all’ascolto e alla discussione di scelte già prese. Tutto questo in contraddizione con l’Amministrazione stessa e con quanto da questa affermato a p. 4 delle “Linee Programmatiche 2022 – 2027”».

Come nasce e quali sono le finalità del progetto?

«Parte inizialmente da una chat con circa duecento partecipanti, per analizzare e dibattere sulle scelte urbanistiche e sull’operato della e delle Pubbliche Amministrazioni di Verona.
Ho creduto opportuno che la composizione di questo gruppo fosse eterogenea, con esponenti di diverse idee politiche, anche contrastanti, per evitare che venisse omologato a destra, a sinistra o al centro. Lo scopo di questo gruppo non è quello di sostituirsi agli eletti, che hanno il diritto-dovere di votare le delibere sulle scelte d’uso del territorio, ma di fare in modo che tali decisioni vengano prese attraverso il confronto democratico con gli esponenti della cosiddetta società civile ed evitando che l’urbanistica pubblica sia semplice espressione dei desideri dei costruttori privati; evitando poi il “non nel mio cortile”, ma facendo sempre prevalere le scelte più opportune per il bene della collettività».

Siete già operativi?

«Sono stati formati alcuni gruppi di studio, suddivisi in nove settori che interessano il territorio, quali urbanistica, cultura, verde, mobilità, accessibilità, città per tutti, economia, giurisprudenza, comunicazione, sito. I lavori dei vari gruppi (diretti da un responsabile qualificato) saranno a disposizione di tutti, associazioni o semplici cittadini».

L’urbanistica forse non è un tema particolarmente accattivante per il cittadino…

«Non se si entra nel concreto. Pensiamo in astratto al fenomeno della concentrazione territoriale di attività e di funzioni: per esempio, la Valdonega, il quartiere addossato alla collina, che pareva al riparo dalle aggressioni dei centri commerciali e di altre strutture invasive ed impattanti, è pesantemente disturbato dai disagi provocati dall’apertura di nuovi locali da ballo e discoteche, in viale dei Colli e in via Torricelle, due strade comunicanti che racchiudono l’abitato del rione».

Quindi per lei un modello di connessione Comune/cittadinanza possibile?

«È già avvenuto, di fatto. Negli anni ’70, all’interno del programma GESCAL (in accordo col Comune), si intese migliorare le condizioni del quartiere Veronetta: lo scopo era quello di realizzare appartamenti pubblici da locare con canoni convenzionati, per tentare di bloccare l’abbandono dei residenti meno abbienti. L’area scelta fu Corte del Duca: ma quando la comunità seppe che il primo progetto prevedeva che, per realizzare il numero di alloggi richiesti dal Comune, sarebbe stato necessario costruire alcune unità edilizie utilizzando lo spazio verde di un brolo interno alle mura del vecchio convento, gli abitanti si riunirono in un comitato, il primo sorto a Verona e, nonostante vivessero in precarie condizioni abitative, preferirono salvaguardare il brolo verde, quindi la qualità urbana, al maggior numero di appartamenti.  Fu così che la Pubblica Amministrazione decise di abbandonare l’ipotesi di costruire i nuovi volumi nell’area verde del brolo e di intervenire solo con interventi di recupero conservativo dei volumi esistenti, permettendo agli esponenti del comitato del rione di partecipare all’operazione».

Quali questioni ora sono per lei più urgenti?

«Innanzitutto, è necessario introdurre un vincolo radicale su tutti i terreni non edificati per arginare il problema del consumo di suolo. Poi, il destino della Marangona, che storicamente ha una forte vocazione agricola e che rischia di essere cementificata. La zona, di forma triangolare, è stata suddivisa in cinque comparti. Il primo ad essere trasformato sarà la cosiddetta Corte Alberti, di 170.000 mq, da parte della VGP Italy, società europea di sviluppo di parchi industriali e logistici. Se la posizione della Marangona, facilmente collegabile con l’autostrada, l’aeroporto e la ferrovia, risulta davvero preziosa per la logistica, per lo smistamento delle merci, per l’innovazione e la ricerca, sarebbe ipotizzabile intervenire su alcune aree industriali dismesse poco lontane.

Inoltre, l’area del Pestrino [tema già affrontato su questa testata, N.d.A.], che rischia una sorte simile e può rappresentare il classico intervento pubblico come “testa di ponte” per l’urbanizzazione delle aree agricole circostanti. Infine, un problema evidente a tutti: la fuga dei residenti dal centro a causa di un turismo sfrenato e la scelta di trasformarlo in una zona di solo “consumo”».

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